lunedì 11 maggio 2015

L’istruzione è alleanza famiglia-scuola

A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato finora quasi 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 183 del 14-09-2012 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
L’istruzione è alleanza famiglia-scuola

L'istruzione nei Paesi avanzati, e non solo, è una priorità, lo dovrebbe essere a maggior ragione per l'Italia che - non avendo risorse materiali - dovrebbe investire in capitale umano. Ostano oggi (ragionando per il futuro) due fattori: 1) la penuria di risorse pubbliche, aggravata ora dal vincolo del pareggio di bilancio; 2) l'inefficienza (misurabile dall'output, dai risultati: il parametro da considerare è il livello medio), consolidata nei decenni, del settore istruzione, che è diventato, in assenza di alternative più appetibili, uno sbocco occupazionale per un “esercito” male retribuito, che attrae quindi non sempre i più idonei, competenti e motivati. Il tutto aggravato dall'insufficiente (eufemismo) cooperazione tra la scuola e la famiglia, poiché, come spiegava tempo fa Marco Rossi Doria a "Tutta la città ne parla", almeno per le Elementari, “l'insegnamento è 50% didattica e 50% alleanza insegnante-genitori”. Invece, spesso, al posto della cooperazione, c’è una guerra: tra donne, visto il grado di femminilizzazione del corpo insegnanti e l’evoluzione demografica (famiglie monoparentali con figli affidati alla madre) e culturale (una sorta di familismo amorale mammone, iper-permissivo, a-meritocratico) della famiglia italiana, dove la figura materna la fa da padrona (ma il matriarcato, almeno al Sud, esiste da secoli e non è mai scomparso; il Centro-Nord si sta omologando).
Ed invece la cooperazione, per eliminare o almeno ridurre fortemente le disuguaglianze, dovrebbe diventare strutturale, con una divisione formale di compiti tra la famiglia, nel periodo fondamentale dalla gravidanza a 3 anni (v. il mio ‘post’
Delle materie di studio deve far parte necessariamente anche l’educazione sessuale (ma è meglio parlare più semplicemente di istruzione o informazione sessuale, cominciando, come dico al 3° punto del mio progetto educativo linkato sotto, dalla NON repressione delle curiosità sessuali), poiché Freud – che si sa era un po’ fissato per il sesso – ravvisava una relazione tra questo e lo sviluppo intellettivo, segnatamente delle femminucce (cfr. . “Curiosità sessuali represse e sviluppo intellettuale/1 http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2558195.html oppure http://vincesko.blogspot.it/2015/03/curiosita-sessuali-represse-e-sviluppo.html), e vincendo “la ferma e costante opposizione dei genitori, addirittura anche quando essa è destinata ai genitori stessi (●)”.
Per chi fosse più… curioso, allego l’ultimo ‘post’ della serie, con in calce i link a tutti quelli precedenti, preavvertendo che quelli più importanti sono i primi 8 (da leggere nell’ordine):
Curiosità sessuali represse e sviluppo intellettuale/38 http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2738022.html oppure

***

Tutte le volte che mi è capitato di discutere con o ascoltare insegnanti, ho sempre avuto la netta impressione di trovarmi di fronte (ma beninteso non è una loro esclusiva, anche se in essi questa caratteristica è più marcata e generalizzata perché è evidentemente il riflesso di una deformazione professionale) a persone presuntuose perché ed in quanto possessori del sapere; l’apice – cela va sans dire – con i docenti universitari, segnatamente le donne (per la possibile spiegazione prevalente, che beninteso ha valenza generale, v. appresso, ma sub specie di compensazione/reazione a insicurezza caratteriale e bassa autostima).
Se ne ha conferma leggendo i commenti e le reazioni degli insegnanti nei blog e forum, alcuni stizziti, maleducati, permalosi, che negano persino l’evidenza (per nessuno, uomo o donna, neanche per un genio, né per le organizzazioni, esistono tutti e solo punti di forza, ma la coesistenza di punti di forza e di punti di debolezza), e parafrasando Tomasi di Lampedusa (“Gattopardo”), si potrebbe dire: “ogni insegnante si crede un padreterno quindi perfetto, non ha bisogno di migliorare”. Ma, come spiega il grande Dostoevskij (“Ricordi della casa dei morti”), è da leggere, ovviamente, in senso opposto: ”Di certo si doveva credere un uomo molto intelligente, come accade per solito a tutti gli uomini ottusi e limitati”.

Naturalmente, per risolvere i problemi, bisogna interrogarsi sulle cause, su chi o che cosa fa sì che quella italiana sia una società bloccata o disequilibrata.
Quando un fenomeno è antico, profondo e diffuso, c‘è sempre, ovviamente, una dimensione prevalentemente storico-culturale.
Il nostro è un popolo antico, cinico, a-meritocratico e mammone.
I soggetti principali, checché se ne dica, che hanno agito e continuano ad agire in profondità e ne costituiscono il sostrato culturale più autentico - e conservatore - sono, da una parte, mamma-Chiesa - oscurantismo, nepotismo, controriforma, anti-giansenismo (non è l’uomo che si deve elevare per meritare la grazia, operando bene, ma il contrario) - e, dall’altra, la donna-mamma, soggetto dominante nella sfera privata. In Italia, soprattutto al Sud, vige il matriarcato. Senza studi particolari: a me consta personalmente, inferendolo dalla cerchia familiare allargata e da quella amicale.
Il disequilibrio tra i generi, nella dimensione pubblica, e quindi anche nei rapporti economici, è paradossalmente conseguenza del matriarcato, il cui corollario è una sorta di divisione tacita del potere: la donna comanda in casa, l’uomo fuori.
In una situazione siffatta, in Italia si è aggiunta l’occupazione crescente della scuola da parte delle donne nel ruolo di insegnanti, per giunta senza una selezione qualitativa dati i bassi salari, che presumibilmente ha abbassato ulteriormente il livello qualitativo medio.
A scanso di equivoci, chiarisco che, avendo avuto nella mia prima infanzia più amiche che amici, ho vissuto per decenni, fino al 1999, con un pregiudizio positivo verso le donne. Se potevo, sceglievo il medico, l’avvocato, l’insegnante, ecc. donna perché mi fidavo di più. Poi ho cambiato idea, nel senso che, in base all’esperienza, essendosi esaurito l’effetto distorcente del pregiudizio positivo, mi sono reso conto che la donna (ed essendo meridionale e vivendo al Sud mi riferisco alla donna meridionale) per tanti aspetti non è la soluzione ma il problema. Ho cercato di indagarne le cause e sono arrivato alla conclusione che è l’effetto dell’educazione in famiglia (in senso lato), che per le femmine è più severa, più repressiva, e la repressione si dispiega per prima e/o principalmente nella sfera sessuale.
Detto questo, ne derivano, almeno per me, come logico corollario:
1) l’ovvia considerazione che c‘è differenza (per fortuna), ma in un contesto - positivo - di complementarità tra i generi;
2) per nessuno, uomo o donna, neanche per un genio, esistono tutti e solo punti di forza, ma la coesistenza di punti di forza e punti di debolezza;
3) un’adeguata educazione (basata su molto amore e poche regole buone) può modificare sostanzialmente l’output, sia per i singoli individui (maschi o femmine), accrescendone le qualità intellettuali (QI), psicologiche (autostima) e morali (sistema etico-normativo), sia per i popoli.
Per cui, non per pregiudizio, ma per motivazioni razionali, mi permetto di dire con franchezza che finché si ragionerà e si scriverà come fanno molti insegnanti difendendo anche l’indifendibile e negando persino l’evidenza, oltre a confermarmi nell’idea che mi sono dovuto purtroppo fare sulla responsabilità delle donne circa l’andazzo delle cose italiane, non avremo molte speranze e possibilità che le cose cambino in meglio.

Io ho lavorato per 25 anni nell’ambito del controllo economico di una grossa impresa, con capitale a maggioranza pubblico. Poiché era ricca e guadagnava molto e vi comandavano quelli della produzione, che dovevano essere i controllati, il controllo era molto lasco, edulcorato. Poiché allora ero ingenuo, io invece lo esercitavo con imparzialità, rigore e severità. Quando, con l’arrivo dall’esterno del nuovo AD (che poi fu coinvolto in tangentopoli), si ruppero gli equilibri tra le varie cordate interne, mal me ne incolse.
Ho fatto questa premessa per dire che conosco bene il problema. Nessuno di noi ama il controllo; in Italia è particolarmente mal sopportato.
Ma la valutazione ed il controllo dei risultati sono consustanziali alla valutazione del merito. In Italia, si fa fatica ad affermare questo principio, per ragioni storiche e culturali. Anche nella scuola.
Traggo da una discussione avuta con un’insegnante questi link:
L’Italia ormai fa parte della UE, ogni Paese è autonomo ed ha le sue regole, ma in quasi tutti (ed in alcuni da parecchi anni) ci sono le prove di valutazione per monitorare gli istituti e/o il sistema educativo a fini di confronto e miglioramento. Gli insegnanti bravi dovrebbero pretenderle. Dovremmo piantarla finalmente con la mentalità tipicamente democristiana, meridionale e mammona, guarda caso omogenea con quella degli intelligentoni di estrema sinistra (COBAS) refrattari all'autorità ed alle regole, che rifiuta la valutazione, il giudizio, il merito!
“Prove nazionali di valutazione degli alunni in Europa: obiettivi, organizzazione e uso dei risultati”

“Chi ha paura di dare un voto ai professori?”

“PD, sulla scuola prendi esempio da Obama”

“Valutazione e misurazione nella scuola: facciamo come in GB”

Trovo questa lettera risibile: è come accusare il termometro perché misura la febbre. Bisogna curare la febbre, non rompere il termometro.
La lettera
“Noi genitori contro la scuola che non va”

Gli insegnanti rifiutano l’autovalutazione, e i premi, della Gelmini

Beninteso, aggiungo ora, il discorso andrebbe esteso a tutta la PA (cfr. note in calce a “I figli ‘pubblici’ ed i figliastri ‘privati’”

COME SI VALUTERANNO LE SCUOLE
a cura di  Sheila Bombardi  14.09.2012
Varato dal Consiglio dei ministri il regolamento sul sistema nazionale di valutazione per istruzione e formazione. L'obiettivo dichiarato è il miglioramento della qualità dell'offerta formativa e degli apprendimenti. Il processo di valutazione si focalizza sull'istituto, sui risultati finali misurabili, sul Pof e sulla sua organizzazione, facendo leva sui principi di responsabilità dell’autonomia. Nessuna relazione con il profilo professionale dei docenti o con la loro produttività. L'iter di approvazione del Dpr è però ancora lungo.


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