venerdì 10 luglio 2015

Fiscal compact, piove, anzi diluvia, sul bagnato. Alcune contromisure


A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 433 del 19-02-2014 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
Fiscal compact, piove, anzi diluvia, sul bagnato. Alcune contromisure


L’Italia sta vivendo la peggiore crisi economica della sua storia, che richiederebbe misure anti-crisi espansive ‘rivoluzionarie’, [1] rese molto problematiche sia dalle resistenze endogene, sia dal rispetto dei parametri di Maastricht (rapporto deficit/PIL massimo del 3% e rapporto debito/PIL massimo del 60%).

Ma, ad aggravare la già difficilissima situazione, nel 2015 andrà in vigore il "fiscal compact" [2] (che è stato inserito nella nostra Costituzione), che comporterà:
1)    il pareggio strutturale di bilancio e
2)     la riduzione annua di 1/20 (o del 5%) della differenza tra il valore 60 (parametro di Maastricht) e quello attuale del debito pubblico (130% del PIL); il che comporterà, come è previsto nel Def, un avanzo primario pari al costo del debito (interessi passivi) che oggi ammonta al 5,5% del Pil ossia a circa 85 miliardi.

Mi sembra utile allora riportare 3 documenti, riguardanti, il primo, di Maurizio Benetti, gli effetti negativi del fiscal compact e le possibili contromisure; il secondo, del prof. Giuseppe Guarino, che è stato il primo a denunciarne l’inapplicabilità, i motivi di nullità del fiscal compact; il terzo, del prof. Marco D'Onofrio, la possibilità di aggirare legalmente i trattati (lo debbo riportare per esteso poiché non dispongo del relativo link).


Primo documento

Le alternative a vent’anni di depressione
Dall’anno prossimo le regole del Fiscal compact ci imporranno di ridurre il debito del 5% all’anno. Se lo faremo con un elevato saldo primario la ripresa non arriverà mai. Basterebbe anche una crescita del 3,5% nominale, che però è difficilissimo ottenere. Tra le soluzioni ipotizzabili una sola è davvero praticabile
Maurizio Benetti
(10/02/2014)


http%3A%2F%2Fwww.syloslabini.info%2Fonline%2Fguarino-perche-e-possibile-rivedere-il-fiscal-compact/
Il Fiscal Compact ? Non è valido. Anzi andrebbe cestinato
Posted by RedazioneIn Commenti / dicembre 9, 2012
Può sembrare incredibile, però il professor Guarino è certo di un fatto: il trattato sulla stabilità europeo, il cosiddetto Fiscal Compact, quello che sancisce l’obbligo di parità di bilancio e che ha portato alla frettolosa approvazione di una modifica della Costituzione in Italia come in altri paesi europei, secondo Guarino, è un atto che non si dovrebbe applicare. Che non dovrebbe avere validità: in base a quello che esso stesso dice  (leggi tutto…).
Un articolo di Giuseppe Guarino  su Milano e Finanza
Un commento di Claudio Gnesutta su Sbilanciamoci

Guarino, perché è possibile rivedere il fiscal compact
Posted by Redazione / In Novità / marzo 12, 2013
Milano Finanza pubblica il documento originale che l’ex ministro Giuseppe Guarino ha inoltrato alla Presidenza della Commissione europea in forma di interpellanza (leggi tutto… ).


Terzo documento

La revisione dei trattati e la “clausola rebus sic stantibus”
Un'analisi di due importanti meccanismi di diritto internazionale
Marco D'Onofrio | Università degli Studi di Napoli “Federico II"
| marc.donofrio@studenti.unina.it
01 | 2014
Abstract_
La revisione dei trattati e la cd. Clausola rebus sic stantibus rappresentano due meccanismi tipici del diritto internazionale che, alla luce delle modifiche apportate all'art. 48 TUE dal trattato di Lisbona e dei due recenti trattati finanziari (MES e Fiscal Compact), assumono rilevanza nella prassi e in dottrina, nella misura in cui possono costituire uno strumento tecnico per aggirare gli accordi “fiscali” troppo stringenti.
Revisione dei trattati | Clausola rebus sic stantibus | Trattato di Lisbona |  MES  | Fiscal compact

01_ Introduzione. Il rapporto tra la revisione dei trattati e la cd. clausola rebus sic stantibus
La scelta operata dagli stati membri della UE di adottare le misure note come “Fiscal Compact” e “Meccanismo di stabilità” attraverso un trattato ad hoc, suggerisce le riflessioni che seguono, a causa del fatto che lo strumento prescelto richiede o permette di analizzarlo alla luce dei principi generali di funzionamento della Comunità internazionale.
Come noto, il meccanismo della revisione dei trattati internazionali rappresenta lo strumento attraverso il quale apportare modifiche alle disposizioni contenute in un accordo tra due (o più) soggetti di diritto internazionale. È opportuno preliminarmente considerare che, nell'ambito dell'ordinamento giuridico internazionale, i soggetti (e, più in particolare, gli stati) godono di “autonomia contrattuale”, e
dunque di una assoluta libertà di stipulare (o meno) un trattato. In considerazione di ciò, si pone in evidenza la relativa semplicità, sotto taluni aspetti, dello strumento della revisione dei trattati: infatti, quando si decida, per ragioni politiche o meno, di modificare un trattato, lo strumento più “naturale” è quello della stipulazione di un nuovo trattato, alla quale tuttavia i soggetti non potrebbero essere obbligati a ricorrere. D'altro canto, in un trattato multilaterale, qualora soltanto alcuni stati intendano modificarlo, si pongono due alternative: a) stipulare un secondo accordo, che riguardi soltanto tali stati; b) non stipulare alcun accordo.
Ciò non toglie che anche ragioni strettamente giuridiche possano indurre ad una riconsiderazione del contenuto del trattato qualora, ad esempio, si verifichi un “mutamento delle situazioni, sia che rendano particolarmente oneroso l'adempimento degli obblighi, sia che manifestino un mutamento nei rapporti di forza” (Quadri R., 1968). Ciò ha indotto la dottrina e la prassi, in taluni casi, ad aggiungere allo strumento della semplice revisione, la cd. clausola rebus sic stantibus: codificata all'art. 62 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 ed ascritta tra le ipotesi di estinzione o sospensione dei trattati, essa opera allorquando si verifichi un mutamento fondamentale ed imprevisto delle circostanze che avevano condotto originariamente alla stipulazione del trattato. Non manca, peraltro, chi, specie nella dottrina francese, ha sostenuto che, al verificarsi di dette circostanze sorga in capo alle parti un obbligo di revisione e non una facoltà di annullamento, come nella dottrina prevalente. Beninteso, in ogni caso sarebbe compito e facoltà delle parti decidere se e quando trarre le conclusioni da quelle circostanze, rivedendo ab imis o annullando del tutto il trattato. Ma, ciò posto, tra i due istituti esistono almeno due fondamentali differenze:
1) il meccanismo della revisione ha una portata ben più ampia rispetto alla clausola, dal momento che, a giustificazione del ricorso ad esso, può essere addotta una motivazione di qualunque natura (politica o meno); al contrario, invece, il ricorso alla clausola può essere giustificato esclusivamente col verificarsi di un mutamento delle circostanze che sia fondamentale e radicale;
2) una seconda (ed ancor più rilevante) differenza risiede nel fatto che la clausola rebus sic stantibus – ponendosi quale causa di estinzione o sospensione di un trattato – rappresenta di fatto un limite all'operatività del principio pacta sunt servanda di cui all'art. 26 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, il quale impone agli stati il rispetto e l'attuazione in buona fede degli accordi; al contrario, la revisione dei trattati, consentendo ad ogni modo al trattato di sopravvivere, di fatto conferisce piena attuazione al suddetto brocardo, addirittura – si potrebbe aggiungere – rafforzandolo.
02_ I procedimenti di revisione
Una prima classificazione dei procedimenti di revisione dei trattati può essere realizzata sulla base dell'ampiezza del loro contenuto. Si distingue, infatti, tra: a) l'emendamento, di cui è un esempio la norma contenuta nell'art. 108 della Carta delle Nazioni Unite, il quale prevede la regola della maggioranza dei due terzi affinché gli emendamenti stessi entrino in vigore (fatta salva, comunque, l'unanimità da parte dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza); b) la revisione in senso stretto, che è più comunemente fondata, nell'ambito dei trattati multilaterali, sulla unanimità delle ratifiche e dei voti degli stati parte dell'accordo medesimo.
Una ulteriore rilevante differenziazione nell'ambito dei vari procedimenti di revisione, ai fini della nostra trattazione, attiene più strettamente al quorum di voti richiesti per l'adozione dei provvedimenti di revisione dell'accordo, ed è, dunque, quella che è possibile operare tra:
i) procedimenti basati sul meccanismo della unanimità dei voti, i quali rappresentano l'ipotesi più ricorrente nella prassi, indipendentemente dalla circostanza che si tratti di procedimenti “esterni” (caratterizzati dall'assenza di un intervento diretto di organi istituzionali) ovvero di procedimenti cd. complessi (i quali prevedono, da un lato, un meccanismo di voto a maggioranza da parte dell'organo adibito alle modifiche da apportare all'accordo, ma che, d'altro canto, richiedono ad ogni modo l'unanimità delle ratifiche affinché poi le modifiche adottate possano entrare in vigore);
ii) procedimenti basati sul meccanismo della maggioranza dei voti (che può essere, a sua volta, assoluta o qualificata), ai quali si fa invece ricorso meno frequentemente.
03_ Alcuni peculiari meccanismi organici di revisione dei trattati con riferimento al trattato UE
Accanto ai “tradizionali” meccanismi di revisione che fanno leva sull'esistenza di apposite clausole inserite a tal fine nel trattato, possono essere individuati almeno due ulteriori peculiari meccanismi di revisione “di fatto”.
Un primo di questi è dato, ad esempio, dalla cd. clausola di flessibilità, come quella ex art. 352 TFUE, strumento tipico delle organizzazioni internazionali, noto come meccanismo dei poteri impliciti, il quale integra il principio di base che regola i poteri delle organizzazioni internazionali: il principio, cioè, “in virtù del quale ciascuna organizzazione esercita, attraverso i propri organi soltanto i poteri ad essa attribuiti dai suoi membri mediante il trattato istitutivo o atti a questo equiparabili” (Gioia A., 2010).
Nell'ambito del diritto dell'Unione europea, tale principio è espresso nell'art. 5, par. 2, TUE. Il principio stesso è innanzitutto temperato, almeno in parte, proprio dalla menzionata clausola di flessibilità di cui all'art. 352 TFUE, la quale secondo alcuni autori rappresenterebbe una particolare procedura di revisione di fatto dei trattati, capace di legittimare l'Unione all'esercizio di poteri aggiuntivi rispetto a quelli espressamente previsti dal trattato, al fine di realizzare uno degli obiettivi di cui al trattato medesimo.
Altro meccanismo di intervento di fatto dei trattati europei è offerto dal cd. principio di sussidiarietà, che trova collocazione nell'art. 5, par. 3, TUE, ed il cui raggio d'azione riguarda tutti gli ambiti di competenza non esclusiva dell'Unione, rispetto ai quali l'UE è dotata di una sorta di potere di accentramento di funzioni a danno degli stati membri. Ciononostante, viene valorizzato un certo ruolo dei Parlamenti nazionali, attraverso due fondamentali disposizioni contenute nel protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al trattato di Lisbona:
i) l'art. 6, il quale riconosce la possibilità per ciascuno dei Parlamenti nazionali (o per ciascuna Camera di uno di essi) di trasmettere ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, «un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto [di atto legislativo] non sia conforme al principio di sussidiarietà»; ed in particolare, ai sensi dell'art. 7 del protocollo, qualora i suddetti pareri motivati «rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali», occorrerà riesaminare il progetto;
ii) l'art. 8, il quale riconosce ai Parlamenti nazionali e al Comitato delle regioni, la possibilità di ricorrere, ai sensi dell'art. 230 TFUE, alla Corte di giustizia dell'Unione europea, nell'ipotesi di presunta violazione del principio di sussidiarietà, da parte di un atto legislativo dell'UE.
Resta ferma la possibilità, tuttavia, di mantenere egualmente il progetto, laddove lo si ritenga opportuno, al termine del riesame di cui all'art. 7 del protocollo, con la sola condizione di fornirne una motivazione. In tal modo, dunque, è largamente “aggirato” il ruolo dei Parlamenti nazionali in sede di applicazione del principio di sussidiarietà.
È principalmente nell'ambito dei diritti dell'uomo, che l'applicazione di tale principio ha trovato una più compiuta espressione. A titolo esemplificativo può farsi cenno, proprio in tal senso, alla direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, e che è stata attuata nel nostro ordinamento giuridico con decreto legislativo 9-7-2003, n. 215.
04_ Il nuovo art. 48 TUE dopo Lisbona
Nella logica dei procedimenti di revisione “classici”, va collocato il nuovo art. 48 TUE, che innova decisamente rispetto ai precedenti, quando, salvo casi eccezionali, ogni
modifica era frutto di una riformulazione dell'intero accordo ad opera degli stati membri, senza intervento alcuno anche dello stesso Parlamento europeo, determinando tra l'altro la critica in merito al cd. deficit democratico della UE.
L'istituzione di una nuova procedura di revisione cd. Ordinaria – ex art. 48, par. 3, TUE – non si è, peraltro, rivelata sufficiente ad escludere la predetta critica: viene infatti istituito, per la prima volta in ambito europeo, un cd. meccanismo della convenzione, peraltro molto complesso, in cui l'impulso per l'attuazione del meccanismo proviene da un organo (il Consiglio europeo), espressione massima degli stati e della loro sovranità; ad esso viene attribuita la fondamentale funzione di adottare, sia pure a maggioranza semplice, una decisione favorevole all'esame delle proposte di modifica, relegando il Parlamento europeo e la Commissione ad un ruolo di mera preventiva consultazione. Non solo, ma l'avvenuta formalizzazione del cd. metodo della convenzione, così come è stato opportunamente sottolineato da una parte della dottrina,
non ha comunque posto rimedio all'obbligo della unanimità delle ratifiche dei trattati di revisione da parte degli stati membri UE.
D'altro canto, analoga problematica emerge anche con riguardo alle procedure di revisione cd. semplificata, istituite dall'art. 48, par. 6-7, TUE. Anzi, la procedura di cui al paragrafo 7 rappresenterebbe, secondo alcuni autori, una mera “clausola passerella” destinata a intervenire sulle procedure legislative di adozione degli atti del Consiglio dell'Unione, nonché sui meccanismi di adozione delle relative delibere.
Ai fini della nostra trattazione, rileva principalmente la procedura di cui al paragrafo 6, la quale consente di apportare delle modifiche nell'ambito delle politiche ed azioni interne dell'Unione, su decisione all'unanimità da parte del Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione e della Bce (qualora le modifiche intervengano nel settore monetario); in ultima analisi, saranno poi gli stati membri, già presenti e unanimi nel Consiglio europeo, a ratificare (o ad approvare1) all'unanimità le modifiche così apportare al trattato.
La procedura appena descritta ha trovato applicazione per la prima volta, in ambito europeo, in occasione della istituzione, da parte dei 17 paesi membri dell'eurozona, del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità): un meccanismo permanente di gestione delle crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo insieme. Proprio a tal fine, fondamentale è stata la decisione 2011/199 del 25 marzo 2011, con cui il Consiglio europeo è ricorso per la prima volta alla suddetta procedura di revisione cd. semplificata, modificando l'art. 136 TFUE con l'aggiunta di un terzo comma, ai sensi del quale, si riconosce la possibilità fino ad allora negata, per gli stati membri che adottano l'euro, di istituire un meccanismo volto a salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo complesso e, nell'ambito del quale peraltro, qualunque concessione di assistenza finanziaria dovrà essere assoggettata ad una rigorosa condizionalità. Alla base della scelta di procedere ad una modifica dell'art. 136 TFUE attraverso la via della cd. revisione semplificata, potrebbe individuarsi una motivazione di carattere politico espressa dalla cd. Sentenza Lissabon del 30 giugno 2009, con cui il Bundesverfassungsgericht si è pronunciato sulla compatibilità con la Legge Fondamentale tedesca, dell'atto di approvazione del trattato di Lisbona, dell'atto che modifica la Legge Fondamentale e dell'atto che amplia e rafforza i diritti del Bundestag e del Bundesrat nelle questioni dell'Unione europea.
Di fatto, la via della citata “clausola di flessibilità” di cui all'art. 352 TFUE, nel caso di specie, avrebbe comportato inevitabilmente una “indebita interferenza dell'UE in una materia, quella della politica economica, di competenza esclusiva degli stati membri” (Messina M., 2013): ragione fondamentale per la quale, dunque, si è intrapresa la strada
______________________
1 Entrambe le espressioni indicano una manifestazione del consenso, da parte degli stati che abbiano negoziato l'accordo, a vincolarsi al medesimo; tale distinzione terminologica, di fatto, assume invece rilevanza soprattutto alla luce dell'art. 11 legge n. 234/2012.
della revisione cd. semplificata dei trattati.
Tale questione è stata discussa anche dalla “sentenza Pringle”2 del 2012, della Corte di giustizia, dove si sottolinea appunto come il ruolo dell'Unione, nell'ambito della politica economica, sia limitato esclusivamente ad una funzione di coordinamento, ai sensi dell'art. 2, par. 3, e dell'art. 5, par. 1, TFUE.
05_ Il Fiscal Compact: alcune peculiari ipotesi di ricorso alla “clausola rebus sic stantibus”
Il Fiscal Compact, come noto, è, a sua volta, un accordo internazionale parallelo alla UE, stipulato da 25 stati membri UE (con l'eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca) e sottoscritto il 2 marzo 2012 in un ben noto contesto di crisi del debito sovrano. Entrato in vigore il 1° gennaio 2013, con gli obiettivi – così come esplicitato dall'art. 1 – di rafforzare il pilastro economico dell'Unione economica e monetaria, di potenziare il coordinamento delle politiche economiche, e di migliorare la governance della zona euro, esso ha imposto agli artt. 3-4 alcuni vincoli particolarmente stringenti: fra essi si annoverano soprattutto la cd. golden rule (ovvero, l'obbligo di perseguire il pareggio di bilancio della pubblica amministrazione di ciascuna parte contraente), nonché l'obbligo di inserire la citata golden rule negli ordinamenti giuridici nazionali (preferibilmente attraverso norme di natura costituzionale).
La rilevante particolarità che si realizza, dunque, in ambito europeo con la redazione di tale accordo economico, è la assunzione di nuove attività e funzioni da parte dell'Unione
europea, attraverso un trattato “parallelo” (e, dunque, non “modificativo”) rispetto ai trattati tradizionali (TUE e TFUE), senza neanche ricorrere al meccanismo della cd. cooperazione
rafforzata, pur disciplinato dall'art. 20 TUE e dagli artt. 326- 327-328 TFUE. In altre parole, tale scelta – così come si intende sottolineare proprio in queste righe – consente agli stati membri UE che hanno ratificato il trattato, di “sfuggire”, almeno in qualche misura tutta da verificare nella prassi futura, ai meccanismi di controllo vigenti in ambito europeo.
Con riferimento al caso specifico dell'Italia, in primo luogo la “costituzionalizzazione” della golden rule si è realizzata tramite la modifica dell'art. 81 Cost. (novellato dalla legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1), il quale ha tuttavia utilizzato l'espressione «equilibrio tra le entrate e le spese», in luogo della tradizionale «pareggio tra entrate e uscite», assoggettando inoltre l'approvazione della legge di bilancio all'inusuale (quanto stringente) meccanismo di una legge da adottare a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
È appena il caso di rilevare, appunto in termini di tecnica in materia di trattati internazionali, che, qualora non si riuscisse ad adottare tale legge, ne conseguirebbe, oltre ad una aperta violazione dello stesso Fiscal Compact, anche una violazione dell'art. 27 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 3.
______________________
2 Sentenza nella causa C-370/12, Thomas Pringle / Government of Ireland, Ireland, The Attorney General.
3 Tale norma impedisce agli stati di invocare la propria legislazione interna, al fine di giustificare la mancata attuazione di un trattato.
Ciò posto, e già non è poco, si potrebbe proporre la ulteriore seguente questione: dato che il Fiscal Compact, come accennato, è un “normale” trattato internazionale ed è quindi governato dalle “normali” regole fisiologiche e patologiche di un trattato – fra le quali la citata “clausola rebus sic stantibus” – diventa anche possibile in astratto e in concreto che l'Italia denunci legittimamente il Fiscal Compact, alla luce delle norme “comuni” in materia di accordi internazionali?
Due parole in materia meritano di essere spese. L'Italia, nel momento in cui ha ratificato il Fiscal Compact, era alle prese con un determinato ammontare di deficit di bilancio, evidentemente tenuto in considerazione dai negoziatori dell'accordo: un aggravamento di tale condizione di deficit, dunque, potrebbe rendere impossibile per l'Italia l'osservanza degli stringenti vincoli posti dal Fiscal Compact, e così legittimarla a denunciare il trattato per eccessiva onerosità dello stesso, magari invocando quel mutamento fondamentale delle circostanze di cui alla clausola rebus sic stantibus.
Un'altra motivazione potrebbe derivare dal fatto che, come è noto, il trattato di Lisbona ha fornito la base giuridica per l'adesione dell'Unione europea alla CEDU, attraverso il nuovo art. 6, par. 2, TUE, secondo cui «l'Unione aderisce alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali». In quest'ottica, in particolare, mal si concilierebbe ad esempio un eccesso di “rigore” da parte dell'Unione europea (sia pure indirettamente) con una disposizione CEDU fortemente “garantista” – come l'art. 2, titolo I – che fa espresso riferimento alla tutela del «diritto alla vita di ogni persona».
Per non parlare, infine, delle conseguenze della procedura di cui all'art. 5 del Fiscal Compact, che obbliga uno stato contraente che sia soggetto a procedura per disavanzi eccessivi, a predisporre un programma di partenariato economico e di bilancio con una descrizione dettagliata delle riforme strutturali da attuare per poter correggere l'eccesso di deficit. In particolare, nella misura in cui questo elemento possa comportare una forte riduzione di benessere (quantomeno “percepito”) da parte degli individui, lo stato in questione potrebbe essere accusato di una violazione dei diritti dell'uomo, per non incorrere nella quale potrebbe risultare legittimo o necessario il ricorso alla “clausola rebus sic stantibus”.
06_ Conclusioni
Dalla sintetica trattazione emergono, dunque, due importanti considerazioni:
i) il meccanismo di revisione dei trattati nell'ambito del diritto UE tracciato dall'art. 48 TUE, anche in seguito alle modifiche apportate in materia dal trattato di Lisbona, è rimasto sostanzialmente un meccanismo internazionalistico tradizionale, in quanto ancora imperniato su un ruolo primario svolto nell'ambito della relativa procedura da parte del Consiglio europeo;
ii) in tema di Fiscal Compact, partendo dall'assunto che la stipulazione di un trattato parallelo rispetto ai trattati tradizionali (TUE e TFUE) è stata dettata dalla volontà di 25 stati membri UE di non assoggettarsi ai meccanismi di controllo tipici dell'Unione, si constata in realtà il fatto che gli obblighi di “rigore” economico-finanziario imposti dal Fiscal Compact ben potrebbero comunque essere, in qualche modo, “aggirati”: come detto, infatti, al ricorrere di determinate condizioni, potrebbero prospettarsi ipotesi di “denuncia” del trattato in questione da parte di uno stato contraente, con il conseguente venir meno anche di quegli obblighi di “rigore” da esso imposti.


Bibliografia

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processo di integrazione?, in Documenti IAI;
Gioia A. (2010), Manuale breve – Diritto internazionale, Milano: Giuffrè Editore;
Guarino G. (1971), La revisione dei trattati. Spunti critico-ricostruttivi, Napoli: Jovene Editore;
McNair A.D. (1961), The law of treaties, Oxford: OUP;
Messina M. (2013), La nuova governance economica e finanziaria dell'Unione: aspetti giuridici e possibili scenari per la sua
integrazione nell'ordinamento giuridico UE, p. 13, da <http://www.federalismi.it>;
Perassi T. (1962), L'ordinamento delle Nazioni Unite, Padova: CEDAM;
Quadri R. (1968), Diritto internazionale pubblico, Napoli: Liguori Editore;
Sperduti G. (1966), La CECA-Ente sopranazionale, Padova: CEDAM;
Villani U. (2008), Istituzioni di Diritto dell'Unione Europea, Bari: Cacucci Editore


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link sostituito da:
http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Fiscal-compact-un-problema-di-democrazia-25262.html  

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