A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5
mesi - il mio blog Vincesko ha
totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O,
meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini
di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli
nuovi.
Post n. 433 del 19-02-2014 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
Fiscal compact,
piove, anzi diluvia, sul bagnato. Alcune contromisure
L’Italia
sta vivendo la peggiore crisi economica della sua storia, che richiederebbe
misure anti-crisi espansive ‘rivoluzionarie’, [1] rese molto problematiche sia
dalle resistenze endogene, sia dal rispetto dei parametri di Maastricht
(rapporto deficit/PIL massimo del 3% e rapporto debito/PIL massimo del 60%).
[1] Promemoria delle misure
anti-crisi http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2761788.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/05/promemoria-delle-misure-anti-crisi.html
Piano taglia-debito per la
crescita http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2792930.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/06/piano-taglia-debito-per-la-crescita.html
Ma,
ad aggravare la già difficilissima situazione, nel 2015 andrà in vigore il
"fiscal compact" [2] (che è stato inserito nella nostra
Costituzione), che comporterà:
1)
il
pareggio strutturale di bilancio e
2)
la riduzione annua di 1/20 (o del 5%) della
differenza tra il valore 60 (parametro di Maastricht) e quello attuale del
debito pubblico (130% del PIL); il che comporterà, come è previsto nel Def, un
avanzo primario pari al costo del debito (interessi passivi) che oggi ammonta
al 5,5% del Pil ossia a circa 85 miliardi.
Mi
sembra utile allora riportare 3 documenti, riguardanti, il primo, di Maurizio
Benetti, gli effetti negativi del fiscal
compact e le possibili contromisure; il secondo, del prof. Giuseppe
Guarino, che è stato il primo a denunciarne l’inapplicabilità, i motivi di
nullità del fiscal compact; il terzo,
del prof. Marco D'Onofrio, la possibilità di aggirare legalmente i trattati (lo
debbo riportare per esteso poiché non dispongo del relativo link).
Primo documento
Le alternative a vent’anni di depressione
Dall’anno prossimo le regole del Fiscal compact
ci imporranno di ridurre il debito del 5% all’anno. Se lo faremo con un elevato
saldo primario la ripresa non arriverà mai. Basterebbe anche una crescita del
3,5% nominale, che però è difficilissimo ottenere. Tra le soluzioni
ipotizzabili una sola è davvero praticabile
Maurizio Benetti
(10/02/2014)
Secondo
documento (tratto dal sito http://www.syloslabini.info/online/guarino-perche-e-possibile-rivedere-il-fiscal-compact/ )
http%3A%2F%2Fwww.syloslabini.info%2Fonline%2Fguarino-perche-e-possibile-rivedere-il-fiscal-compact/
Il Fiscal Compact ? Non è
valido. Anzi andrebbe cestinato
Può sembrare incredibile, però il professor Guarino è certo di un fatto: il
trattato sulla stabilità europeo, il cosiddetto Fiscal Compact, quello che
sancisce l’obbligo di parità di bilancio e che ha portato alla frettolosa
approvazione di una modifica della Costituzione in Italia come in altri paesi
europei, secondo Guarino, è un atto che non si dovrebbe applicare. Che non
dovrebbe avere validità: in base a quello che esso stesso dice (leggi tutto…).
Un articolo di Giuseppe Guarino su Milano e Finanza
Un commento di Claudio Gnesutta su Sbilanciamoci
Guarino, perché è possibile rivedere il fiscal
compact
Milano Finanza
pubblica il documento originale che l’ex ministro Giuseppe Guarino ha inoltrato
alla Presidenza della Commissione europea in forma di interpellanza (leggi
tutto… ).
Terzo documento
La revisione dei
trattati e la “clausola rebus sic stantibus”
Un'analisi
di due importanti meccanismi di diritto internazionale
Marco
D'Onofrio | Università degli Studi di Napoli “Federico II"
|
marc.donofrio@studenti.unina.it
01
| 2014
Abstract_
La
revisione dei trattati e la cd. Clausola rebus sic stantibus rappresentano due
meccanismi tipici del diritto internazionale che, alla luce delle modifiche
apportate all'art. 48 TUE dal trattato di Lisbona e dei due recenti trattati
finanziari (MES e Fiscal Compact), assumono rilevanza nella prassi e in
dottrina, nella misura in cui possono costituire uno strumento tecnico per
aggirare gli accordi “fiscali” troppo stringenti.
Revisione
dei trattati | Clausola rebus sic stantibus | Trattato di Lisbona | MES |
Fiscal compact
01_
Introduzione. Il rapporto tra la revisione dei trattati e la cd. clausola rebus
sic stantibus
La
scelta operata dagli stati membri della UE di adottare le misure note come
“Fiscal Compact” e “Meccanismo di stabilità” attraverso un trattato ad hoc,
suggerisce le riflessioni che seguono, a causa del fatto che lo strumento
prescelto richiede o permette di analizzarlo alla luce dei principi generali di
funzionamento della Comunità internazionale.
Come
noto, il meccanismo della revisione dei trattati internazionali rappresenta lo
strumento attraverso il quale apportare modifiche alle disposizioni contenute
in un accordo tra due (o più) soggetti di diritto internazionale. È opportuno
preliminarmente considerare che, nell'ambito dell'ordinamento giuridico
internazionale, i soggetti (e, più in particolare, gli stati) godono di
“autonomia contrattuale”, e
dunque
di una assoluta libertà di stipulare (o meno) un trattato. In considerazione di
ciò, si pone in evidenza la relativa semplicità, sotto taluni aspetti, dello
strumento della revisione dei trattati: infatti, quando si decida, per ragioni
politiche o meno, di modificare un trattato, lo strumento più “naturale” è
quello della stipulazione di un nuovo trattato, alla quale tuttavia i soggetti
non potrebbero essere obbligati a ricorrere. D'altro canto, in un trattato
multilaterale, qualora soltanto alcuni stati intendano modificarlo, si pongono
due alternative: a) stipulare un secondo accordo, che riguardi soltanto tali
stati; b) non stipulare alcun accordo.
Ciò
non toglie che anche ragioni strettamente giuridiche possano indurre ad una
riconsiderazione del contenuto del trattato qualora, ad esempio, si verifichi
un “mutamento delle situazioni, sia che rendano particolarmente oneroso
l'adempimento degli obblighi, sia che manifestino un mutamento nei rapporti di
forza” (Quadri R., 1968). Ciò ha indotto la dottrina e la prassi, in taluni
casi, ad aggiungere allo strumento della semplice revisione, la cd. clausola rebus sic stantibus: codificata
all'art. 62 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del
1969 ed ascritta tra le ipotesi di estinzione o sospensione dei
trattati, essa opera allorquando si verifichi un mutamento fondamentale ed
imprevisto delle circostanze che avevano condotto originariamente alla
stipulazione del trattato. Non manca, peraltro, chi, specie nella
dottrina francese, ha sostenuto che, al verificarsi di dette circostanze sorga
in capo alle parti un obbligo di revisione e non una facoltà di annullamento,
come nella dottrina prevalente. Beninteso, in ogni caso sarebbe compito e facoltà
delle parti decidere se e quando trarre le conclusioni da quelle circostanze,
rivedendo ab imis o annullando del tutto il trattato. Ma, ciò posto, tra
i due istituti esistono almeno due fondamentali differenze:
1)
il meccanismo della revisione ha una portata ben più ampia rispetto alla
clausola, dal momento che, a giustificazione del ricorso ad esso, può essere
addotta una motivazione di qualunque natura (politica o meno); al contrario,
invece, il ricorso alla clausola può essere giustificato esclusivamente col
verificarsi di un mutamento delle circostanze che sia fondamentale e radicale;
2)
una seconda (ed ancor più rilevante) differenza risiede nel fatto che la
clausola rebus sic stantibus – ponendosi quale causa di estinzione o
sospensione di un trattato – rappresenta di fatto un limite all'operatività del
principio pacta sunt servanda di cui all'art. 26 della
convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, il quale impone agli
stati il rispetto e l'attuazione in buona fede degli accordi; al contrario, la
revisione dei trattati, consentendo ad ogni modo al trattato di sopravvivere,
di fatto conferisce piena attuazione al suddetto brocardo, addirittura – si
potrebbe aggiungere – rafforzandolo.
02_
I procedimenti di revisione
Una
prima classificazione dei procedimenti di revisione dei trattati può essere
realizzata sulla base dell'ampiezza del loro contenuto. Si distingue, infatti,
tra: a) l'emendamento, di cui è un esempio la norma contenuta nell'art. 108
della Carta delle Nazioni Unite, il quale prevede la regola della maggioranza
dei due terzi affinché gli emendamenti stessi entrino in vigore (fatta salva,
comunque, l'unanimità da parte dei membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza); b) la revisione in senso stretto, che è più comunemente fondata,
nell'ambito dei trattati multilaterali, sulla unanimità delle ratifiche e dei
voti degli stati parte dell'accordo medesimo.
Una
ulteriore rilevante differenziazione nell'ambito dei vari procedimenti di
revisione, ai fini della nostra trattazione, attiene più strettamente al quorum
di voti richiesti per l'adozione dei provvedimenti di revisione
dell'accordo, ed è, dunque, quella che è possibile operare tra:
i)
procedimenti basati sul meccanismo della unanimità dei voti, i quali
rappresentano l'ipotesi più ricorrente nella prassi, indipendentemente dalla
circostanza che si tratti di procedimenti “esterni” (caratterizzati
dall'assenza di un intervento diretto di organi istituzionali) ovvero di
procedimenti cd. complessi (i quali prevedono, da un lato, un meccanismo di
voto a maggioranza da parte dell'organo adibito alle modifiche da apportare
all'accordo, ma che, d'altro canto, richiedono ad ogni modo l'unanimità delle
ratifiche affinché poi le modifiche adottate possano entrare in vigore);
ii)
procedimenti basati sul meccanismo della maggioranza dei voti (che può essere,
a sua volta, assoluta o qualificata), ai quali si fa invece ricorso meno
frequentemente.
03_
Alcuni peculiari meccanismi organici di revisione dei trattati con riferimento
al trattato UE
Accanto
ai “tradizionali” meccanismi di revisione che fanno leva sull'esistenza di
apposite clausole inserite a tal fine nel trattato, possono essere individuati
almeno due ulteriori peculiari meccanismi di revisione “di fatto”.
Un
primo di questi è dato, ad esempio, dalla cd. clausola di flessibilità, come
quella ex art. 352 TFUE, strumento tipico delle organizzazioni
internazionali, noto come meccanismo dei poteri impliciti, il quale integra il
principio di base che regola i poteri delle organizzazioni internazionali: il
principio, cioè, “in virtù del quale ciascuna organizzazione esercita,
attraverso i propri organi soltanto i poteri ad essa attribuiti dai suoi membri
mediante il trattato istitutivo o atti a questo equiparabili” (Gioia A., 2010).
Nell'ambito
del diritto dell'Unione europea, tale principio è espresso nell'art. 5, par. 2,
TUE. Il principio stesso è innanzitutto temperato, almeno in parte, proprio
dalla menzionata clausola di flessibilità di cui all'art. 352 TFUE, la quale
secondo alcuni autori rappresenterebbe una particolare procedura di revisione
di fatto dei trattati, capace di legittimare l'Unione all'esercizio di poteri
aggiuntivi rispetto a quelli espressamente previsti dal trattato, al fine di
realizzare uno degli obiettivi di cui al trattato medesimo.
Altro
meccanismo di intervento di fatto dei trattati europei è offerto dal cd.
principio di sussidiarietà, che trova collocazione nell'art. 5, par. 3, TUE, ed
il cui raggio d'azione riguarda tutti gli ambiti di competenza non esclusiva dell'Unione,
rispetto ai quali l'UE è dotata di una sorta di potere di accentramento di
funzioni a danno degli stati membri. Ciononostante, viene valorizzato un certo
ruolo dei Parlamenti nazionali, attraverso due fondamentali disposizioni
contenute nel protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità, allegato al trattato di Lisbona:
i)
l'art. 6, il quale riconosce la possibilità per ciascuno dei Parlamenti
nazionali (o per ciascuna Camera di uno di essi) di trasmettere ai presidenti
del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, «un parere motivato
che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto [di atto
legislativo] non sia conforme al principio di sussidiarietà»; ed in
particolare, ai sensi dell'art. 7 del protocollo, qualora i suddetti pareri
motivati «rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai
Parlamenti nazionali», occorrerà riesaminare il progetto;
ii)
l'art. 8, il quale riconosce ai Parlamenti nazionali e al Comitato delle regioni,
la possibilità di ricorrere, ai sensi dell'art. 230 TFUE, alla Corte di
giustizia dell'Unione europea, nell'ipotesi di presunta violazione del
principio di sussidiarietà, da parte di un atto legislativo dell'UE.
Resta
ferma la possibilità, tuttavia, di mantenere egualmente il progetto, laddove lo
si ritenga opportuno, al termine del riesame di cui all'art. 7 del protocollo,
con la sola condizione di fornirne una motivazione. In tal modo, dunque, è
largamente “aggirato” il ruolo dei Parlamenti nazionali in sede di applicazione
del principio di sussidiarietà.
È
principalmente nell'ambito dei diritti dell'uomo, che l'applicazione di tale
principio ha trovato una più compiuta espressione. A titolo esemplificativo può
farsi cenno, proprio in tal senso, alla direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del
29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le
persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, e che è stata
attuata nel nostro ordinamento giuridico con decreto legislativo 9-7-2003, n.
215.
04_
Il nuovo art. 48 TUE dopo Lisbona
Nella
logica dei procedimenti di revisione “classici”, va collocato il nuovo art. 48
TUE, che innova decisamente rispetto ai precedenti, quando, salvo casi
eccezionali, ogni
modifica
era frutto di una riformulazione dell'intero accordo ad opera degli stati
membri, senza intervento alcuno anche dello stesso Parlamento europeo,
determinando tra l'altro la critica in merito al cd. deficit democratico
della UE.
L'istituzione
di una nuova procedura di revisione cd. Ordinaria – ex art. 48, par. 3,
TUE – non si è, peraltro, rivelata sufficiente ad escludere la predetta
critica: viene infatti istituito, per la prima volta in ambito europeo, un cd.
meccanismo della convenzione, peraltro molto complesso, in cui l'impulso per
l'attuazione del meccanismo proviene da un organo (il Consiglio europeo),
espressione massima degli stati e della loro sovranità; ad esso viene
attribuita la fondamentale funzione di adottare, sia pure a maggioranza semplice,
una decisione favorevole all'esame delle proposte di modifica, relegando il
Parlamento europeo e la Commissione ad un ruolo di mera preventiva
consultazione. Non solo, ma l'avvenuta formalizzazione del cd. metodo della
convenzione, così come è stato opportunamente sottolineato da una parte della
dottrina,
non
ha comunque posto rimedio all'obbligo della unanimità delle ratifiche dei
trattati di revisione da parte degli stati membri UE.
D'altro
canto, analoga problematica emerge anche con riguardo alle procedure di
revisione cd. semplificata, istituite dall'art. 48, par. 6-7, TUE. Anzi, la
procedura di cui al paragrafo 7 rappresenterebbe, secondo alcuni autori, una
mera “clausola passerella” destinata a intervenire sulle procedure legislative
di adozione degli atti del Consiglio dell'Unione, nonché sui meccanismi di
adozione delle relative delibere.
Ai
fini della nostra trattazione, rileva principalmente la procedura di cui al
paragrafo 6, la quale consente di apportare delle modifiche nell'ambito delle
politiche ed azioni interne dell'Unione, su decisione all'unanimità da parte
del Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo, della
Commissione e della Bce (qualora le modifiche intervengano nel settore
monetario); in ultima analisi, saranno poi gli stati membri, già presenti e
unanimi nel Consiglio europeo, a ratificare (o ad approvare1) all'unanimità
le modifiche così apportare al trattato.
La
procedura appena descritta ha trovato applicazione per la prima volta, in
ambito europeo, in occasione della istituzione, da parte dei 17 paesi membri
dell'eurozona, del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità): un meccanismo
permanente di gestione delle crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria
della zona euro nel suo insieme. Proprio a tal fine, fondamentale è stata la
decisione 2011/199 del 25 marzo 2011, con cui il Consiglio europeo è ricorso
per la prima volta alla suddetta procedura di revisione cd. semplificata,
modificando l'art. 136 TFUE con l'aggiunta di un terzo comma, ai sensi del
quale, si riconosce la possibilità fino ad allora negata, per gli stati membri
che adottano l'euro, di istituire un meccanismo volto a salvaguardare la
stabilità della zona euro nel suo complesso e, nell'ambito del quale peraltro,
qualunque concessione di assistenza finanziaria dovrà essere assoggettata ad
una rigorosa condizionalità. Alla base della scelta di procedere ad una
modifica dell'art. 136 TFUE attraverso la via della cd. revisione semplificata,
potrebbe individuarsi una motivazione di carattere politico espressa dalla cd.
Sentenza Lissabon del 30 giugno 2009, con cui il Bundesverfassungsgericht
si è pronunciato sulla compatibilità con la Legge Fondamentale tedesca,
dell'atto di approvazione del trattato di Lisbona, dell'atto che modifica la
Legge Fondamentale e dell'atto che amplia e rafforza i diritti del Bundestag
e del Bundesrat nelle questioni dell'Unione europea.
Di
fatto, la via della citata “clausola di flessibilità” di cui all'art. 352 TFUE,
nel caso di specie, avrebbe comportato inevitabilmente una “indebita
interferenza dell'UE in una materia, quella della politica economica, di
competenza esclusiva degli stati membri” (Messina M., 2013): ragione
fondamentale per la quale, dunque, si è intrapresa la strada
______________________
1 Entrambe le espressioni indicano
una manifestazione
del
consenso, da parte degli stati che abbiano negoziato l'accordo, a
vincolarsi al medesimo; tale distinzione terminologica, di fatto, assume invece
rilevanza soprattutto alla luce dell'art. 11 legge n. 234/2012.
della
revisione cd. semplificata dei trattati.
Tale
questione è stata discussa anche dalla “sentenza Pringle”2 del 2012,
della Corte di giustizia, dove si sottolinea appunto come il ruolo dell'Unione,
nell'ambito della politica economica, sia limitato esclusivamente ad una
funzione di coordinamento, ai sensi dell'art. 2, par. 3, e dell'art. 5, par. 1,
TFUE.
05_
Il Fiscal Compact: alcune peculiari ipotesi di ricorso alla “clausola rebus sic
stantibus”
Il
Fiscal Compact, come noto, è, a sua volta, un accordo internazionale parallelo
alla UE, stipulato da 25 stati membri UE (con l'eccezione di Regno Unito e
Repubblica Ceca) e sottoscritto il 2 marzo 2012 in un ben noto contesto di
crisi del debito sovrano. Entrato in vigore il 1° gennaio 2013, con gli
obiettivi – così come esplicitato dall'art. 1 – di rafforzare il pilastro
economico dell'Unione economica e monetaria, di potenziare il coordinamento
delle politiche economiche, e di migliorare la governance della zona
euro, esso ha imposto agli artt. 3-4 alcuni vincoli particolarmente stringenti:
fra essi si annoverano soprattutto la cd. golden rule (ovvero, l'obbligo
di perseguire il pareggio di bilancio della pubblica amministrazione di
ciascuna parte contraente), nonché l'obbligo di inserire la citata golden
rule negli ordinamenti giuridici nazionali (preferibilmente attraverso
norme di natura costituzionale).
La
rilevante particolarità che si realizza, dunque, in ambito europeo con la
redazione di tale accordo economico, è la assunzione di nuove attività e
funzioni da parte dell'Unione
europea,
attraverso un trattato “parallelo” (e, dunque, non “modificativo”) rispetto ai
trattati tradizionali (TUE e TFUE), senza neanche ricorrere al meccanismo della
cd. cooperazione
rafforzata,
pur disciplinato dall'art. 20 TUE e dagli artt. 326- 327-328 TFUE. In altre
parole, tale scelta – così come si intende sottolineare proprio in queste righe
– consente agli stati membri UE che hanno ratificato il trattato, di
“sfuggire”, almeno in qualche misura tutta da verificare nella prassi futura,
ai meccanismi di controllo vigenti in ambito europeo.
Con
riferimento al caso specifico dell'Italia, in primo luogo la
“costituzionalizzazione” della golden rule si è realizzata tramite la
modifica dell'art. 81 Cost. (novellato dalla legge
costituzionale
20 aprile 2012, n. 1), il quale ha tuttavia utilizzato l'espressione
«equilibrio tra le entrate e le spese», in luogo della tradizionale «pareggio
tra entrate e uscite», assoggettando inoltre l'approvazione della legge di
bilancio all'inusuale (quanto stringente) meccanismo di una legge da adottare a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
È
appena il caso di rilevare, appunto in termini di tecnica in materia di
trattati internazionali, che, qualora non si riuscisse ad adottare tale legge,
ne conseguirebbe, oltre ad una aperta violazione dello stesso Fiscal Compact,
anche una violazione dell'art. 27 della convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati del 1969
3.
______________________
2 Sentenza nella causa C-370/12,
Thomas Pringle / Government of Ireland, Ireland, The Attorney General.
3 Tale norma impedisce agli stati
di invocare la propria legislazione interna, al fine di giustificare la mancata
attuazione di un trattato.
Ciò
posto, e già non è poco, si potrebbe proporre la ulteriore seguente questione:
dato che il Fiscal Compact, come accennato, è un “normale” trattato
internazionale ed è quindi governato dalle “normali” regole fisiologiche e
patologiche di un trattato – fra le quali la citata “clausola rebus sic
stantibus” – diventa anche possibile in astratto e in concreto che l'Italia
denunci legittimamente il Fiscal Compact, alla luce delle norme “comuni” in
materia di accordi internazionali?
Due
parole in materia meritano di essere spese. L'Italia, nel momento in cui ha
ratificato il Fiscal Compact, era alle prese con un determinato ammontare di deficit
di bilancio, evidentemente tenuto in considerazione dai negoziatori
dell'accordo: un aggravamento di tale condizione di deficit, dunque,
potrebbe rendere impossibile per l'Italia l'osservanza degli stringenti vincoli
posti dal Fiscal Compact, e così legittimarla a denunciare il trattato per
eccessiva onerosità dello stesso, magari invocando quel mutamento fondamentale
delle circostanze di cui alla clausola rebus sic stantibus.
Un'altra
motivazione potrebbe derivare dal fatto che, come è noto, il trattato di
Lisbona ha fornito la base giuridica per l'adesione dell'Unione europea alla
CEDU, attraverso il nuovo art. 6, par. 2, TUE, secondo cui «l'Unione aderisce
alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali». In quest'ottica, in particolare, mal si concilierebbe ad
esempio un eccesso di “rigore” da parte dell'Unione europea (sia pure
indirettamente) con una disposizione CEDU fortemente “garantista” – come l'art.
2, titolo I – che fa espresso riferimento alla tutela del «diritto alla vita di
ogni persona».
Per
non parlare, infine, delle conseguenze della procedura di cui all'art. 5 del
Fiscal Compact, che obbliga uno stato contraente che sia soggetto a procedura
per disavanzi eccessivi, a predisporre un programma di partenariato economico e
di bilancio con una descrizione dettagliata delle riforme strutturali da
attuare per poter correggere l'eccesso di deficit. In particolare, nella
misura in cui questo elemento possa comportare una forte riduzione di benessere
(quantomeno “percepito”) da parte degli individui, lo stato in questione
potrebbe essere accusato di una violazione dei diritti dell'uomo, per non
incorrere nella quale potrebbe risultare legittimo o necessario il ricorso alla
“clausola rebus sic stantibus”.
06_
Conclusioni
Dalla
sintetica trattazione emergono, dunque, due importanti considerazioni:
i)
il meccanismo di revisione dei trattati nell'ambito del diritto UE tracciato
dall'art. 48 TUE, anche in seguito alle modifiche apportate in materia dal
trattato di Lisbona, è rimasto sostanzialmente un meccanismo
internazionalistico tradizionale, in quanto ancora imperniato su un ruolo
primario svolto nell'ambito della relativa procedura da parte del Consiglio
europeo;
ii)
in tema di Fiscal Compact, partendo dall'assunto che la stipulazione di un
trattato parallelo rispetto ai trattati tradizionali (TUE e TFUE) è stata
dettata dalla volontà di 25 stati membri UE di non assoggettarsi ai meccanismi
di controllo tipici dell'Unione, si constata in realtà il fatto che gli
obblighi di “rigore” economico-finanziario imposti dal Fiscal Compact ben
potrebbero comunque essere, in qualche modo, “aggirati”: come detto, infatti,
al ricorrere di determinate condizioni, potrebbero prospettarsi ipotesi di
“denuncia” del trattato in questione da parte di uno stato contraente, con il
conseguente venir meno anche di quegli obblighi di “rigore” da esso imposti.
Bibliografia
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Editore
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link sostituito da:
http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Fiscal-compact-un-problema-di-democrazia-25262.html
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