sabato 16 maggio 2015

La globalizzazione non è un gioco equo


A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 206 del 03-11-2012 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
La globalizzazione non è un gioco equo

Come pensate si possa uscire dalla trappola della globalizzazione, chiunque l’abbia assecondata? Io abbozzo qualche osservazione.

La globalizzazione oggi non è un gioco equo (se leggete questo commento del suo libro e questa interessantissima intervista a Walden Bello che propugna la de-globalizzazione ne avete conferma: Walden Bello: de-globalizzazione, unica salvezza http://www.libreidee.org/2009/07/walden-bello-de-globalizzazione-unica-salvezza/  Walden Bello, scrittore ed accademico filippino, è uno dei maggiori critici della globalizzazione e delle derive finanziare del nostro mondo. L’ho incontrato alcuni mesi fa nel suo ufficio di Manila. http://silvestromontanaro.com/post/2734067473/deglobalizzare-intervista-a-walden-bello ), non è un gioco equo, dicevo, sia per la sottovalutazione dello yuan cinese (e del dollaro USA), che equivale a mettere un dazio sulle importazioni cinesi (o americane), sia per il dumping sociale, la cui gestione è politica (cioè in mano al partito comunista cinese); sia per l’assenza di controlli qualitativi e normativi efficaci ed incisivi sulle merci cinesi o orientali o extra UE prodotte dalle nostre aziende de localizzate, importate in UE.

Quando l’Italia ha chiesto una normativa più severa sulle importazioni di prodotti tessili a difesa dei nostri prodotti, i Paesi scandinavi si sono opposti, per salvaguardare il vantaggio dei consumatori  svedesi o finlandesi dei bassi prezzi dei prodotti cinesi.

Recentemente, dalla newsletter n. 40 dell’europarlamentare Niccolò Rinaldi, ho saputo dei pasticci italiani ed europei sulla difesa dei prodotti italiani attraverso il Made inCon la complicità del governo italiano, la Commissione ha ritirato il Regolamento sul Made in (comunicato), un provvedimento di sostegno agli imprenditori che non hanno delocalizzato. Al Parlamento avevamo lavorato sodo ottenendo due anni fa una larga maggioranza, ma poi tutto si è bloccato per le resistenze dei paesi del nord e l'inerzia del governo italiano (tanto Berlusconi che poi Monti)”. http://www.niccolorinaldi.it/archivio/europee/1467-europea-40.html .

Va rimarcato che bisogna, appunto, distinguere gli effetti della globalizzazione sui vari Paesi UE sulla base del criterio della complementarità delle nostre economie con quella cinese, massima ad esempio per la Germania, non altrettanto, purtroppo, per l’Italia. [*]
[*] Ricerca e Sviluppo (e Innovazione) (R&S)
In merito al fattore “ricerca e sviluppo”, sarebbe utile un’analisi comparativa tra l’Italia e la Germania. In Germania, operano 80 sedi dell’Istituto Max Planck (Società Max Planck per l'Avanzamento delle Scienze), adeguatamente finanziate dallo Stato, che mettono gratuitamente a disposizione delle imprese i risultati delle loro ricerche.
Altrettanto fa l’equivalente italiano, il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche).
Perché i risultati sono diversi? E’ un problema di risorse, di organizzazione, di interazione inefficiente tra l’Ente e le imprese, di insufficiente orientamento all’innovazione delle imprese?
In base alla mia limitatissima esperienza, un po’ tutti questi fattori.
Provo a fare alcune considerazioni da non esperto.
Il livello di propensione all’innovazione è parente stretto del livello di propensione al rischio, che, secondo me, ha due determinanti, variamente calibrate per ciascun individuo: il carattere innato, frutto dei geni, e, soprattutto, l’educazione ricevuta in famiglia (in senso lato). Che poi determinano o almeno concorrono a determinare fortemente le propensioni e le scelte future, anche, ad esempio, sul corso di studi o sul tipo di lavoro o sulla decisione di rendersi autonomi o, appunto, sull’accogliere il nuovo e diverso. […]

Una normativa e controlli più stringenti vanno contro gli interessi – esogeni - della potente Cina, ma anche quelli – endogeni – sia dei singoli Paesi, sia delle nostre potentissime multinazionali, che producono a costi cinesi (1/10 di quelli occidentali) e vendono da noi a prezzi occidentali, lucrando gli enormi sovrapprofitti.
Questo, più che un’improbabile de-globalizzazione, è forse il problema prioritario da aggredire.

Compiti a casa
Certe scelte erano necessarie, perché  qualche conticino da sistemare, da noi, c’era e c’è: gli sciali, le inefficienze, la corruzione, l’evasione, le malversazioni, un apparato istituzionale-burocratico-amministrativo-normativo ridondante, farraginoso, inefficiente, sovradimensionato e costoso. In una situazione così, che ci costringe su una via virtuosa ed a rimanervici, perché la crisi sarà lunga (almeno 15 anni), il problema principale è saperlo fare con equità.
Ma i partiti di sinistra riformista, ad un certo punto, come succede spesso nella storia, per accreditarsi presso i poteri forti, sono diventati più realisti del re.
Ma ora la situazione è talmente difficile, che hanno forse tutti – tutti? – capito che devono cambiare politica, e farne una davvero socialdemocratica.

Misure regolatrici anticrisi
Ha ragione chi dice che questo non è proprio il momento per ridurre il debito e continuare, alimentando una spirale perversa, con le misure correttive recessive, ma purtroppo il gioco di tutti gli organismi (UE, BCE, FMI, Società di rating, Governo), vedi ad esempio “Lettera al Vice Presidente UE Olli Rehn” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2697319.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/04/lettera-al-vice-presidente-ue-olli-rehn.html si salda con i desiderata e gli interessi dei ricchi potenti, egoisti, avidi e spietati per fregare il popolo bue (e pure quello intelligente). Bisognerebbe dare l’assalto alla Bastiglia. Oppure farlo metaforicamente, mettendo mano finalmente, assieme agli altri Paesi UE e agli Usa, alla riforma delle leggi che regolano la finanza, in particolare quella malata. Ma bisognerà smettere la nostra abitudine all’ammuina e pungolarne e sostenerne l’azione, poiché è qui il nodo da sciogliere, la criticità che ha messo in crisi il sistema. Le misure da prendere ormai sono note e si basano sulla semplice ma terribile costatazione che il potere di poche grandi banche (in totale nove) è sovraordinato al potere politico. Due anni fa, Eugenio Scalfari, in un suo editoriale domenicale, ne ha parlato con toni preoccupati, desumendone la notizia dal New York Times. [**]
 (nei “principali parametri di macroscenario”; vedi anche la nota 3), ho scritto che le transazioni finanziarie pare assommino a 4 mila miliardi al giorno. Noam Chomsky  (http://it.wikipedia.org/wiki/Noam_Chomsky ) ha evidenziato che uno dei principali problemi della nostra epoca è la globalizzazione dei capitali, ma non del potere politico.
[**] Nel suo editoriale del 19 dicembre 2010, “Nove banche vogliono dividere l'euro in due”, Eugenio Scalfari, citando il New York Times, ha scritto:
“(…). È vero, gli "hedge funds" sono un'ingente massa di manovra ma non rappresentano il cervello della speculazione. Il cervello sta al vertice del sistema bancario internazionale e vede insieme sia le grandi banche di credito sia le grandi banche d'affari americane, inglesi, svizzere, tedesche. Il “New York Times” ha descritto pochi giorni fa il funzionamento di questa <b>"Cupola"</b> ed ha anche indicato le banche che la compongono: J. P. Morgan, Bank of America, Goldman Sachs, Ubs, Credit Suisse, Barclays, Citigroup ed altre per un totale di nove. Ma ciascuna di esse possiede una quantità di partecipazioni e diramazioni in tutto il mondo e capitali immensi a disposizione.
In un giorno fisso della settimana i capi delle nove banche principali si riuniscono in un club riservato, esaminano gli ultimi dati sull'occupazione, sui mutui immobiliari, sulla produzione manifatturiera, sui tassi di cambio delle principali valute (dollaro, euro, yen, yuan), sugli "spread" tra i principali debiti sovrani, sulle materie prime. L'esame dura un'ora o poco più. Poi tirano le somme e decidono come muoversi sui mercati oppure non muoversi e restare in attesa”.
Sono esattamente le stesse banche che fanno parte del ristretto numero di istituti finanziari (in totale 20 specialisti in titoli di Stato) che hanno la licenza per acquistare, alle aste del mercato primario, i nostri titoli di Stato, che poi vendono sul mercato secondario, determinando assieme agli acquirenti lo spread (cfr, I facitori dello spread http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2748019.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/05/i-facitori-dello-spread.html ).

In questo post “Tra Bersani e Renzi il gioco si fa duro”   http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2758539.html  oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/05/tra-bersani-e-renzi-il-gioco-si-fa-duro.html  ho riepilogato la situazione ed elencato i provvedimenti da prendere:
“L’attuale, terribile crisi economica è scoppiata a causa delle disfunzioni della finanza. I finanzieri basati nei paradisi fiscali manovrano i cosiddetti capitali-ombra, [1] tra i principali responsabili dell’ingovernabilità dell’attuale crisi; [2] anche il presidente della BCE, Mario Draghi, ex presidente del FSB [3] ed ex governatore della Banca d’Italia, il quale, dopo lo scoppio della crisi alla fine del 2007, ebbe l’incarico di definire le proposte di regolazione dei mercati finanziari, ha rammentato e chiesto che i predetti capitali-ombra, enormi, vengano controllati. (v. [1], nota 3).
I soldi servono alle campagne elettorali di tutti i candidati, molti soldi, ma possono diventare anche la farina del diavolo, che come si sa finisce in crusca.
Anche Obama fu finanziato la volta scorsa dalle grandi banche USA, e ne fu inevitabilmente condizionato, in termini di scelte e di immagine. Ora è un bene ed un fatto di chiarezza che quelle stesse grandi banche appoggino Mitt Romney.
La mia (e di tantissimi altri) critica a Obama è che non ha cambiato finora le leggi, ad esempio (a) ripristinando, com’è stato per 70 anni dopo la crisi del 1929, la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento (divieto peraltro tolto nel 1999 sotto la presidenza del democratico Clinton!); [4] (b) controllando i capitali-ombra (come chiesto, appunto, anche dal governatore Draghi), (v. [1], nota 3); (c) disciplinando i derivati e (d) vietandoli – assieme alle vendite allo scoperto – per i prodotti alimentari; (e) regolando le vendite allo scoperto sui titoli pubblici, (v. [1], nota 4); ed infine (f)  introducendo la TTF. (v. [1], nota 5). Spero lo potrà fare – se non lui, l’uomo più potente del mondo, chi? - se vincerà senza il condizionamento dei finanziamenti delle grandi banche, sulla base dei dati e dei fatti le vere padrone del mondo. [2]
Ma lo stesso ovviamente vale per l'Europa e soprattutto per la Germania, la cui cancelliera Merkel ha mantenuto finora (e solo recentemente) soltanto la promessa sull'introduzione della TTF. [5]”.

Sepolcri imbiancati
Il prof. Amato, per dirne uno, luminare non di economia ma di materie giuridiche, io lo tenevo fisso al secondo posto (dopo Antonio Martino) nella mia personale classifica del più “stupido” d’Italia, di quelli, cioè, che ne sanno sempre una più intelligente degli altri, però personalmente apprezzai la sua proposta coraggiosa di una imposta patrimoniale per ridurre celermente il debito (cfr. “Dossier Imposta Patrimoniale” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2670796.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/04/analisi-quali-quantitativa14imposta.html , che però, da vero “dottor sottile”, dopo le numerose reazioni inviperite da parte dei ricchi e dei loro utili idioti ben retribuiti, rifiutò di chiamare tale. Come se i soldi necessari si potessero prendere (come peraltro stanno facendo da tempo) da quelli che non ce li hanno, e non dai ricchi che ce li hanno. Logica stortignaccola tutta italiana (e non solo). Bisognerebbe dare l’assalto alla Bastiglia, non c’è alternativa. A meno che non si consolidi qualche segnale di novità, come fu un sondaggio tra i giovani industriali, i quali al 40% si dichiararono favorevoli ad una patrimoniale, o, l’anno scorso, la proposta avanzata dalle associazioni imprenditoriali (cfr. post allegato in precedenza, nota 22), ribadita recentemente dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, di un’imposta patrimoniale ordinaria ad aliquota bassa sulla ricchezza netta al di sopra di una certa soglia, cioè prevedendo una franchigia di almeno 800 mila €. Evidentemente qualche ricco comincia a capire che la corda è già tesa e rischia prima o poi di spezzarsi.

PD
Io non credo che i leader del PD (partito composito, che alberga posizioni variegate) siano ora tutti sostenitori acritici della globalizzazione. Ho piuttosto l’impressione che prevalga il ragionamento di Romano Prodi che la considera ineluttabile e quindi ne vede soprattutto i vantaggi da cogliere, [***] non nascondendosi certamente gli svantaggi. E Bersani ha chiaro il ruolo negativo della finanza cattiva nello scoppio e nel proseguire della crisi.
[***] E’ vero che “L’ascesa delle economie emergenti, e in particolare della Cina - come sostiene anche Hans Timmer, direttore delle Prospettive di Sviluppo - non va vista come una minaccia, ma come un’opportunità” http://amato.blogautore.repubblica.it/2011/05/21/zhu-min-for-president-il-peso-della-cina-in-un-mondo-multipolare/ , ma occorrono alcune cose:
1) la crescita dimensionale delle imprese italiane o la loro messa in rete per gli aspetti commerciali (incluso il marketing), e finanziari, per poter operare e competere in un mercato globale;
2) il sostegno dello Stato per gli aspetti prima citati, sia in termini di strutture in loco dedicate, sia in termini di visite periodiche dei massimi esponenti istituzionali (tranne l’allora presidente Ciampi e una presenza costante dell’ex presidente  Prodi, ora in qualità di semplice docente, quasi nessuno [del governo Berlusconi] è andato in Cina!) , ai quali va aggiunto il fondamentale fattore di “ricerca e innovazione”; e un potenziamento dei controlli e delle misure per limitare il dumping sociale;
3) infine, a fini di giustizia sociale, ma anche per innovare le relazioni tra i soggetti economico-sociali ed accrescere l’efficienza del Paese, una incisiva riforma della legislazione sul lavoro, sulla funzione dei sindacati, sulla partecipazione dei lavoratori all’azionariato ed al controllo delle imprese (v. http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2586257.html  oppure http://vincesko.blogspot.it/2015/03/partecipazione-dei-lavoratori-alla.html ).

Il problema, come dice Walden Bello (e come sostengo anch’io da tempo, visto che ne ho conosciuto le tesi solo recentemente) è che è necessario un movimento di popolo dal basso (che invece finora ha costituito la massa di utili idioti a loro favore) per vincere la pretesa di quattro gatti potentissimi, ricchissimi, avidissimi e spietatissimi di decidere la “schiavizzazione” del resto dell’umanità. Qualche segnale c’è, ma occorre che si rafforzi e si estenda.

Perché il popolo italiano (come gli altri popoli occidentali) non può reggere altri 15 anni (durata probabile perché la legge dei vasi comunicanti produca il livellamento dei salari e degli assetti normativi sul lavoro) [****] in una crisi economica devastante. Già ora, come s’è visto dai risultati elettorali e, prima, referendari, c’è sia una diversa consapevolezza del problema, sia, soprattutto, un più forte e diffuso spirito di reazione.
[****] Dinamica dei salari.
Per la legge dei vasi comunicanti, la globalizzazione ha comportato e comporterà: a) la tendenza al livellamento dei salari (verso l’alto dei Paesi in via di sviluppo; verso il basso di quelli sviluppati); b) anche dei prezzi, ma solo in parte: un’aliquota delle merci prodotte ed esclusi tutti i servizi): c) la de-localizzazione di una parte delle industrie con conseguente perdita di posti di lavoro e; d) un peggioramento dei diritti e della normativa sul lavoro, con conseguente depauperamento di aliquote significative di lavoratori dipendenti a beneficio dei datori di lavoro, anche nei settori sottratti alla concorrenza internazionale, e l’aumento delle disuguaglianze sociali. (cfr. [1], note 2 e 4).

Ciò che mi preoccupa, però, leggendo l’intervista a Walden Bello, è che egli, a differenza di ciò che penso io, ritiene impossibile una soluzione socialdemocratica alla globalizzazione:  Quelli che sostengono «la globalizzazione è irreversibile, dobbiamo soltanto umanizzarla» si illudono: è impossibile umanizzare la globalizzazione, dovremmo piuttosto capovolgerla”.

Intanto, in attesa dell’eventuale de-globalizzazione, un bel compito si presenta ai leader del PD e a tutti gli altri leader di sinistra europei: come scrivevo sopra, rendere più equi gli scambi commerciali con i Paesi emergenti; fare pressione per ottenere un più celere miglioramento dei loro salari e condizioni di lavoro; e, soprattutto, distribuire i sacrifici da noi in modo equo.

***

Riporto ora i commenti di una discussione sul tema della globalizzazione svoltasi nel blog di PGO su “Repubblica” tra me e Valerio_38, dalla quale ho poi stralciato alcuni dei passi riportati più sopra.

Vincesko
Globalizzazione
Lasciamo perdere Gallino, ma tu come pensi si possa uscire dalla trappola della globalizzazione, chiunque l’abbia assecondata? Io le mie proposte le ho abbozzate sopra.


Valerio_38
Trovo un po’ ridicolo che io e te ci mettiamo a discutere dei “modi per dare soluzione” alla globalizzazione. Su questa questione è in atto una discussione che coinvolge governi, istituzioni internazionali, ambienti accademici, politici, sindacali, ecc.
Nel bailamme seguito allo scatenarsi della crisi finanziaria in atto, una cosa è ormai ben chiara: immaginare “soluzioni” è solo il primo passo (ed è già, di per sé, piuttosto impegnativo); ma mettere in campo il protagonista politico che dovrebbe “afferrare il volante” e dare la necessaria sterzata è un compito ancora più impegnativo.
Quanto al primo punto (immaginare soluzioni), è necessario prendere atto che la situazione di crisi che stiamo vivendo è frutto diretto delle politiche di liberalizzazione dei mercati degli ultimi 15 anni (trattati di libero scambio in ambito WTO) e delle politiche di deregulation del sistema finanziario globale sviluppate negli ultimi 25 anni.
Per effetto di quella apertura del “vaso di Pandora”, l’architettura dell’attuale sistema economico-finanziario è stato costruita senza alcun progetto consapevole.
E’ ben noto che nessun sistema di una certa complessità può essere stabile e controllabile se non è stato progettato per esserlo. Una intera branca dell’ingegneria (teoria dei sistemi, controlli automatici, teoria della regolazione, ecc.) è stata sviluppata proprio per identificare i criteri di progetto che assicurino la stabilità e la controllabilità dei sistemi fisici (reti elettriche e elettroniche, sistemi idraulici, energetici, chimici, ecc.). Nessun progettista di un qualunque sistema fisico complesso si sognerebbe di implementare un sistema senza avere esplorato con tecniche adeguate il comportamento del suo modello teorico. Invece l’architettura del sistema finanziario globale è stata costruita proprio così, affidando la sua archiettura alle forze spontanee (e anarchiche) del mercato.
In un quadro generale di questo tipo, le opzioni immaginabili sono sostanzialmente di tre tipi:

1. Il salasso portato fino alle estreme conseguenze (perché la crisi sarebbe colpa degli interventi politici sul mercato). Bisogna lasciare agire le dinamiche intrinseche del sistema economico-finanziario così com’è, confidando nel fatto che, come assicurano i dogmi del credo neoliberale, il sistema sia perfettamente in grado di autoregolarsi e di ottimizzare l’allocazione dei capitali se non venga perturbato da interferenze politiche. In altre parole: altre liberalizzazioni, altre privatizzazioni, altre deregolamentazioni (il caso Grecia e il modo in cui è attualmente gestito dall’UE e dalla BCE è un caso di scuola).
2. Non intervenire sulle cause della crisi, ma cercare di temperarne gli effetti. Questa è, da sempre, l’impostazione del riformismo pavido. Nel nostro caso ci si propone di lasciare inalterata l’architettura del sistema economico-finanziario (le cause) ma di apportare dei correttivi ai suoi effetti più evidenti e drammatici. Come sa chiunque abbia nozioni elementari del progetto di sistemi, si può riportare sotto controllo un generico sistema X instabile mediante sottosistemi di correzione, ma a tale scopo è essenziale conoscere il modello intrinseco del sistema X (in altre parole il sistema deve essere completamente conosciuto e descrivibile con un modello). Ma il modello astratto di un sistema costruito senza progetto (come l’attuale sistema economico-finanziario) è conoscibile solo mediante reverse engeneering di tipo “scatola nera”, inadeguato a fornire un modello intrinseco univoco.
3. Intervenire sulle cause. Questo presuppone, nel breve termine, la segmentazione del sistema esistente (a livello regionale e interrompendo le interazioni notoriamente più critiche, ad esempio separando banche commerciali dalle banche di investimento) per riportarlo sotto controllo (come propone Walden Bello) e, nel lungo termine, la sua riorganizzazione radicale secondo una nuova architettura economico-finanziaria che ne assicuri stabilità e controllabilità (un keynesismo adattato al nuovo millennio).
Ritengo che le prime due opzioni siano palliativi, che potranno soltanto trascinare a lungo la situazione di crisi per poi degenerare in regimi autoritari, come teme Luciano Gallino. La terza opzione è l’unica realistica dal punto di vista intellettuale, ma è pressoché priva di sostenitori sociali, dal momento che da decenni l’intero schieramento politico è stato pietrificato dalle sirene neoliberali.
Dunque, il nostro destino sembra ineluttabile: un regime autoritario prometterà di mettere fine al dominio distruttivo dei mercati, ma lo farà con mezzi fascisti. Come dice Luciano Gallino “vari segni inducono a supporre che molti esponenti del sistema finanziario mondiale non sarebbero turbati da questo esito”.

Vincesko
Trovo un po’ ridicolo che io e te ci mettiamo a discutere dei “modi per dare soluzione” alla globalizzazione.

Invece è proprio il nostro compito; di noi, intendo, che facciamo parte della rete e commentiamo in un blog. Beninteso, se anche tu come me persegui l’obiettivo di creare informazione corretta e controinformazione.

Chi, quale soggetto? Per fare che cosa?

Perché – l’ho già scritto - anc’hio come Walder Bello credo che il soggetto principale debba essere il popolo, in primo luogo il popolo del web, a farsi promotore di un’azione di raccolta, elaborazione, distribuzione delle informazioni, pungolo, controllo sulle istanze politiche e, tramite queste, sui soggetti economico-finanziari, per operare su un duplice piano: 1) far riprogettare l’intero sistema secondo principi socialdemocratici (terza opzione); 2) apprestare, nel frattempo, correttivi e misure adeguate per gestire al meglio la situazione (seconda opzione), che può diventare insostenibile ed esplosiva (dando la stura ed il pretesto a soluzioni fascistiche).

Soluzioni

Non mi arrischio a delineare soluzioni sistemiche e palingenetiche, ma è chiaro che occorre limitare da subito gli effetti perversi della globalizzazione nell’economia reale. Io, credo di averlo già detto, come fanno tantissimi altri, individuo tre fattori su cui intervenire: 1) la sottovalutazione dello yuan cinese (e del dollaro USA), che equivale a mettere un dazio sulle importazioni cinesi (o americane); 2) il dumping sociale, la cui gestione è politica (cioè in mano al partito comunista cinese); e 3) l’assenza di controlli qualitativi e normativi efficaci ed incisivi sulle merci cinesi o orientali o extra UE prodotte dalle nostre aziende delocalizzate, importate in UE.
Per quanto riguarda il punto 1), faccio due osservazioni: a) lessi tempo fa che la Cina ha riunito un gruppo di esperti internazionali, e ne tratta anche negli incontri bilaterali internazionali, per studiare le cause prima del declino e poi della dissoluzione dei vari imperi, incluso ovviamente quello romano, che si sono succeduti nella storia; b) ha fatto tesoro di un caso di studio molto più recente – il Giappone – che 25-30 anni fa accettò l’invito degli USA a rivalutare lo yen per riequilibrare gli scambi commerciali, e ne ha pagato a lungo poi le conseguenze negative. Questo per spiegare la renitenza della Cina a rivalutare lo yuan (o renminbi): difficilmente lo farà.

Altrettanto si può dire per il punto 2), in ordine al quale giocheranno un ruolo, in via prioritaria, i lavoratori cinesi (che già hanno ottenuto talora significativi miglioramenti salariali); in via subordinata e complementare, i sindacati mondiali. Il punto 3) – la gestione dei prodotti importati, inclusi quelli delle imprese occidentali de-localizzate – secondo me costituisce la variabile controllabile su cui occorre ed è possibile intervenire con dei correttivi adeguati.

Infine, a livello nazionale, è fondamentale apprestare un mix di misure che, da un lato, aumentino le tutele di welfare, riformino il mercato del lavoro, varino un corposo piano di alloggi pubblici; dall’altro, trovino le risorse finanziarie, chiamando a contribuire secondo capacità di reddito e consistenza patrimoniale.

I numeri elettorali, se opportunamente spiegate e propagandate, sono dalla parte di queste misure; i partiti di centrosinistra non potranno non seguire (lo stanno già facendo).. Ma bisogna evitare di fare ammuina.


Valerio_38
Mi sembra chiaro che il quadro interpretativo che ti sei costruito ruota attorno a uno dei due grandi processi in atto (processo A: delocalizzazione delle manifatture dall’Occidente alla Cina e ai paesi dell’Europa Orientale) mentre ignora/trascura completamente l’altro grande processo (processo B: la finanziarizzazione delle economie dell’Occidente).
Ma è la compresenza dei due processi che rende particolarmente distruttiva la crisi in atto. Il processo A deprime i salari nei paesi origine delle delocalizzazioni (e, indirettamente, ha creato le condizioni per l’insolvibilità in massa dei mutuatari USA i cui titoli di debito erano stati impacchettati dalle holding finanziarie globali nei titoli tossici poi venduti in tutto il mondo), il processo B propaga la crisi finanziaria in tutto il mondo (provocando, in tutto il mondo, la improvvisa perdita di valore della montagna di carta dei titoli di debito il cui valore nominale, per inciso, supera di molte volte il PIL mondiale).
Per capire con quali strumenti sia possibile arginare le conseguenze della crisi in atto (che sta ormai minacciando interi stati) bisogna chiedersi chi sono i colpevoli, chi ha avviato i due processi A e B.
E la risposta è sconsolante. I due processi sono stati avviati in modo bipartisan da destra (liberali e conservatori europei e USA) e sinistra (riformismo pavido europeo e liberal USA), perché in entrambi gli schieramenti, nel corso degli anni ’80 e ’90, sono diventate dominanti le correnti ideologicamente incatenate ai dogmi neoliberali.
Una volta avviati quei due processi, più essi avanzano, più è difficile anche solo fermarli, e ancora di più rimuoverne le cause.
Per fermare i due processi bisogna infrangere i dogmi neoliberali, cosa che il campo della destra (dominato dai neoliberali avidi) nemmeno si sognerebbe mentre il campo della sinistra (dominato dal riformismo pavido) non ha il coraggio intellettuale di pensare. Perché per fermare la deriva in atto bisognerebbe risegmentare il mercato mondiale (ripristinando barriere doganali fra aree economiche, in modo da interrompere i flussi di merci e capitali che sostengono il processo A), e segmentare il sistema finanziario, riportando le holding bancarie nei confini nazionali (o regionali, ad esempio la regione UE) e poi ripristinando la separazione fra banche commerciali garantite dai governi (raccolta del risparmio e prestiti coperti da solide garanzie) e banche di investimento, non garantite dai governi e quindi esposte al concreto rischio di fallimento (in modo da interrompere la creazione/cartolarizzazione/distribuzione del debito che sostiene il processo B).
La tua idea che gli interventi debbano concentrarsi su una parte del processo A, immaginando che “i cattivi” siano i cinesi e che basti scatenare una campagna anticinese (come negli anni ‘80 fu scatenata in USA una campagna antigiapponese, che Reagan portò al successo con gli accordi capestro dell’hotel Plaza) per “risolvere il problema della globalizzazione” è fuorviante.
I cattivi non sono “i cinesi”, quanto piuttosto le norme che hanno consentito alle multinazionali occidentali di delocalizzare le manifatture dall’Occidente verso la Cina e i paesi dell’Europa Orientale (processo A) e quelle che consentono oggi alle holding bancarie TBTF di ricattare i governi (minacciando una crisi finanziaria globale) in modo da estorcere ai popoli occidentali risorse di liquidità illimitate (scaricando sui contribuenti gli oneri derivanti dal fallimento del loro “modello di business”, con il risultato di deprimere ulteriormente il ciclo economico nei paesi dell’occidente) che utilizzano per continuare a speculare ai danni di quegli stessi popoli (processo B).

A suo tempo non fu particolarmente difficile, per le lobby del big business, trafficare nei sotterranei dei governi e dei parlamenti occidentali in modo da modificare le norme che impedivano l’avvio dei processi A e B. Assai più difficile, oggi e domani, ottenere che le norme modificate vengano ripristinate, dal momento che non si vede all’orizzonte, in nessun paese occidentale, un soggetto politico e sociale in grado di far prevalere queste istanze. Le chiacchiere sul web sono meglio di niente, ma se le chiacchiere non mettono in moto processi nel mondo reale (revoca di mandati a partiti, scioperi di massa, minacce all’ordine pubblico, ecc.), non disturbano il manovratore, che, da parte sua, non ha nemmeno bisogno di impegnarsi direttamente sul web, dal momento che a confondere le idee (additando i ribelli come responsabili del disordine) provvedono tanti “volonterosi e inconsapevoli” carnefici.
Cosicché è facile prevedere che l’opposizione sociale ai processi A e B tenderà a incattivirsi in spinte ribellistiche senza sbocco (moderne jacqueries), con il rischio che alla fine l’esasperazione e la frustrazione sociale si arrenda a tentazioni autoritarie di tipo fascista, qualora esse promettano di fermare i processi della globalizzazione e di ripristinare le sovranità nazionali. I fascismi sono sempre la conseguenza dell’incapacità delle forze politiche democratiche di svolgere un ruolo di rappresentanza degli interessi generali della società. Va a finire che di questo compito si fanno portatori regimi autoritari.


Vincesko
Ottimo commento, mi è piaciuto! Tranne:

1) Di nuovo mi attribuisci colpe che non ho: non ignoro/trascuro completamente l’altro grande processo (processo B: la finanziarizzazione delle economie dell’Occidente). Se controlli, ho scritto

Chi, quale soggetto? Per fare che cosa?

Perché – l’ho già scritto – anch’io come Walden Bello credo che il soggetto principale debba essere il popolo, in primo luogo il popolo del web, a farsi promotore di un’azione di raccolta, elaborazione, distribuzione delle informazioni, pungolo, controllo sulle istanze politiche e, tramite queste, sui soggetti economico-finanziari, per operare su un duplice piano: 1) far riprogettare l’intero sistema secondo principi socialdemocratici (terza opzione); 2) apprestare, nel frattempo, correttivi e misure adeguate per gestire al meglio la situazione (seconda opzione), che può diventare insostenibile ed esplosiva (dando la stura ed il pretesto a soluzioni fascistiche).

E’ che, siccome sono ignorante in materia, lascio a te ed agli altri esperti la riprogettazione dell’intero sistema (speriamo che il FSB di Mario Draghi presenti a ottobre qualcosa di almeno passabile per la parte finanziaria; sono sicuro che tu sei molto scettico).

2) Nessuna “campagna anti-cinese”, ma rendere più severe e cogenti le regole e più incisivi i controlli; applicare come UE un criterio severo di reciprocità verso tutti i Paesi, anche la Cina e gli USA.

3) Dobbiamo prendere l’abitudine di chiamare i “volonterosi e inconsapevoli” carnefici e soprattutto quelli consapevoli al soldo dei ricchi, UTILI IDIOTI: mi sono accorto che è molto più efficace.

4) Io ho una mentalità concreta, pragmatica, “goal oriented”: devo dare un senso – o almeno se lo faccio mi diverto molto di più – al tempo che spendo a scrivere nel web. Gli esperti pare annettano un’importanza crescente, in prospettiva forse determinante, al ruolo degli internauti sugli esiti politici ed elettorali. Pertanto, sto diventando anch’io ancor più consapevole dell’influenza che ciascuno di noi e l’insieme possiamo esercitare. Anche i partiti, ovviamente, ne sono consapevoli. Si tratta di dargli un’organizzazione. Ad esempio, elaborando, come ho fatto io (a fatica, credimi, per le terribili resistenze “culturali”) in PDnetwork, il documento di 11 pagine, che poi ho inviato ad una cinquantina dei principali esponenti del partito.

5) Io, al riguardo, immagino si potrebbe fare: a) in primo luogo, “stanare” e coinvolgere l’esimio PGO, il quale è reduce dalla gita in barca proprio a cogitare sulle sorti e le soluzioni per l’Italia (hai visto? non ne ha mai scritto. È reticente…); b) elaborare un documento (i tuoi ‘post’ sono quasi già bell’e pronti da trasmettere...) da inviare, ad esempio, sia alla neonata rivista “TamTam democratico”, che, soprattutto, a qualche esponente importante dei partiti di centrosinistra (incluso Romano Prodi). Che ne pensi? (Che ne pensate?).


valerio_38
No, non è per distrazione che non ho risposto al tuo invito. Il fatto è che il mio giudizio sulle attuali leadership del centrosinistra italiano è molto drastico: sono direttamente responsabili dell’attuale stato di degrado del paese e dello stato comatoso dell’elaborazione teorica. Ne ho tratto, da tempo, una convinzione radicale: nulla potrà cambiare se non verranno spazzati via (tutti) questi pigri eredi di tradizioni storiche dignitose. E questa convinzione si rafforza quando si vedono emergere, come segni del “nuovo”, i Renzi, i Boeri e gli Ichino, un “nuovo” più vecchio del vecchio. L’unico sforzo dei “nuovi” sembra quello di presentarsi, già ora, come volonterosi carnefici, ansiosi di essere adottati come “nuovi” compagni di strada dal capitale finanziario non appena il discredito dei nani e delle ballerine del centrodestra supererà la soglia di tolleranza. In altre parole: nessuno di loro si pone l’obbiettivo di incivilire il moderno capitalismo finanziario (assoggettandolo ai vincoli necessari), ma quello di subentrare ai nani e alle ballerine nel ruolo di maggiordomi del capitalismo finanziario selvaggio. Gli “esponenti importanti dei partiti di centrosinistra” (ai quali ritieni utile rivolgerti) sono importanti (o comunque ritenuti tali dalla stampa compiacente) proprio perché palesemente disponibili a svolgere questo ruolo.


Vincesko
Pietro Ichino
L’anno scorso, ho espresso più o meno lo stesso tuo concetto con queste parole, in un mio commento ad un articolo su Europa:
“I Senatori Pietro Ichino, Tiziano Treu e Cesare Damiano non hanno una grossa "audience" né a sinistra, né nel centrosinistra. Credo, anche basandomi sui commenti dei lettori dei giornali on-line, essenzialmente per due motivi: il primo, perché, quando progettano le loro belle e razionali riforme, si preoccupano di considerare tutte le variabili in gioco, ma poi, quando le traducono in articolati di legge di attuazione, per problemi di copertura finanziaria, ma anche per un fatto - come dire? - di cultura, di logica e di etica di fondo nazionale piuttosto stortignaccole e strabiche, omettono sempre una gamba del tavolo: quella di sostituire le tutele e le indennità particolari e selettive dei tanti privilegiati (tra cui quelle dei parlamentari) con quelle universali”.

Dopo di che, però, ho fatto tre cose:
1. mi sono iscritto alla newsletter di Ichino (e di Damiano) e ne seguo le iniziative; devo riconoscere che è una persona seria, più sincera e netta di Tiziano Treu (anch'egli però legislatore pentito), che è molto più incline a fare il pesce in barile;
2. ho “bilanciato”, nel documento di 11 pagine di PDnetwork, la propensione del coautore (al 20%) a favore di Pietro Ichino, sia aggiungendo le altre tre proposte del PD (maggioritarie, peraltro, nel partito) e chiedendone esplicitamente il coordinamento, sia inserendo una critica esplicita al DdL Ichino, laddove (vedi nota 9) ho scritto: “Sia l'ipotesi Ichino, sia l'ipotesi recente della CGIL non hanno il carattere della universalità ed esprimono un'ottica centrata sulla figura del lavoratore occupato, con un'accumulazione nel tempo di contributi a carico delle imprese, soprattutto, e dei lavoratori; per erogare, in sostanza, sussidi di disoccupazione, la prima per un arco temporale di 4 anni, la seconda di 3 anni; anche il suggerimento del governatore Draghi e la proposta di legge della deputata Marianna Madia hanno entrambi un'ottica parziale e volano basso, disinteressandosi tutti e quattro di milioni di persone che sono forse in situazioni ancora peggiori dei precari, come ad esempio le centinaia di migliaia di OVER 45 (stimati in un milione), la più parte con famiglia a carico, rimasti disoccupati e “troppo vecchi per il lavoro, troppo giovani per la pensione”, che quasi nessuno considera”.

3. Ho avuto con lui uno scambio di e-mail (è uno dei pochi parlamentari che rispondono) e sono stato piuttosto severo sul suo modo di comunicare. Ha una cattiva stampa a sinistra, talora a torto.

Funzione ed efficacia della divulgazione sul web

Presumo di aver incrociato, per la prima volta ieri sera, dei tuoi  post nel web, dai quali si deduce una qual certa tua attività divulgativa – diciamo così - anche al di fuori di questo blog, Ne so quindi poco, tuttavia permettimi di dirti che forse ti sei scelto degli interlocutori-alleati, consentanei a te ideologicamente, ma, anche per questo, non della massima efficacia.
Io credo che, con la difficoltà oggi di farsi luce nel mare magno della comunicazione, e al netto della possibilità che avrebbe un singolo politico o un singolo partito di mutare più che un ette dell’odierno assetto economico-finanziario, vale comunque la considerazione empirica che, come ci vuole lo stesso impegno e la stessa fatica a corteggiare una bella come una brutta donna, la possibilità di successo è la stessa, e talora in realtà può essere più facile conquistare quella bella, con maggior soddisfazione, così vale per gli uomini politici, destinatari da privilegiare, attesa la loro prerogativa di fare le leggi: talora è più facile, se hai argomenti validi, fare breccia in quelli di primo piano che nei peones, e comunque lo sforzo è lo stesso e, in caso di riuscita, l’efficacia enormemente superiore.
A buon intenditore poche parole.




Post scriptum:
Calcolo dei PIL che si inseguono
Per chi fosse interessato. Ho incrociato la prima volta il calcolo dei PIL che si inseguono negli anni ’70 in un saggio di Giorgio Fuà.
“I PIL che si inseguono”.
Ecco una coppia di nomogrammi universali per il calcolo del numeri di anni nei quali il PIL2 (il minore dei due) insegue il PIL1.
Come si usa:
1) Nel primo grafico in alto, nella X scegliere il rapporto PIL1/PIL2 (supponiamo 4).
2) Ottenere il Coeff_molt sull’asse delle x (nel caso di esempio, 1,3)
3) Nel secondo grafico, nella X scegliere il rapporto tra il tasso di incremento del PIL1 (il maggiore dei due) rispetto al PIL2, nella forma 1+t%/100. Dunque, se il t1 è il 3.5%, si deve calcolare 1+0,035=1,035. Se t2 è 8%, si deve calcolare 1,08. Dunque il rapporto è 1,08/1,035=1,04.
4) Calcolare il numero di anni prendendo la Y (nel nostro caso 25) e moltiplicandola per il coeff_molt (25*1,3=32,5 anni).
(Purtroppo, le figure non escono. Se qualcuno mi dice come si fa…).
Non ci vuole un secolo, ma molto molto meno, a differenziale costante, perché la Cina raggiunga gli USA.
Nell’ipotesi di un rapporto tra i due PIL pari a 4, e di un differenziale di poco più di 4 punti percentuali, ci vorranno 32,5 anni. Ma in effetti il differenziale attualmente [2009] è pari a oltre 6 punti (+ 10% per la Cina contro il +3,5% USA), per cui, coeteris paribus, ci vorranno 17*1,3=22,1 anni.
Al netto del coefficiente correttivo (1,3 equivale ad un PIL circa quadruplo del Paese inseguito rispetto a quello del Paese inseguitore, ma ora tra USA e Cina è circa triplo), per ogni raddoppio del differenziale, diciamo così (in effetti della variazione del rapporto tra i due indici), il numero degli anni si dimezza. Infatti, se il rapporto PIL1/PIL2 è pari a 1,02 ci vogliono 50 anni, se è pari a 1,04 ne occorrono 25, se è pari a 1,08 ne bastano 12,5.

NB: Il metodo di calcolo, ovviamente, può essere applicato anche a singole aree, ad esempio il Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord.


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