domenica 24 maggio 2015

Le proposte del Partito Democratico/11 - Mezzogiorno


A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 238 del 30-11-2012 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
Le proposte del Partito Democratico/11 - Mezzogiorno


LE PROPOSTE DEL PARTITO DEMOCRATICO/11

MEZZOGIORNO
Nessuna politica per il Sud può essere credibile ed efficace se non viene pensata come parte di un disegno riformatore nazionale, in grado di affrontare i nodi della crisi economica, sociale e democratica dell’intero Paese.
Solo unita l’Italia può uscire dalla più grave crisi democratica ed economica della sua storia repubblicana. Il governo di centrodestra continua invece a penalizzare, anche nella componente della spesa ordinaria, il Sud e le sue istituzioni locali. Di straordinaria gravità sono i tagli e i “dirottamenti” del FAS, che ormai hanno raggiunto i 28 miliardi di euro sottratti al Mezzogiorno. Il Piano Sud presentato dal governo Berlusconi, dopo due anni di annunci e di rinvii, non contiene un euro di risorse aggiuntive, anzi nasconde una ulteriore riduzione dello stanziamento complessivo.
Infatti, con singolare coincidenza, mentre si annunciava il Piano, il Cipe definiva un ulteriore taglio di circa 5 miliardi dal FAS e un dimezzamento dei fondi per la Banda Larga.

Più investimenti pubblici.
Occorre anzitutto rilanciare una seria strategia di investimenti pubblici produttivi, a partire dal reintegro della dotazione nazionale del FAS. I fondi vanno concentrati su alcuni interventi mirati. Le grandi società pubbliche come Anas, Ferrovie dello Stato e Enel vanno impegnate ad aumentare significativamente i loro investimenti nel Mezzogiorno.

Una rete stradale efficiente.
Particolarmente urgente appare lo sviluppo di una rete stradale e ferroviaria oggi drammaticamente abbandonate da Salerno in giù.

Sviluppare l’impresa.
L’azione pubblica di sviluppo nel Mezzogiorno deve poi porre di nuovo al centro l’impresa.
L’obiettivo deve essere quello di stimolare cospicui capitali privati attraverso un sistema fiscale agevolato. Vanno perciò ripristinati il credito d’imposta per l’occupazione, il credito d’imposta per gli investimenti e le Zone Franche Urbane. È indispensabile per il Mezzogiorno il ritorno in campo di una politica industriale, perché l’industria è la via maestra per formare risorse manageriali, tecnologiche ed organizzative in grado di trasmettersi nella società circostante, alimentando processi innovativi. Ciò richiede l’identificazione all’interno dei piani nazionali di sviluppo industriale di alcune aree produttive che abbiano particolare potenzialità di sviluppo nelle regioni del Mezzogiorno, facendo leva anche su poli di eccellenza già esistenti: dall’aeronautica all’aerospazio, da alcuni comparti dell’agricoltura di qualità alle biotecnologie, alla microelettronica, alla logistica. Tali progetti dovranno inoltre fare leva su forme di partnership tra imprese, Università e centri di ricerca pubblici e privati.

Politiche ambientali.
In ambito ambientale, va impostato un piano industriale incardinato sulla filiera delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, sul recupero dei rifiuti, sulla realizzazione delle infrastrutture ferroviarie, portuali e idriche, sulla manutenzione e la messa in sicurezza del territorio.

Lavoro e occupazione.
Lo sviluppo concreto dei diritti di cittadinanza è l’altra chiave fondamentale per mobilitare le risorse del Mezzogiorno. Dove sta bene un cittadino sta bene anche un’impresa. C’è una generazione di giovani meridionali, che hanno raggiunto notevoli livelli di formazione, a cui è essenziale dare risposte in termini di opportunità di impiego e di realizzazione individuale. Vi è poi il basso livello di attività e di occupazione femminile, che è tra le cause principali della debolezza dell’economia meridionale.

Un welfare al femminile.
L’inadeguatezza del sistema di welfare continua a gravare sulla condizione delle donne meridionali, determinando conseguenze sul piano individuale, sociale e demografico. Compito di una nuova politica per il Mezzogiorno è quello di rimuovere questo handicap, che penalizza le donne e l’intera economia meridionale.

Riqualificazione del tessuto civile e sociale.
Nessuna politica nazionale per il Sud può essere credibile se si fonda solo su elementi economici e finanziari, senza avere il suo secondo pilastro, non meno essenziale, in un progetto di riqualificazione del tessuto civile e sociale del Mezzogiorno. Questo processo non può che passare attraverso il superamento di quella vera e propria desertificazione dei corpi intermedi della società meridionale che si è accentuata negli ultimi decenni, in misura ancora più forte che nel resto del Paese.
Il PD scommette sulla costruzione di un moderno partito inteso come soggetto collettivo, candidandosi ad essere il motore di una ricostruzione del tessuto democratico e partecipativo della società meridionale, senza il quale è impensabile riqualificare il ruolo della politica e promuovere una nuova classe dirigente.

_____________________________________________________________

Investimenti pubblici produttivi, una efficiente viabilità, lo sviluppo dell'impresa delle politiche ambientali, più lavoro ed occupazione, incentivi per le donne
_____________________________________________________________




Ministero per la Coesione Territoriale

Banca d'Italia - Mezzogiorno e politiche regionali *
“Nel Mezzogiorno risiede un terzo della popolazione italiana; si produce solo un quarto del prodotto interno; si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane. Un innalzamento duraturo del tasso di crescita di tutto il Paese non può prescindere dal superamento del sottoutilizzo delle risorse al Sud” (pag. 7).
A metà di questo decennio il PIL pro capite delle regioni meridionali non raggiungeva il 60 per cento di quello centro-settentrionale; alla metà degli anni sessanta tale ritardo era di dimensioni identiche.
La frattura territoriale nel nostro paese appare almeno altrettanto ampia, anche con riferimento ad indicatori di sviluppo più direttamente correlati alle condizioni materiali di vita delle popolazioni, come i tassi di occupazione, la diffusione della povertà, i livelli di istruzione o il funzionamento dei servizi pubblici locali. L’elevata ampiezza percepita dei trasferimenti di risorse effettuati nel corso dei decenni in favore delle aree meridionali acuisce il senso di insoddisfazione verso le attuali dimensioni del dualismo territoriale italiano” (pag. 427).
“Fino alla conclusione del XIX secolo, il PIL pro capite delle regioni meridionali non scese mai al di sotto del 90 per cento di quello centro-settentrionale” (pag. 427).
“Il dualismo economico italiano, che vede una quota rilevante della popolazione risiedere in un’area molto povera rispetto alla media nazionale, si presenta assai più grave rispetto agli altri paesi con livelli di sviluppo similari e si avvicina invece alle condizioni di disparità che caratterizzano i paesi economicamente meno avanzati” (pag. 430).
“I maggiori divari di reddito che il nostro paese mostra nel confronto internazionale sembrano quindi dipendere per intero dall’anomala dimensione della distanza fra regioni nelle diverse componenti del tasso di occupazione: la quota di forza lavoro occupata e, soprattutto, il tasso di attività della popolazione in età da lavoro. Quest’ultima variabile, in particolare, mostra un divario tra Mezzogiorno e Centro Nord di quasi 27 punti percentuali (Tavola 11), mentre nei paesi di confronto esso è mediamente inferiore a 5 punti” (pag. 435).
* 744 pagg., vi sono inclusi: informazioni utili per valutare la performance territoriale delle amministrazioni pubbliche ed un raffronto con la Germania Est (in 40 anni, la politica straordinaria ha speso nel Sud non più dello 0,7 per cento del Pil; per contro, per osservatori autorevoli tedeschi, “l’unità nazionale è un valore che trascende la logica economica, per il quale può ben valere la pena sacrificare il 5 per cento del PIL” - maggiore di quello italiano -  secondo le regole del federalismo cooperativo (Politikverflechtung), che costituisce il carattere saliente del modello politico tedesco. Secondo stime non ufficiali i trasferimenti lordi sarebbero ammontati per il periodo 1991-2003 a 1.250-1500 miliardi di euro, equivalenti a una media di 96-115 miliardi annui) (pag. 486).
Banca d’Italia - Il Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia
Roma, 26 novembre 2009
Indice
Presentazione del Presidente della Repubblica G. Napolitano.................. V
Intervento d’apertura del Governatore della Banca d’Italia M. Draghi..... VII
L’economia del Mezzogiorno
D. Franco.................................................................................................... 1
Sessione 1
IL SETTORE PRIVATO
1. Il capitale sociale
G. Barone e G. de Blasio .........................................................................   17
2. La difficoltà di fare impresa
M. Bianco e F. Bripi.................................................................................   25
3. Il sistema finanziario
L. Cannari e G. Gobbi .............................................................................   51
Discussione
M. Onado ................................................................................................   61
C. Trigilia.................................................................................................   65
Sessione 2
L’AZIONE PUBBLICA
4. Gli aiuti alle imprese
G. de Blasio e F. Lotti..............................................................................   71
5. L’istruzione
P. Cipollone, P. Montanaro e  P. Sestito..................................................   77
6. La sanità
D. Alampi, G. Iuzzolino, M. Lozzi  e  A. Schiavone.............................   105
7. I servizi pubblici locali
M. Bianco e  P. Sestito ..........................................................................   129
Discussione
M. Bordignon.........................................................................................   143
A. Laterza ..............................................................................................   151
Sessione 3
POLITICHE NAZIONALI O REGIONALI?
8. Bilancio pubblico e flussi redistributivi interregionali
A. Staderini, E. Vadalà ..........................................................................   157
9. Quali politiche per il Mezzogiorno?
L. Cannari, M. Magnani, G. Pellegrini ..................................................   169
Discussione
F. Barca...................................................................................................   173
A. Mancurti.............................................................................................   181
Tavola rotonda
I. Visco (moderatore)..............................................................................   191
S. Rossi...................................................................................................   195
E. Giovannini..........................................................................................   199
I. Lo Bello...............................................................................................   201
M. Salvati................................................................................................   205
G. Tabellini.............................................................................................   213

Rapporto SVIMEZ 2010 - Sintesi
Sul Manifesto, Giorgio Ruffolo sottolinea, nel rapporto SVIMEZ 2010, la proposta di una soluzione innovativa per risolvere la Questione meridionale.
Come abbiamo accennato nel post riportato più sopra, dato il sostanziale fallimento delle modalità con le quali si è affrontato finora questa questione, occorre prefigurare soluzioni innovative, che riguardino in primo luogo: a) l'assunzione della Questione meridionale come questione strategica nazionale; b) una rivoluzione culturale; c) investimenti infrastrutturali adeguati; d) una Pubblica Amministrazione efficiente; e soprattutto e) una classe dirigente all'altezza del compito; se occorre, il commissariamento delle Regioni inadempienti.
La proposta della SVIMEZ, evidenziata dall'articolo di Ruffolo, pone l'accento sull'ultimo punto.
Giorgio Ruffolo: RAPPORTO SVIMEZ “Una macroregione per curare il Sud” - 23.07.2010
“(…). Il Rapporto, però, non si limita a tracciare il desolante quadro. Diversamente dal riformismo chiacchierone, esso avanza le proposte di una radicale svolta della politica meridionalistica. Si tratta di tornare a una visione unitaria della "questione meridionale". A un piano del Mezzogiorno e ad una Agenzia destinata a dirigere e a gestire progetti strategici: acque, rifiuti, difesa del suolo, infrastrutture strategiche. Una riedizione aggiornata della "Cassa" posta sotto il controllo di un Consiglio con i rappresentanti del Governo (Ambiente e Infrastrutture) e delle otto Regioni. Si ricostituirebbe così uno spazio di programmazione unitario del Mezzogiorno, una "macroregione".
La proposta si avvicina molto a quella, ancor più radicale, che è stata da me avanzata (discussa su queste pagine) che prevede una riforma costituzionale, con la formazione di uno Stato federale composto da due macroregioni (del Nord e del Sud), legate da un patto e mediate da un governo nazionale con un presidente della Repubblica eletto dal popolo.
Il Rapporto Svimez costituisce un'occasione per realizzare un riforma costituzionale ispirata a un federalismo autenticamente unitario; per fare finalmente del problema meridionale una grande occasione di sviluppo per tutto il paese e per l'Europa”.


OCCUPAZIONE FEMMINILE.
Il dato aggregato italiano di inattività delle donne, pari (2010) al 48,6% (39,4% al Nord e 42,4% al Centro) è determinato dal peso negativo del Sud: “Nel Mezzogiorno, il tasso di inattività della componente femminile rimane particolarmente elevato ed è pari al 63,5 per cento”, (contro il 33,7 dei maschi).

NON E’ SOLO UN PROBLEMA DI RISORSE
A partire dal 1998-‘99, ho cercato di approfondire – in maniera empirica ed un po’ dilettantesca -  le cause della situazione meridionale e soprattutto della mentalità di noi meridionali, causa ed effetto insieme del sottosviluppo del Sud, attestato da tutti gli indicatori, arrivando ad alcune conclusioni che investono la dimensione culturale-antropologica e che indicano, quindi, le modalità più efficaci di intervento. Tutti i dati economici [*] dimostrano: a) la correlazione tra ruolo e grado di partecipazione della donna e indice di sviluppo di un Paese; b) che anche la fredda Germania dell’Est (cfr. “Banca d'Italia - Mezzogiorno e politiche regionali”, destinataria di imponenti risorse dopo l’unificazione (molto superiori a quelle riversate nel nostro Mezzogiorno), dopo aver migliorato notevolmente tutti i propri indicatori in un arco temporale relativamente breve, non riesce a colmare i gap, a parere di molti, per motivi culturali; c) oltre alle infrastrutture e agli incentivi, occorre quindi un grande progetto educativo che abbia come soggetto ed oggetto la donna, fulcro dell'educazione meridionale.

[*] Partecipazione della donna e indice di sviluppo di un Paese.
Nella (lunga ed ultima) nota 18-Questione femminile e Mezzogiorno, in un documento di 11 pagine con delle mie proposte (http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2593370.html oppure http://vincesko.blogspot.it/2015/03/questione-femminile-questione.html ), tutti i dati economici dimostrano:
a) la correlazione tra ruolo e grado di partecipazione della donna e indice di sviluppo di un Paese;
b) che anche la fredda Germania dell’Est (cfr. “Banca d'Italia - Mezzogiorno e politiche regionali”, destinataria di imponenti risorse dopo l’unificazione (molto superiori a quelle riversate nel nostro Mezzogiorno), dopo aver migliorato notevolmente tutti i propri indicatori in un arco temporale relativamente breve, non riesce a colmare i gap, a parere di molti, per motivi culturali.
Riporto il testo della nota18:
[18] Questione femminile e Mezzogiorno
Sembra proprio ci sia relazione tra ruolo e grado di partecipazione della donna e indice di sviluppo di un Paese.
Secondo il IV Rapporto Onu sullo sviluppo umano nei paesi arabi
http://www.resetdoc.org/story/00000000366
“il tasso di occupazione femminile (cioè la percentuale di donne dai 15 anni in su che forniscono lavoro o sarebbero disponibili a farlo) si ferma al 33%, rimanendo così il più basso del mondo”.
E “gli autori del Rapporto non esitano a sostenere che proprio dalla conquista della piena autonomia da parte delle donne potrebbe partire la rinascita commerciale, economica e culturale dei paesi arabi”.
Dal Rapporto ONU sullo Sviluppo Umano 2010, si ricava che:
“I paesi arabi includono cinque dei 10 “Top Movers” ovvero le nazioni (sulle 135 oggetto della ricerca) che hanno mostrato la migliore performance nell’ISU [Indice di Sviluppo Umano] a partire dal 1970: Oman (n.1), Arabia Saudita (n. 5), Tunisia (n. 7), Algeria (n. 9) e Marocco (n. 10). Nell’Indice di disuguaglianza di genere (IDG), tuttavia, gli Stati arabi registrano un ISU regionale medio del 70 percento, ben al di sopra della perdita mondiale media del 56 percento. All’ultimo posto nella classifica mondiale relativa all’IDG è lo Yemen, con una perdita ISU dell’85 percento”.
http://www.perlapace.it/index.php?id_article=5479
Dal Rapporto ISTAT relativo al II trim. 2010 (tabb. 13 e 14)
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/forzelav/20100923_00/testointegrale20100923.pdf , si ricava che il dato aggregato italiano di inattività delle donne, pari al 48,6% (39,4% al Nord e 42,4% al Centro) è determinato dal peso negativo del Sud: “Nel Mezzogiorno, il tasso di inattività della componente femminile rimane particolarmente elevato ed è pari al 63,5 per cento”, (contro il 33,7 dei maschi).
Occorrerebbe – come per i Paesi arabi – rimuovere questo macigno operando congiuntamente su due direttrici: quella economica e quella culturale.

“Educazione dei figli, in famiglia, dalla gravidanza a tre anni”


Post, articoli e scritti collegati:

Proposte per il Partito Democratico campano (2007-2008)
Del post, riporto la chiusa:
          Ciò che ho raccontato, che poi si è ripetuto altrove, costituisce un veridico, piccolo spaccato della realtà meridionale, fatta di un cerchio esterno, in cui si dispiegano le dinamiche della società, determinate prevalentemente dalla cultura, che è il portato di una storia millenaria fortemente condizionata dalla religione cattolica; e di un cerchio interno, nel quale agisce la politica, che sconta un duplice, negativo, biunivoco effetto di condizionamento: quello, endogeno, dei suoi valori e delle sue regole, non sempre accettabili e condivisibili, comuni in fondo a quelli delle altre aree del Paese, e quello esogeno, con caratteristiche invece tipiche, determinato dall’ambiente culturale generale.
La complicata, annosa questione meridionale è fatta anche di questo: un doppio conservatorismo, quello della società civile in generale e quello del ceto politico che ne è (quasi sempre, purtroppo) fedele espressione.

A Romano Prodi (come ho raccontato nel post "Questione femminile, questione meridionale, rivoluzione culturale e progetto educativo"), scrissi una lettera alla fine di gennaio 2006, quando egli era già candidato per l'Unione, per segnalargli che le misure economiche da sole erano insufficienti per risolvere la questione meridionale, e che esse dovevano essere accompagnate da una rivoluzione culturale avente come fulcro la donna meridionale, da trasformare da problema e fattore di conservazione a risorsa e motore del cambiamento. Della lettera, riporto il passo conclusivo:
 “Il terzo ed ultimo motivo consiste nel proporLe il seguente, provocatorio, apparentemente semplicistico, “pericoloso” interrogativo, di ordine –come dire? - cultural-antropologico (senza alcuna valenza anti-femminista): ogni meridionale si crede un padreterno, quindi perfetto per definizione (Tomasi di Lampedusa lo scrive ne Il Gattopardo, riferendosi ai siciliani); dopo questa perniciosa convinzione, è la donna (prepotenza privata, assenza pubblica: binomio forse non casuale) il principale fattore di conservazione e di freno nel Sud, soprattutto nel suo ruolo di mamma e/o di insegnante? Per parte mia, con qualche eccezione, do, purtroppo, una risposta affermativa. Se è così, occorrerebbe tenerne conto nella definizione di qualunque strategia e dei relativi programmi politici – scolastici, culturali, economici - relativi al Mezzogiorno. Con qualche attenzione anche al ruolo di mamma Chiesa: mamma+insegnante donna (oggigiorno, la stragrande maggioranza del corpo insegnante)+chiesa sono state e sono una miscela formidabile e preponderante nella formazione e nell’educazione delle generazioni meridionali”.
“Solo una riscossa etica e politica può salvare il Mezzogiorno.
Il peso dell’illegalità”
Una riscossa etica per salvare il Sud
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 23 ottobre 2011

Appendice.

   Anche se la Lega Nord (il partito insieme più leninista e più materno che esisteva in Italia e forse in Europa, retto da un dittatore, mammone con i figli, che accusa ora tutti i limiti del male che lo colpì, e con una classe dirigente, tranne poche eccezioni: Maroni, Calderoli e pochissimi altri, fatta di persone di basso livello; un partito abile talmente da essere diventato – come fu fatto opportunamente notare dal presidente della Svimez, Nino Novacco – il migliore interprete del detto napoletano “chiagne e fotte”, come ha fatto nel caso dei fondi FAS, stornati dal ministro Tremonti... anticipando il federalismo fiscale) è riuscito ad imporre alla politica nazionale una letteralmente inventata “questione settentrionale”, come se il reddito pro-capite del Nord non fosse il doppio di quello del Mezzogiorno, e questo non fosse insieme un comodo mercato di sbocco ed un serbatoio di laureati e di manodopera qualificata, ed i finanziamenti pubblici destinati al Sud non rifluissero da sempre in buona parte verso le aziende e gli imprenditori del Nord; nonostante tutto questo, sta tornando piano piano ad imporsi sulla scena della vita pubblica e nel dibattito politico la vera, autentica, storica  questione territoriale italiana: la “Questione meridionale”.
   Ritengo utile perciò, cercando di parlarne in maniera il più possibile obiettiva e documentata, giustapporre punti di vista diversi.
   Per il Sud, ho già scritto che cosa occorrerebbe fare. Secondo me, ci vuole: a) prima di tutto, una rivoluzione culturale (vasto programma, direbbe De Gaulle); poi ovviamente b) investimenti infrastrutturali; c) una Pubblica Amministrazione efficiente; e soprattutto d) una classe dirigente all'altezza del compito; se occorre, il commissariamento delle Regioni inadempienti (il problema – permettetemi la battuta - è forse dove trovare il commissario da designare).
   Do qualche dato. Tra il 1998 (anno di avvio della 'nuova programmazione') e il 2004, è stata conferita al Sud una massa di risorse pari a 120 miliardi di euro di spesa pubblica in conto capitale, di cui poco più di 55 miliardi di euro di spesa straordinaria. A fronte di tante risorse, le distanze fra il Centro-Nord e il Sud del Paese sono rimaste quasi inalterate. In questi ultimi anni, l'economia meridionale è diventata, anzi, ancor meno competitiva. E' evidente la responsabilità delle classi dirigenti meridionali. La Lega Nord ed altri pensano che con il federalismo fiscale si possa risolvere il problema. Anch'io penso che possa servire.
   Le richieste principali che avanzano gli investitori esteri sono: 1. avere un interlocutore unico; 2. una giustizia più efficiente. In definitiva, è un problema di PA.
Quello che chiedono gli industriali italiani, invece, è un efficiente sistema di infrastrutture, un contrasto efficace alla criminalità organizzata e una fiscalità di vantaggio che attiri nuovi investimenti.
   Comincio allegando:
un commento di Francesco Daveri di Lavoce.info, del 2006, che mette a confronto i giudizi discordanti di due economisti (entrambi di sinistra): Nicola Rossi (negativo) e Fabrizio Barca (positivo) sugli effetti della 'Nuova Programmazione 1998-2004':
Due regioni, una sola economia
di Francesco Daveri   22.02.2006
e, per stare sull'attualità, e sulla destinazione recente dei fondi, due articoli più recenti:
Chi toglie soldi al sud
di Gianni Pittella e Stefano Fassina   10 luglio 2010
link sostituito da:
Editoriale: Vizi e pregiudizi contro lo sviluppo
Le tante bugie tra nord e sud
Angelo Panebianco   10 luglio 2010

Nel 'post' iniziale ho scritto che per il Sud ci vorrebbe: “d) una classe dirigente all'altezza del compito; se occorre, il commissariamento delle Regioni inadempienti”.
Ecco in questo articolo di Repubblica la stessa, autorevole, richiesta.

CAMORRA
Le mani dei Casalesi su appalti ed elezioni
Setola a Luigi Ferraro: "Digli a tuo fratello di non preoccuparsi perché tra due giorni gli facciamo un bel regalo". Nicola Schiavone alla fidanzata: "Te lo devi prendere tu il lavoro..."
di Roberto Saviano   13 luglio 2010
Ma la domanda che viene da tutto questo è: com'è possibile che tutto questo lasci indifferente un paese? Com'è possibile davvero che si blateri che raccontare queste storie sia un modo per diffamare il territorio? Quando gli affari, la corruzione estrema ha ormai eliminato la possibilità di sviluppare una politica sana. Una impresa libera dai clan. Quando non sembra esserci altra alternativa che o corrompersi o emigrare. Non sembra altra soluzione che pensare alla possibilità che le istituzioni politiche campane siano tutte commissariate, dalla provincia alla regione sino a quando non riusciranno a garantire un minimo sufficiente di legalità. (…).

A proposito della rivoluzione culturale e del correlato progetto educativo quale variabile critica per lo sviluppo del Sud, riporto qui di seguito quanto affermato nel 2010 dalla Conferenza dei Vescovi.
Aggiungo 2 osservazioni:
1. come ho già scritto nel thread "Questione meridionale, Questione femminile, Rivoluzione culturale e Progetto Educativo”, gli uomini di Chiesa, in alcune aree del Mezzogiorno, rappresentano dei forti punti di riferimento positivi;
2. tuttavia va anche detto con franchezza che la "mentalità inoperosa e rinunciataria" delle popolazioni meridionali è anche il portato dell'insegnamento millenario della Chiesa cattolica.

I vescovi: mafia e corruzione, la politica usa il sud per i voti e ne trascura lo sviluppo
24 febbraio 2010
Per risolvere la questione meridionale, è necessario far crescere il senso civico di tutta la popolazione, ricostruire la "necessaria solidarietà nazionale", ma è anche urgente "superare le inadeguatezze presenti nelle classi dirigenti". E' quanto afferma il nuovo documento dei vescovi italiani su "Chiesa e mezzogiorno", diffuso oggi.
(…). SUPERARE MENTALITA' INOPEROSA E RINUNCIATARIA
Le risorse "preziose" del Sud "stenteranno a sprigionarsi fino a quando gli uomini e le donne del Sud non comprenderanno che non possono attendere da altri ciò che dipende da loro". "Va contrastata - scrivono i vescovi nel nuovo documento sulla situazione del Sud - ogni forma di rassegnazione e fatalismo". "Una mentalità inoperosa e rinunciataria può rivelarsi un ostacolo insormontabile allo sviluppo, più dannoso della mancanza di risorse economiche e di strutture adeguate",(...).

Alcune cose che si possono leggere in questo articolo de Il Sole-24 ore richiamano gli stessi concetti. L'impostazione generale dell'analisi è quasi quella che io ho indicato essere la sola veramente efficace per la Calabria e l'intero Sud nel thread “Questione meridionale, Questione femminile, Rivoluzione culturale e Progetto educativo” (manca, come è ovvio, qualunque riferimento al progetto educativo). Sono anch'io scettico – l'ho già scritto - che possa essere realizzata per iniziativa delle sole forze endogene. Occorre che sia lo Stato, uno Stato rinnovato, a promuovere con determinazione le condizioni perché un modo nuovo di governare il Mezzogiorno sia possibile, nell'interesse dell'intero Paese.

Il Sole – 24 ore
QUESTIONE MERIDIONALE / Il Sud nel triangolo del non fare
di Carlo Carboni   18 Novembre 2009
(…). Mentre l'Est della Germania ha in vent'anni dimezzato le distanze dall'Ovest in termini di Pil procapite (per non citare la qualità della vita di una grande capitale come Berlino), il Mezzogiorno,in 150 anni di unità d'Italia, ha faticato a mantenere inalterato il gap che lo separa dal Centro-Nord.
 Le scienze economiche e sociali, con amarezza, diagnosticano infatti la diffusione di capitale sociale negativo (soprattutto nelle regioni e città più popolate del Sud), il quale rende elevati i costi di transazione, di scambio. In altre parole, sono carenti le economie esterne, le infrastrutture e i servizi, ma soprattutto sono certi tipi di relazionalità, come il clientelismo politico e le reti mafiose, a rendere alcune aree chiave meridionali allergiche al mercato economico.
In primo luogo, le mafie sono i principali responsabili dei drammatici ritardi delle quattro grandi e popolose regioni meridionali. Campania, Calabria, Puglia e Sicilia oggi sono tra le regioni più povere e statiche in Europa. Le reti di relazioni di tipo mafioso entrano in circolo nelle arterie istituzionali e soprattutto fluiscono, infettandoli, nei capillari familiari, parentali, di comunità locale. In secondo luogo, i ceti ristretti politico-istituzionali locali, con le loro promesse mancatee i loro deprecabili sprechi, appaiono i demiurghi di un'immagine del Mezzogiorno che ha tradito le aspettative degli italiani, dopo anni di ingenti investimenti pubblici.
Il terzo giocatore avverso è diffuso nella società stessa. Questa, infatti, vive e subisce il pan politicismo e usufruisce a volte delle scorciatoie mafiose. Ne sono esempi l'abusivismo edilizio endemico che ferisce per sempre il paesaggio, la leva delle raccomandazioni per ottenereun impiego nella PA periferica o strappare un sussidio immeritato, l'evasione fiscale, il lavoro nero, lo scempio dei rifiuti.
Come prescrivere una ricetta per il Sud? In primo luogo, un possibile antidoto per ribaltare il capitale sociale negativo meridionale è costruire un cartello di soggetti istituzionali, parti datoriali e sociali, banche, forze ambientali e culturali che esprimano una governance del territorio e dello sviluppo locale meridionali in funzione della programmazione e del controllo dei finanziamenti pubblici e privati. In secondo luogo, servirebbe non il Partito del Sud, ma un patto nazionale per lo sviluppo del Mezzogiorno. (…).

Faccio notare:
1.  che, nel 'post' iniziale, ho allegato un'analisi comparativa di Francesco Daveri dei giudizi di Fabrizio Barca (positivo) e di Nicola Rossi (negativo) sugli effetti della “Nuova programmazione” relativa al periodo 1998-2004.
Ecco le sue conclusioni:
Conclusioni
L’analisi comparata dei dati macroeconomici regionali mostra che l’andamento delle economie del Mezzogiorno e del Centro-Nord è stato negli ultimi anni meno differenziato che in passato. Il rallentamento della produttività è stato marcato al Centro-Nord come al Sud. E il boom dell’occupazione è stato presente in tutte e due le aree geografiche.
Ciò segnala che i problemi (e le opportunità) riguardano l’economia italiana nel suo complesso, non un’area piuttosto che l’altra – una notevole novità rispetto al passato. Chissà, se la continuazione e la piena attuazione delle politiche di riforma contribuiranno al ritorno alla crescita dell’Italia nei prossimi anni, forse finiremo per dare meno importanza alla persistenza del divario tra Centro-Nord e Sud.
2. che la Questione meridionale non può essere affidata ai soli meridionali, dimostratisi non  all'altezza del compito, ma deve tornare ad essere una grande questione nazionale, che esige l'unione delle forze, nell'interesse di tutta l'Italia;
3. che, quando c'è stato il ministro filoleghista Tremonti a dettare la linea della politica economica del governo Berlusconi, sia l'entità dei fondi destinati al Sud, sia gli indicatori economici relativi al Sud sono stati in netto calo.

Non so molto di storia, lo riporto come contributo all'analisi e alla discussione.
La gestione “saccheggiatrice” dei fondi FAS da parte del filoleghista ministro incompetente dell'Economia, Giulio Tremonti, impallidisce di fronte alla vera e propria spoliazione del Sud da parte del Nord dopo l'Unità d'Italia: la questione meridionale, secondo Pino Aprile, giornalista e scrittore, pugliese, residente ai Castelli Romani, anni di lavoro a Milano. È stato vicedirettore di Oggi e direttore di Gente; per la Tv ha lavorato con Sergio Zavoli all’inchiesta a puntate “Viaggio nel Sud” e al settimanale di approfondimento del Tg1, Tv7).
L'intervista:
Il libro “Terroni" di Pino Aprile

E' successo la prima volta che ho letto Il Manifesto.it; l'ho incrociato casualmente facendo la ricerca sull'ex finiana Anna Maria Bernini. Nel '70-71, quando ero a Milano, leggevo Il Giorno, quotidiano di proprietà dell'ENI, con direttore il socialista ed ex partigiano Italo Pietra, e che annoverava giornalisti del calibro di Giorgio Bocca e Gianni Brera (che poi ho ritrovato con la Repubblica, nel 1976). Poi, dal '72-73, passai a leggere Il Corriere della Sera, quando ne diventò direttore Piero Ottone, che chiamò a scrivervi Pierpaolo Pasolini (i famosi “scritti corsari”, tra cui quello memorabile del Processo alla DC). Ma qualche volta compravo Il Manifesto, di domenica o quando gli altri giornali erano in sciopero (essendo una cooperativa, era esentato) o quella volta che fu messo in vendita a 10 mila lire (che allora era una bella cifra) la copia, poiché stava per chiudere perché in bolletta (condizione abituale, peraltro).
E’ stato sul Manifesto che ho trovato il commento di Giorgio Ruffolo, che ritengo molto interessante, perché egli sottolinea nel rapporto SVIMEZ, che ho allegato più sopra (ma la sintesi disponibile on-line non lo riporta), la proposta di una soluzione innovativa per risolvere la Questione meridionale.
Come ho scritto più sopra, dato il sostanziale fallimento delle modalità con le quali si è affrontato finora questa questione, occorre prefigurare soluzioni innovative, che riguardino in primo luogo: a) l'assunzione della Questione meridionale come questione strategica nazionale; b) una rivoluzione culturale; c) investimenti infrastrutturali adeguati; d) una Pubblica Amministrazione efficiente; e soprattutto e) una classe dirigente all'altezza del compito; se occorre, il commissariamento delle Regioni inadempienti.
La proposta della SVIMEZ, evidenziata dall'articolo di Ruffolo, pone l'accento sull'ultimo punto. 
COMMENTO   |   di Giorgio Ruffolo
RAPPORTO SVIMEZ
Una macroregione per curare il Sud
23.07.2010

Un'ipotesi di commissariamento del Sud? Come ho già detto, il problema è forse dove trovare il commissario da designare.
Il commento
Nord e Sud, un'unità che va ritrovata
Ernesto Galli della Loggia   29-08-10
(…). Un partito che oggi volesse avere una funzione davvero nazionale dovrebbe dunque partire da qui. Dal capire senza esitazione le fondate ragioni del Nord e cercare di combinarle con quelle del Sud. Che ci sono, ma non sono presentabili all'opinione pubblica del Paese con qualche possibilità di successo fintanto che non le si strappa dalle mani di chi finora ha governato il Mezzogiorno, da destra e da sinistra, da Napoli a Palermo, nel modo sciagurato che sappiamo.

Questo articolo fa un quadro sconfortante, ma purtroppo veritiero della Campania.
Come se ne esce, se non con un grosso progetto educativo che affronti il problema alla radice: nella famiglia, in modi adeguati?
Ribadisco ancora una volta, dato il sostanziale fallimento delle modalità con le quali si è affrontato finora la questione meridionale, occorre prefigurare soluzioni innovative, e cioè: l'assunzione della Questione meridionale come questione strategica nazionale, una rivoluzione culturale e, se occorre, il commissariamento del Sud o l'adozione della proposta della SVIMEZ, evidenziata più sopra. Ne dovremo fare oggetto, intanto, delle proposte al programma del PD.
I campani non fanno una piega

Dalle Memorie di Giuseppe Garibaldi, nell'edizione Einaudi del 1975, né Giuseppe Mazzini, né i Piemontesi (al re dei quali, G. portò in dono l'intero Sud) ne escono molto bene. Questo film sul Risorgimento è dello stesso avviso. In ogni caso, ancor più della politica estera, forse sarebbe utile interessarsi un po' di più della storia nazionale.

IN CONCORSO ALLA MOSTRA DI VENEZIA 2010
"Italia gretta, superba e assassina". L'amara storia secondo Martone
"Noi credevamo", terzo film italiano in gara, accolto con applausi dalla platea di giornalisti. Uno sguardo senza retorica sul Risorgimento: "Ma la spinta autoritaria arriva fino a oggi"
dal nostro inviato CLAUDIA MORGOGLIONE   07 settembre 2010

Se i leghisti s'interessassero un po’ di più di storia nazionale, potrebbero rischiare di leggere - e forse per loro vergogna andarne perfino fieri - quello che scrisse nelle sue Memorie Giuseppe Garibaldi, che io ho riportato nel mio commento ad una delle Storie di Paolo Rumiz (cfr. più sotto "Il bimbo al posto della pistola") ed al quale non a caso ho dato il titolo "Protoleghismo lombardo").

PROTOLEGHISMO LOMBARDO. Ricavo dall'edizione Einaudi del 1975 delle 'Memorie' di Giuseppe Garibaldi, pag. 201: (Dopo l'armistizio Salasco del 9 agosto 1848 tra il Re tentenna Carlo Alberto e l'Austria). Feci riprendere la via del Ticino al capitano coi pezzi; e rimasero con noi i militi, pochi, ma buona gente. Era necessario muoversi, e cambiare di posizione quasi ogni notte per ingannare i nemici, che per sventura d'Italia, massime in quei tempi, trovavan sempre una massa di traditori, disposti a far loro la spia, mentre per noi, anche con pugni d'oro, era difficile sapere esattamente del nemico. Qui facevo le prime esperienze del poco affetto della gente della campagna per la causa nazionale. Sia per essere essa creatura e pasto di preti, sia per esser generalmente nemica dei propri padroni, che, coll'invasione straniera, eran, per la maggior parte, obbligati ad emigrare, lasciando così i contadini ad ingrassare a loro spese.

Un'analisi obiettiva, razionale, storica, a-ideologica, pragmatica non può non indicare come la soluzione principale al problema delle mafie sia la legalizzazione del consumo delle droghe. A questa risoluzione sono pervenuti anche eminenti uomini di destra (ad esempio Teller, il padre della bomba H) e addirittura uno Stato sovrano come il Messico, infestato dal narcotraffico.
Quando fu eletto Reagan, una delle decisioni più reclamizzate del presidente del Paese più ricco e potente del mondo fu quella di nominare il cosiddetto "zar" antidroga, dandogli molti poteri e molti mezzi. Fu un completo fallimento.
Quando una sostanza - la droga - solo per effetto del proibizionismo moltiplica per migliaia di volte il suo valore commerciale ed il profitto che ne può derivare, non c'è zar o aumento dei mezzi di contrasto che tenga. Occorrerebbe intelligentemente prenderne atto.

Prescindendo dalla facile considerazione che il ministro-sedicente-socialista Brunetta è così severo con gli altri come riflesso di sue probabili magagne psicologiche, che ne fanno, in fondo, come l'ha giudicato “Europa”, un mediocre, io, campano, francamente non gli do tutti torti quando individua nella Calabria e nella direttrice Napoli-Caserta l'epicentro del sottosviluppo culturale prima che economico del Mezzogiorno. La ritengo una critica fondata e quindi salutare per il Sud. Ed è una sfida da accettare, non l'occasione per reagire col solito piagnisteo vittimistico.

Brunetta: Se non avessimo Calabria Napoli-Caserta saremmo primi in Europa
11 settembre 2010

IL CASO
Frasi-choc di Brunetta su Napoli
Monsignor Riboldi: "Sono spacconate"
Replica del vescovo di Acerra alle frasi sulla conurbazione Napoli-Caserta del ministro della pubblica istruzione.  "Il ministro dovrebbe essere più equilibrato nei suoi giudizi. Bisogna conoscere le cose di cui si parla"
12 settembre 2010

La replica di Renato Brunetta:

Detto da non credente: se neanche il cardinale Sepe, che presumo sia in stretti rapporti con San Gennaro, nutre molte speranze, la situazione dev'essere proprio brutta. Eppure, per far fronte alla emergenza... perenne, basterebbe un solo piccolo-grande provvedimento legislativo del Governo e della Regione Campania, composto di 3 commi:
- comma 1- abrogazione di alcune leggi (vedi elenco, da stilare: ad esempio, i fondi per la formazione, che servono solo agli Enti di formazione!) che finanziano, con fondi nazionali e/o europei, settori/categorie/soggetti specifici;
- comma 2 - introduzione imposta di scopo (sul patrimonio);
- comma 3 - reddito minimo di cittadinanza (come in tanti Paesi europei, retti da governi di sinistra o di destra), a carattere universale.

19/9/2010 (10:28) - LE CELEBRAZIONI PER SAN GENNARO
Il cardinale Sepe: a Napoli non c'è più pane nè speranza
«Bisogna che tutti si facciano un serio esame di coscienza»

Ho scritto che il riscatto del Sud deve cominciare dalla Calabria. Ecco il video sulla grande manifestazione contro la 'Ndrangheta che si è svolta nel 2010 a Reggio Calabria.

Bell'articolo! Nella sua cruda terribilità.
Italia: notizie dai confini
di Furio Colombo
(Intervista del governatore della Campania, Caldoro).
Una polemica con il governo, intanto, l'ha aperta anche lei attaccando il Cipe che ha assegnato fondi solo al Nord e poi chiedendo ai suoi colleghi governatori meridionali di disertare le prossime riunioni. Ha cambiato idea?
"No, le cifre parlano chiaro. Nella riunione di giovedì sono stati assegnati 21 miliardi al Nord e duecento milioni al Sud. La prossima volta sarà opportuno che le regioni meridionali disertino il Cipe".

Piano per il Sud? Il gioco delle tre carte
Il Consiglio dei ministri approva il Piano per il Sud ma non dà nessuna garanzia circa la copertura finanziaria. Bersani: “si sono presi 4-5 miliardi dai fondi Fas e hanno ripubblicizzato il Mediocredito. Il resto sono solo parole senza cassa, siamo alle solite, al gioco delle tre carte”

Infine, riporto:

CAMICIE ROSSE di Paolo Rumiz
Sulle strade delle camicie rosse con l'allegra banda garibaldina
Il posto di Anita al di là del fiume
Quella casacca alla Bud Spencer
Quelli che odiano i baciamani
L'eroico blitz sulla ciminiera

Ecco la seconda cinquina delle godibili Storie di “Camicie Rosse” di Paolo Rumiz
L'eroe dei due mondi politici
La discesa dei ribelli sull'Adige
La storia del partigiano Grozni
L'altro verso dei lombardi
Davanti al poncho che parla

Terza cinquina delle Storie delle “Camicie rosse” di Paolo Rumiz:
Il fantasma della contessa triste
In treno con il tricolore
Sotto l'obelisco della laicità
La pianola di Garibaldi
Il frate con la scimitarra

La quarta cinquina delle Storie delle “Camicie rosse” di Paolo Rumiz (dalla Sicilia alla Calabria):
La bacchetta del contastorie
Peppineddu e il mito perenne
Il re ipnotico della lentezza
Bronte e Roma allo specchio
L'odore della sconfitta

L'ultima serie delle bellissime Storie delle “Camicie rosse” di Paolo Rumiz (dalla Calabria alla Puglia alla Campania a Roma a Caprera). W Garibaldi!
Nella Sherwood del Sud
Il trombettiere di Custer
Il massacro dimenticato di Pontelandolfo
Quando i bersaglieri fucilarono gli innocenti
La terra delle mille utopie
Il bimbo al posto della pistola
Le orecchie ritrovate


Post precedenti:

Le proposte del Partito Democratico/1 - Lavoro

Le proposte del Partito Democratico/2 – Famiglia e Politiche sociali

Le Proposte del Partito Democratico/3 - Fisco

Le proposte del Partito Democratico/4 - Scuola

Le proposte del Partito Democratico/5 - Giustizia

Le proposte del Partito Democratico/6 - Salute

Le proposte del Partito Democratico/7 - Immigrazione

Le proposte del Partito Democratico/8 - Cultura

Le proposte del Partito Democratico/9 - Sicurezza

Le proposte del Partito Democratico/10 – Green Economy


Nessun commento:

Posta un commento