venerdì 8 maggio 2015

Il ruolo dell’educazione - in famiglia e a scuola - nella formazione di cittadini pensanti e felici: un approccio innovativo

A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 178 del 05-09-12 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
Il ruolo dell’educazione - in famiglia e a scuola - nella formazione di cittadini pensanti e felici: un approccio innovativo


Riporto un breve dialogo, intercorso ieri in un sito di Facebook, tra Pascal M. e me.

Pascal M. Ieri si parlava di politica, di antipolitica, di parole che convincono o che manipolano, di come bucare il rumore mediatico con un messaggio incisivo, di impatto, quale che sia il contenuto.
A me l'unico messaggio che piacerebbe sentire da un partito che si voglia dire politico oggi è: 'cogito, ergo sum', perché mi pare che sia il pensiero a dare consistenza alle cose e alle azioni, senza pensiero c'è solo agitazione e bricolage ideologico.
E così non si dovrebbe 'fare' e dire politica senza pensiero, eppure la politica spensierata o, quella dei migliori, impensierita oggi è la prassi, ma una politica e una classe dirigente pensante oggi non c'è o non si vede. 
Ogni giorno una scoperta nuova: l'Italia è il fanalino di coda nella produttività. Ma va, ma davvero, ma come? Lavoriamo poco. No lavoriamo tanto e male. Produrre cosa? Produrre cose per poi non venderle? Piccolo è bello! No, piccolo è brutto! E' la crisi, bellezza! Sì, ma noi stiamo peggio di tutti. Le macchine non vendono in tutto il mondo, Marchionne è stato costretto ad agire da manager carogna! Non è vero: in Germania il mercato dell'auto è florido e gode di ottima salute! Perché lì c'hanno la concertazione e un sindacato illuminato, qui c'abbiamo i Landini (pfui, pfui, pfui)! e via all'infinito.
Domenica a 'A come arte' parlando della biennale di Venezia dedicata all'architettura, ho sentito dire, in base ad argomentazioni che riguardavano non solo l'architettura ma la società nel suo complesso, che in Italia bisognerebbe ripartire da Olivetti. La cosa mi ha fatto piacere, ma Adriano Olivetti è morto nel 1960, cinquantadue anni fa. Nel frattempo chi e cosa c'è stato in Italia? Non deve essere un caso però se intellettuali che si sono formati all'Olivetti oggi, a rileggerli o a leggerli, sembrano esprimere un pensiero attualissimo o che, purtroppo, è ancora attuale. Gallino nato sobrio riformista oggi sempra essere addirittura un incendiario. Come mai?
A me pare che ci sono problemi antichi a cui non si è data, non si è voluta dare, soluzioni ed emergenze nuove, o forse una consapevolezza nuova di emergenze che non si sono volute vedere. Ed è difficile, adesso, far quadrare soluzioni per problemi vecchissimi e soluzioni per problemi nuovi o apparentemente nuovi.
Una classe dirigente verbigerante (di destra, di sinsitra, antipolitica) non serve a nessuno, solo a se stessa. 
Con la parola 'verbigerante' Tullio de Mauro mise a tacere uno studente che invece di rispondere con argomenti stava portando in giro parole (De Mauro ci spiegò, scrivendolo alla lavagna, 'verbigerare' da 'gerere verba'). E' dall'ironia pedagogicamente sprezzante che ho imparato quella parola, dovrei farne tesoro io stessa, lo so, ma possibile che chi ci governa non l'abbia mai sentita nominare?


@ Pascal
Bello il tuo commento, ma permettimi di fare alcune osservazioni:
1) i politici pensano eccome e fanno anche (ad esempio, in Italia, varare a causa della terribile crisi economica manovre finanziarie correttive per 330 mld), [1] poi parlano, ma non sempre dicono la verità o almeno tutta la verità, come probabilmente è il caso, in questa discussione, della cancelliera Merkel.
2) Il problema, quindi, è sceverare il grano dal loglio, il fumo dall’arrosto.
3) Chi deve dare gli strumenti per esserne capaci? In agosto, una trasmissione di “Tutta la città ne parla” verteva proprio su questo: c’era chi (tra cui il sottoscritto) diceva la famiglia, in primo luogo; chi la scuola. E questa è una diatriba costante, senza che si arrivi mai ad una conclusione.
4) Ammesso e non concesso che debba essere la scuola, non si vede come non rilevare che, in Italia, essa non possiede questi strumenti, se è vero come è vero che essa veicola una cultura (intesa in senso lato) che non è basata principalmente sulla logica e la concretezza, ma sull’illogicità e l’astrattezza. Ed allora mi sentirei di assolvere lo scolaro dell’aneddoto del prof. Tullio de Mauro, perché egli è vittima della cultura imperante da secoli e veicolata dalla famiglia, dalla scuola e dalla società intera.
5) Valorizzare la logica e la concretezza (o il pragmatismo) significa in concreto (per tornare agli esempi iniziali) individuare: nel caso dei sacrifici chiesti agli Italiani, a) chi ha deciso e fatto; b) che cosa; c) quanto; d) imputandoli a chi; nel caso dell’educazione, a) chi la deve fare; b) che cosa insegnare; c) quando cominciare.
Le risposte, nell’ordine, sono: nel primo caso, a) i governi Berlusconi e Monti; b) aumento delle tasse e riduzione della spesa pubblica; c) rispettivamente (i 2 governi, intendo), 267 mld e 63 mld complessivamente; d) il governo Berlusconi, in gran parte sul ceto medio-basso e persino sui poveri; il governo Monti, più equamente su (quasi) tutti; nel secondo caso, a) l’ambiente in generale (famiglia, scuola e società); b) (*); c) la famiglia, a partire dalla gravidanza e almeno fino a 3 anni; la scuola, dopo.
(*) Noi tutti nasciamo con 100 miliardi di neuroni ciascuno, ma senza sinapsi, che si sviluppano, soprattutto, a partire dalla seconda parte della gravidanza fino a 3 anni, a condizione che vengano stimolati dall’ambiente, altrimenti si bruciano; il cervello del bambino è come una spugna, capace di assorbire tutto, di bene e di male.
Conclusione: impostato così, potendo disporre di strumenti intellettivi e culturali adeguati, non pensi anche tu che non si sarebbe facilmente vittime delle bugie, della disinformazione e della cacofonia dei politici e dei media?


Sono d'accordo con te sul fatto che la formazione, l'educazione, la conoscenza sono il muro di volta di una società democratica tanto che alcuni teorici liberali ne hanno fatto uno dei cardini imprescindibili della democrazia stessa.
Ieri si parlava di retorica politica che, non a caso, è nata con la nascita stessa della democrazia: se le scelte sono fondate sulla volontà popolare, si dovrà imparare a convincere, persuadere, convogliare consensi: nel bene e nel male, o nella chiarezza delle argomentazioni, dei fatti, dei documenti o nella opacità della manipolazione che punta alle viscere, ai luoghi comuni, ai malumori diffusi.
E, secondo me, chiunque abbia a cuore la democrazia di un paese dovrebbe pretendere nel curriculum scolastico anche la formazione alle tecniche retoriche: come riconoscerle, usarle, non farsene usare.
Rispetto alla chiarezza dell'informazione dovrebbe essere sempre esplicitata l'ideologia (intesa come orizzonte di riferimento ideale) all'interno della quale una affermazione viene fatta.
Prendiamo le tasse. E' giusto pagarle? Io non credo si possa rispondere 'sì' o 'no' senza esplicitare il modello di società e di stato che uno ha in mente. Per me sì è giusto, per un liberista no.
Il professor Fichera ha fatto un bellissimo esperimento nelle classi con i bambini a proposito delle tasse, lodato dai più, ma non da tutti (ecco un commento sul sito liberista 'bruno leoni': 
http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=7848 ).
Anche se per me è giusto pagare le tasse, non è giusto amputare il livello del discorso e oscurare gli argomenti che confutano la mia idea di giustizia.
Invece a me pare che queste amputazioni siano all'ordine del giorno: non è vero che la tanto celebrata scomparsa delle ideologie sia stata una benedizione, uno perché non sono scomparse affatto, due perché si sono mimetizzate e dissimulate, confondendo e non chiarendo l'ordine dei discorsi.

Ieri la puntata dell'Infedele è stata molto interessante. Uno dei temi, lo stesso affrontato la mattina alla città, era centrato sul vivace dibattito (= rissa) a sinistra intorno alla cosiddetta antipolitica e i modi in cui opporvisi (
http://www.gadlerner.it/2012/09/04/il-ritorno-della-lotta-a-sinistra.html ). A rivederla e farne uno schema, potrebbe essere un ottimo canovaccio didattico.
La sinistra ha rispolverato la sua autorevolezza e in punta di dottrina smonta la pacchianeria grillesca. La destra, nelle vesti ieri di un ex militante comunista convertitosi, mi pare di aver capito, al liberismo, irride alle pseudo soluzioni degli uni e degli altri e pensa solo alla riforma dell'architettura statuale e della Costituzione. Tanto che alla domanda di Gianni Vattimo: be', ma che ne facciamo della rabbia dei lavoratori dell'Ilva, della Sulcis dell'Alcoa, dei milioni di giovani precari e senza lavoro, dei disoccupati ecc. ecc.? ha fatto, con aria infastidita, spallucce.
La domanda di Vattimo secondo me era legittima. Il fatto è che la soluzione, o il tentativo di soluzione, a problemi sociali immensi come questi deve essere inscritta in un orizzonte di riferimento ideale che deve essere esplicitato dalla politica, soprattutto da quella di sinistra, non lasciato come combustibile esplosivo nella fucina dei populisti
Se la sinistra non è più capace di elaborare (o rendere espliciti) orizzonti di riferimento ideali all'interno dei quali proporre soluzioni a problemi concreti (e quanto duramente concreti), è inutile che se la prenda con la cosiddetta antipolitica.


@ Pascal
Capisco il tuo discorso: esso però è incentrato esclusivamente sul ruolo della scuola e parla – come dire? – del “contenuto” e della fascia d’età da 10 anni in su. Ti pregherei invece di fare un passo indietro assieme a me e di affrontare il problema del “contenitore”. Faccio un esempio concreto: c’è in giro, su iniziativa del governo, una pubblicità che ha l’obiettivo di incentivare la lettura dei libri, obiettivo importante e meritorio, poiché solo la lettura di libri può dare gli strumenti di conoscenza per capire a fondo la realtà, il mondo, i fatti, le persone. Il messaggio è rivolto ovviamente ai ragazzi (e forse agli adulti). Ma si sa bene – o almeno si dovrebbe sapere - che la lettura è una passione che si prende da piccoli, dopo è molto più difficile. Ormai ci sono le evidenze scientifiche che se la mamma legge al bambino durante la gravidanza e nei primissimi anni, ottiene tre risultati importanti: 1) sviluppa le sinapsi; 2) crea tra il bambino e il libro un legame fortissimo ed il bambino – sembra incredibile – preferirà il libro a qualunque giocattolo (ho raccontato la mia esperienza in questo lungo post Questione femminile, questione meridionale, rivoluzione culturale e progetto educativo http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2580796.html oppure http://vincesko.blogspot.it/2015/03/questione-femminile-questione.html . Aggiungo che pensavo fosse successo soltanto alla mia nipotina e non sapevo fosse invece un fenomeno generale finché non ho letto recentemente questa intervista  http://82.85.28.102/cgi-bin/showfile.pl?file=edizioni2/20120813/pdf/NAZ/pages/20120813_18_13SPC18A.pdf ); e 3) soprattutto, crea, se fatto con amore, una relazione speciale col bambino che lo fa sentire “sicuro”, e quindi forte, sereno, equilibrato, anche in futuro.
Faccio un altro esempio concreto, preso dal ‘mio post’ allegato: ci sono le evidenze scientifiche (ma, ad esempio, la Montessori c’era già arrivata empiricamente) che i problemi del bambino sorgono e quindi vanno affrontati, o meglio prevenuti, nella fascia d’età 0-3 anni, anzi già a partire dalla gravidanza, poiché ovviamente la determinante è quasi sempre ascrivibile alla mamma (e al padre e all’ambiente) più che al bambino; beh, (quasi) tutti i progetti di recupero, per i quali si spendono (o almeno, prima della crisi, si spendevano) moltissimi soldi complessivamente, sono destinati ai bambini dai 6 anni in poi, quando è già troppo tardi.
In conclusione, io credo che, in questo mondo così competitivo in cui noi, non avendo molte risorse materiali, possiamo/dobbiamo contare soprattutto sul capitale umano, dovremmo elevare il livello medio intellettivo e culturale degli Italiani; per far ciò è necessario farsi carico di tutti, anche - forse soprattutto - dei milioni di bambini delle fasce povere, marginali, escluse totalmente o parzialmente dal circuito educativo-scolastico; per dare al maggior numero possibile di individui le fondamenta su cui erigere più agevolmente la costruzione educativa, che ha un duplice effetto positivo: sulla personalità e sul livello intellettivo/culturale. Questo obiettivo può essere molto più facilmente perseguito e raggiunto se il progetto educativo ha come protagonista la famiglia, cioè in primo luogo la madre (e il padre), nella fascia d’età critica del bambino, cioè dalla gravidanza a 3 anni. Su questa solida base, come ho scritto nel ‘post’ allegato, potrà poi svolgere il suo compito – agevolato o complicato, a seconda dei punti di vista... - la scuola.
Ps: va da sé che la premessa indispensabile è la volontà del potere politico pro tempore di avere, anziché braccia da sfruttare e menti da manipolare e dominare, cittadini intelligenti, istruiti e sicuri di sé.   

[1] Il lavoro ‘sporco’ del governo Berlusconi-Tremonti


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