venerdì 26 giugno 2015

In Italia, Paese femmina, la lamentela non è peccato


A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 373 del 10-09-13 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
In Italia, Paese femmina, la lamentela non è peccato


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Italia: Paese-femmina del melodramma e dell’isteria.
Lo sport nazionale più diffuso non è, come si crede comunemente, il calcio, ma la lamentela.
Per fare un semplice ma significativo esempio: la telecronaca collegiale (ma quanti sono a commentare una partita? non si potrebbero risparmiare dei soldi e destinarli al welfare dei precari?) in occasione – invero particolare – della partita Italia-Serbia: fu la rappresentazione plastica di quel che è (diventata?) la caratteristica distintiva dell’italiano medio (il 90%?): un oscillare dalla normale, consueta, lamentosa recriminazione, appunto, all’acme – in caso di avvenimenti stressanti – di una prolungata, contagiosa lamentazione isterica collettiva.
Ho da tempo fatto mio e adottato per motto – e lo suggerisco a tutti e andrebbe insegnato nelle scuole e soprattutto in famiglia e nel mondo del calcio – il monito di un prete del Nord: LA LAMENTELA E’ PECCATO.
Ovviamente, questo è un portato della nostra cultura, sedimentatasi nei secoli
L’Italia è un Paese femmina. Lo affermava indirettamente Montanelli, [1] che diceva che gli Italiani sono poco maschi, gli Spagnoli troppo maschi. Lo sosteneva anche Gianni Brera, [2] a proposito della tattica di gioco calcistica più adatta alla Nazionale, che secondo lui era e doveva rimanere quella – “femminile” – del gioco difensivo e del contropiede [in polemica con Sacchi].
La “femminilizzazione” dell’intera società italiana è un dato ormai acquisito per i sociologi e gli psicologi. Così pure è evidente la femminilizzazione del corpo docente della scuola, in particolare nei primi gradi.
Nel ‘post’ Sono Invalsi i giudizi , scrissi:
L’educazione (di cui la scuola è una componente importante, ma che viene dopo la famiglia) mi appassiona, perché è il problema cruciale in Italia, da cui dipendono tanti altri.
Il nostro è un popolo antico, cinico, mammone e a-meritocratico.
I soggetti principali, checché se ne dica, che hanno agito e continuano ad agire in profondità e ne costituiscono il sostrato culturale più autentico – e conservatore – sono, da una parte, mamma-Chiesa – oscurantismo, nepotismo, controriforma, anti-giansenismo (non è l’uomo che si deve elevare per meritare la grazia, operando bene, ma il contrario) e, dall’altra, la donna-mamma, soggetto dominante nella sfera privata. In Italia, soprattutto al Sud, vige il matriarcato. Ora la donna ha preso in mano anche le redini della scuola.
La soluzione è nell’educazione, prima in famiglia (in senso lato) e poi a scuola, che devono svolgerla tenendo insieme la dimensione affettiva (amore) con la dimensione etico-normativa (regole): la sola educazione positiva, completa e che costituisce un fattore protettivo enorme; la sola capace di formare individui forti ed equilibrati, e non soggetti deboli e con l’idiosincrasia alle valutazioni ed ai controlli…. E, aggiungo ora, alle TAV, a prescindere.

[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Indro_Montanelli
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Brera
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Arrigo_Sacchi


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Ilaria Betti, L'Huffington Post  |  Pubblicato: 06/03/2014
Come facciamo a tornare galline?
"Attraverso il buon esempio, attraverso persone grandi che ricoprano ruoli chiave, che invece di lamentarsi cerchino soluzioni, che diano il buon esempio. Siamo il Paese più lamentoso del mondo ma è da dilettanti lamentarsi, è da grandi cercare soluzioni. Basta dire ‘Piove, governo ladro!'"


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