A causa delle avarie frequenti
della piattaforma IlCannocchiale,
dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko
ha totalizzato finora quasi 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla
gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarlo. Ripubblico
qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi
di 5 al giorno) con quelli nuovi.
Post n. 87 del 30-09-11 (trasmigrato
da IlCannocchiale.it)
Lettera a Marco
Demarco, direttore del “Corriere del Mezzogiorno” (“Terronismo”)
Egr. Dott. Demarco,
Venerdì
dell’altra settimana, ho assistito alla lunga, interessante presentazione del
Suo libro "Terronismo".
Permetta
a me, esperto di nulla, di esprimere alcune considerazioni, della cui lunghezza
mi scuso.
AscoltandoVi,
mi è venuto da pensare: “Certo che questi intellettuali della Magna Grecia non
sanno fare 2+2 (neppure loro, come gli intellettuali che popolano i vari blog,
che frequento da 2 anni e mezzo)”.
Divertenti (si fa per dire) le risposte alla domanda da Lei posta nel secondo giro della discussione: (se e) perché i meridionali sono diversi dai settentrionali.
Lei ha raccontato che un Suo collega pose questa domanda nel 1900 ai principali intellettuali italiani e che l’80% di loro rispose: per un fatto antropologico (diagnosi che io avevo anticipato alla signora, apparentemente non molto colta, che mi sedeva accanto, un po’ imbarazzandola). Lei stesso ha risposto che non era d’accordo, perché secondo Lei era come accettare un determinismo della condizione del Sud. (Io subito ho pensato: se lo sente il colto Valerio_38, che sta spiegando, nel ‘post’ del blog del prof. O. su “Repubblica”, che l’evoluzione dell’uomo, da 10 mila anni a questa parte, è frutto soprattutto della cultura).
Il prof. Massimo Lo Cicero (che, detto per inciso, ha dato lo stesso mio giudizio sulla "bottegaia" Merkel) s'è tenuto sulle generali, preoccupandosi piuttosto di dire che bisogna salvare anche Napoli assieme al resto del Sud.
Il presidente della SVIMEZ, Adriano Giannola, non napoletano, ha detto che sono uguali (al che io ho... protestato, facendomi sentire da quelli seduti vicino e facendo il gesto dal fondo della sala che non ero d’accordo...).
Divertenti (si fa per dire) le risposte alla domanda da Lei posta nel secondo giro della discussione: (se e) perché i meridionali sono diversi dai settentrionali.
Lei ha raccontato che un Suo collega pose questa domanda nel 1900 ai principali intellettuali italiani e che l’80% di loro rispose: per un fatto antropologico (diagnosi che io avevo anticipato alla signora, apparentemente non molto colta, che mi sedeva accanto, un po’ imbarazzandola). Lei stesso ha risposto che non era d’accordo, perché secondo Lei era come accettare un determinismo della condizione del Sud. (Io subito ho pensato: se lo sente il colto Valerio_38, che sta spiegando, nel ‘post’ del blog del prof. O. su “Repubblica”, che l’evoluzione dell’uomo, da 10 mila anni a questa parte, è frutto soprattutto della cultura).
Il prof. Massimo Lo Cicero (che, detto per inciso, ha dato lo stesso mio giudizio sulla "bottegaia" Merkel) s'è tenuto sulle generali, preoccupandosi piuttosto di dire che bisogna salvare anche Napoli assieme al resto del Sud.
Il presidente della SVIMEZ, Adriano Giannola, non napoletano, ha detto che sono uguali (al che io ho... protestato, facendomi sentire da quelli seduti vicino e facendo il gesto dal fondo della sala che non ero d’accordo...).
Subito
dopo, però, il direttore della SVIMEZ, Riccardo Padovani, che pure tendeva ad
incolpare principalmente la classe dirigente meridionale (et pour cause), ha invece detto che non sono uguali, per un fatto
di organizzazione (ed io ho assentito vistosamente, ma dicendo ai vicini che
quella è una conseguenza).
Perché la determinante (come sto scrivendo da quasi 3 anni nei miei ‘post’ e commenti nel web, e prima altrove) è una causa "culturale, in senso antropologico" (allegando la relativa voce di Wikipedia, è buona, eccola http://it.wikipedia.org/wiki/Cultura ). [Ho visto ora che Wikipedia ha modificato la voce “Cultura”, per cui riporto la versione precedente:
Perché la determinante (come sto scrivendo da quasi 3 anni nei miei ‘post’ e commenti nel web, e prima altrove) è una causa "culturale, in senso antropologico" (allegando la relativa voce di Wikipedia, è buona, eccola http://it.wikipedia.org/wiki/Cultura ). [Ho visto ora che Wikipedia ha modificato la voce “Cultura”, per cui riporto la versione precedente:
Cultura (da Wikipedia,
l'enciclopedia libera).
La nozione di
cultura appartiene alla storia occidentale. Di origine latina, proviene dal
verbo "coltivare". L'utilizzo di tale termine è stato, poi, esteso, a
quei comportamenti che imponevano una "cura verso gli dei": così il
termine "culto".
Il concetto
moderno di cultura può essere inteso come quel bagaglio di conoscenze ritenute
fondamentali e che vengono trasmesse di generazione in generazione. Tuttavia il
termine cultura nella lingua italiana denota due significati principali
sostanzialmente diversi:
• Una concezione umanistica o classica
presenta la cultura come la formazione individuale, un’attività che consente di
"coltivare" l’animo umano (deriva infatti dal verbo latino
"colere"); in tale accezione essa assume una valenza quantitativa,
per la quale una persona può essere più o meno colta.
• Una concezione antropologica o moderna
presenta la cultura come il variegato insieme dei costumi, delle credenze,
degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini delle diverse
popolazioni o società del mondo. Concerne sia l’individuo sia le collettività di
cui egli fa parte. In questo senso il concetto è ovviamente declinabile al
plurale, presupponendo l'esistenza di diverse culture, e tipicamente viene
supposta l'esistenza di una cultura per ogni gruppo etnico o raggruppamento
sociale significativo, e l'appartenenza a tali gruppi sociali è strettamente
connessa alla condivisione di un'identità culturale].
E pensare che nel Suo libro c’è, la spiegazione: quando Lei riporta, per stigmatizzare il razzismo all’incontrario del movimento neo-borbonico contro il Nord, la frase orgogliosa del principe di Salina, ne “Il Gattopardo”, quando in inglese dice: “ I Garibaldini sono venuti per imparare le nostre buone maniere, perché noi siamo dei”.
Ma la spiegazione è nel passo del "Gattopardo", in cui il principe, rivolto agli ufficiali inglesi che gli sottolineano la bellezza del suo palazzo, appetto alla bruttezza e sporcizia del quartiere, risponde: “I Siciliani si credono dei e quindi perfetti, non hanno bisogno di migliorare”.
Questo è il vero sostrato cultural-antropologico (alimentato-aggravato dal matriarcato e dall’influenza di mamma-Chiesa) dell’arretratezza del Sud.
E
mi sono ripromesso di scriverLe.
Perché
non dipende (solo) dal clima. Riporto da un mio scritto di qualche anno fa.
“[…].
Nell’Italia del Rinascimento, si è concretizzata quella condizione fortunata
che Robert Musil, ne “L’uomo senza qualità”, sintetizza nella felice
espressione “La forza di un popolo è
conseguenza dello spirito giusto, e non vale l’inverso”.
Perché,
dunque, negli Italiani non si crea lo “spirito giusto”, anzi ad esso si è da
tempo sostituito uno “spirito negativo”, sia al Sud che al Centro-Nord, che ne
sostanzia un atteggiamento pessimistico-irrazionale? Come fare per ricrearlo?
Io
ho provato, ottimisticamente, a capovolgere la domanda: in un popolo, lo
“spirito giusto” si realizza naturalmente
se non vi si frappongono freni ed ostacoli; quali possono essere questi freni
ed ostacoli – profondi, antichi e diffusi – se non di tipo culturale (in senso
antropologico e non)? Essi, poi, sono il sostrato – e ne amplificano gli
effetti – di quelli pur esistenti e reali, quali l’insicurezza, la precarietà,
talora l’impoverimento, la criminalità, l’inefficienza della Pubblica
Amministrazione, il conflitto perenne tra i partiti politici.
Limitandomi
al Sud, due, a mio avviso, sono i principali freni ed ostacoli “culturali” al
cambiamento: il primo è quello riassumibile nell’espressione “ogni meridionale
si crede un padreterno, quindi perfetto, non ha bisogno di migliorare” (Tomasi
di Lampedusa lo scrive ne Il Gattopardo,
riferendosi ai Siciliani); ma è da leggere, ovviamente, in senso opposto: in Ricordi della casa dei morti, il grande
scrittore russo Dostoevskij scrive: “Di
certo si doveva credere un uomo molto intelligente, come accade per solito a
tutti gli uomini ottusi e limitati”. L’altro freno è rappresentato dalla donna meridionale: tesi solo
apparentemente semplicistica e datata, sicuramente provocatoria e piuttosto
“pericolosa”. Senza alcun intento anti-femminista, anzi come frutto di una
lunga e profonda riflessione partita da un pregiudizio inizialmente positivo,
io reputo la donna meridionale (prepotenza privata, assenza pubblica: binomio
forse non casuale) uno dei principali fattori di conservazione e di freno nel
Sud (caratteri comunque molto sottovalutati o sottaciuti), soprattutto nel suo
ruolo di mamma e/o d’insegnante. (Scriveva Sigmund Freud, nel 1908, in uno scritto
intitolato “La morale sessuale ‘civile’ e il nervosismo moderno”: “[…] L’educazione proibisce alle donne d’interessarsi
intellettualmente di problemi sessuali, benché provino tuttavia un’estrema curiosità per essi, e le intimorisce
condannando tale curiosità come non femminile e come segno di disposizione
peccaminosa. In questo modo rifuggono da qualsiasi forma di pensiero e
il sapere perde ai loro occhi ogni valore. […] Penso che l’indubbia inferiorità
intellettuale di tante donne possa piuttosto farsi risalire all’inibizione di
pensare resa necessaria dalla repressione sessuale.” – A me pare una
spiegazione illuminante, plausibile, forse ancora attuale.).
Con
qualche attenzione anche al ruolo di mamma Chiesa (con la quale il
cittadino laico riesce a instaurare facilmente un dialogo ed un rapporto
proficuo sul versante della “solidarietà” – uno dei due pilastri della laicità
– ma non altrettanto su quello della “tolleranza” – l’altro pilastro della
laicità – e dell’agire civico): mamma + insegnante-donna (oggigiorno, la
stragrande maggioranza del corpo docente) + Chiesa sono state e sono oggi –
forse ancora di più – una miscela formidabile e preponderante nell’educazione
delle generazioni meridionali. Io credo fermissimamente che il Sud (e l’Italia)
abbia molto bisogno di padri (e di amministratori pubblici) congruamente severi
– quasi assenti - e meno di mamme, onnipresenti. Scrive Anna Maria Ortese ne Il mare non bagna Napoli: “Esiste, nelle estreme e più lucenti terre
del Sud, un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione, un
genio materno, d’illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato
il sonno in cui dormono quelle popolazioni”.
Quali
proposte si possono allora avanzare per la Campania (e il Sud)?
Fra
di esse vi devono essere certamente l’adeguamento infrastrutturale,
l’incremento della spesa in ricerca e innovazione, una maggiore efficienza
della Pubblica Amministrazione ed un feroce contrasto alla criminalità
organizzata. Ma la più importante, la premessa perché quelle prima indicate
possano essere davvero efficaci, è la riforma
culturale. Essa – poiché gli investimenti in infrastrutture, in ricerca,
ecc., pur necessari, non possono bastare – è la condizione principale per far
vivere alla Campania (e al nostro Mezzogiorno) una potente e dinamica stagione
di sviluppo, capace di colmare gradualmente e definitivamente il divario con il
resto del Paese e con il resto d’Europa. Lo scarso apporto delle donne
all’economia del Sud rende questa radicale trasformazione culturale
assolutamente non più rinviabile. Se il reddito procapite della Campania
facesse registrare – rispetto a quello della Lombardia, attualmente quasi
doppio – un differenziale positivo pari mediamente al +2% annuo, impiegherebbe
circa 34 anni a colmare il divario, circa 68 anni se il differenziale
favorevole fosse del +1%.
Per
la Campania (e il Sud), occorre, quindi, delineare una strategia e definire dei
programmi e dei progetti – scolastici, culturali, economici – che attuino un
piano integrato le cui direttrici di attacco seguano questa successione logica: creazione dello spirito giusto --> rimozione degli ostacoli al suo naturale dispiegarsi --> riforma culturale --> soggetto e oggetto protagonista: soprattutto la donna, da trasformare da problema e
fattore di conservazione a risorsa e motore del cambiamento, attraverso
un’azione di sostegno corposo e a lungo termine, indirizzata:
a)
alle famiglie, a partire
dalle donne in gravidanza e nei primi 3 anni di vita dei figli (dopo forse è
già tardi), seguendo – in una sana logica di benchmarking – i dettami del migliore, più innovativo, più efficace
e meno costoso metodo, quello finlandese (cfr., tra l’altro, l’illuminante
articolo del prof. Massimo Ammaniti su la
Repubblica del 26.7.2007 “Bambini, prendiamo esempio dalla Finlandia” http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/07/26/bambini-prendiamo-esempio-dalla-finlandia.html
), un metodo capace più e meglio degli altri di affrontare, in un’ottica di
prevenzione, oltre al rischio – quantificabile nel 20% circa dei casi – di
fenomeni di depressione della madre e di problemi altrettanto seri, di vario
genere, riguardanti i piccoli figli, anche l’inconsapevole e meccanico
“trasferimento” – a causa della coazione a ripetere che perpetua una “catena”,
che va quindi spezzata in tempo – dalla madre al figlio – ed ancor più alla
figlia – di comportamenti inconsapevolmente dannosi e pregiudizievoli allo
sviluppo affettivo normale del figlio, origine di futuri problemi;
b)
alla scuola: riequilibrio del
rapporto numerico docenti uomini-donne; miglioramento delle performance didattiche, segnatamente in
matematica; incremento delle iscrizioni alle Facoltà scientifiche e del numero
dei laureati – assoluto e relativo – nelle stesse (Adam Smith, ne La Ricchezza delle Nazioni, critica
l’eccessivo numero di avvocati in Gran Bretagna, poiché – scrive – solo 1
avvocato su 20 può campare bene dei proventi della sua professione); immissione
nel circuito educativo di tonnellate, vagoni, bastimenti di logica (siamo o no
la Magna Grecia?) e di sano pragmatismo (vogliamo o no avvicinarci ai paesi più
evoluti): logica greca e pragmatismo anglosassone, per dare nuova linfa
all’albero bimillenario della nostra civiltà meridionale, per farci dire, con
il grande imperatore romano Adriano: […]
tutto quel che c’è in noi di armonico, cristallino e umano ci viene dalla
Grecia. Ma mi veniva fatto, a volte, di dire a me stesso ch’era stato
necessario il rigore un pò austero di Roma, il suo senso della continuità, il suo
gusto del concreto, per trasformare ciò che in Grecia restava solo mirabile
intuizione dello spirito, nobile slancio dell’animo, in realtà.”
(Margherite Yourcenar, Memorie di Adriano;
c)
agli organismi socio-culturali
(ivi incluse le Parrocchie: abbiamo ora a Napoli un arcivescovo – il cardinale
Crescenzio Sepe – che è di tutta evidenza persona capace, concreta,
intelligente, teniamone conto noi laici): divulgazione di modelli femminili
positivi – esempi di passione civile e civiche virtù – come Eleonora Pimentel
Fonseca, la quale – nel ritratto che ne fa Benedetto Croce nel bel libro La Rivoluzione napoletana del 1799 –
ascrive in parte l’arretratezza del suo paese d’origine, il Portogallo, alla “negligenza delle scienze matematiche […]
giacché nelle nazioni illuminate i gradi di felicità son da calcolarsi in
quelli degli avvanzamenti in queste scienze”; attenzione particolare ai
concreti processi educativi riguardanti le donne (“Chi educa un bambino educa
un uomo, chi educa una bambina educa una famiglia”), per misurarne le ricadute
pratiche, anche quelle di ordine sociale (come ad esempio nel caso della
gestione della spazzatura a P., dove la maggioranza, costituita all’80% da
donne, vecchie e giovani, non rispetta, nonostante reiterate sollecitazioni, né
gli orari né le modalità di deposito: il grave problema della spazzatura a P. e
in Campania è un problema che andrebbe “declinato” essenzialmente… al
femminile); diffusione e promozione assidua di concetti-guida quali “Io,
meridionale, non sono un padreterno, quindi perfetto: posso migliorare”, o
anche “La lamentela è peccato”, e di insegnamenti culturali favorenti il senso
civico, l’etica della responsabilità, la propensione al rischio, la
partecipazione (“Tutti erano indifferenti
qui quelli che desideravano salvarsi. Commuoversi, era come addormentarsi sulla
neve” – ancora dal Il mare non bagna
Napoli, libro “terribile”, ma per alcuni aspetti forse più illuminante di
tanti testi di sociologia, scritto – mi piace rimarcarlo – da una donna). […]”.
La mancanza di
organizzazione, concretezza, pragmatismo deriva dal clima? Non so, può darsi.
Io però penso che è un prodotto essenzialmente della cultura (nel duplice
senso: classico e soprattutto moderno, v. sopra), nelle forme e nello stadio in
cui è in un dato periodo storico (pensiamo ai Romani, appunto, o agli Arabi).
Ovviamente,
qui non si parla della capacità del singolo (io, meridionale, ad esempio, sono
un buon organizzatore; è successo nel breve periodo in cui svolsi un’attività
politica e sociale che, quando si voleva esser sicuri della riuscita di un
progetto, venivano a chiamare me, ed allora io vincevo la mia pigrizia e
diventavo un “tedesco”), ma del popolo, del sistema-Paese, come si dice ora. Ma
naturalmente è estremamente difficile, anzi impossibile, creare un
sistema-Paese efficiente se ognuno si crede un dio, quindi perfetto. E' quasi
superfluo aggiungere che, come scriveva Dostoevskij, tutti gli ottusi si
credono perfetti. Il Sud è strapieno di individui, a tutti – proprio tutti – i
livelli, che si credono perfetti.
Che fare?
Diffondere, attraverso
l’educazione, tonnellate, vagoni, bastimenti di logica e pragmatismo!
Ripeto: non soltanto la
logica (greca), ma anche il pragmatismo (anglosassone) o, se preferisce, la
concretezza romana.
Educazione.
Fascia d’età critica.
Il
periodo fondamentale è dalla gravidanza a 3 anni! E’ in questo lasso di tempo
che si formano le sinapsi, che legano i neuroni, ma esse si fissano a
condizione che vengano utilizzate/stimolate dall’educazione. Riporto il passo
scritto da Valerio_38, che lo spiega bene:
Le moderne neuroscienze hanno dimostrato che la nostra
specie è affetta da una eccezionale neotenia, cosicché il cervello di un
bambino appena nato è ancora immaturo. Possiede già l’intero patrimonio di neuroni
(circa cento miliardi), ma tutti quei neuroni sono pressoché privi di
collegamenti fra di loro. Lo sviluppo dei collegamenti (assoni e sinapsi)
avviene gradualmente nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, in parallelo
alla vita fuori dall’utero. I collegamenti (in media circa diecimila per
ciascun neurone) sembra si sviluppino per caso ma si stabilizzino (si fissino)
soltanto se vengono “utilizzati” (gli altri si atrofizzano).
Questa plasticità del cervello infantile e adolescente
è la ragione che rende così importante l’istruzione dei giovani fin dalla prima
infanzia. L’istruzione determina quali sinapsi si fisseranno e quali no.
ed una mia integrazione:
Ho letto con interesse il tuo commento del 9.5 23:05
(poi gli altri) e l’ho condiviso interamente tranne in due punti: 1) laddove tu
scrivi “Questa plasticità del cervello infantile e adolescente è la ragione che
rende così importante l’istruzione dei giovani fin dalla prima infanzia”; e
quando affermi: “Ma la distribuzione di queste differenze non dipende dalle
latitudini, dipende dalla storia”.
Non dalla storia, ma dall’educazione, appunto, che
deve cominciare già durante la gravidanza.
Questione femminile e questione meridionale
La
cosiddetta Questione femminile ha attraversato tutto il secolo XIX e poi parte
del XX. Ne fanno fede, per me, i romanzi russi ed europei in generale. Ne fa
fede lo scritto di Freud già citato e che riporto più in esteso, prendendolo
dal mio ‘post “Questione femminile, questione meridionale, rivoluzione
culturale e progetto educativo” (al rigo 68 e dove si parla di educazione, ed
anche di Prodi, del Card. Sepe, ecc., che Le suggerisco di leggere
integralmente) http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2580796.html oppure http://vincesko.blogspot.it/2015/03/questione-femminile-questione.html:
La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno *
[…]. In generale, la nostra civiltà è costruita
sulla repressione delle pulsioni. Ciascun individuo ha ceduto qualche parte
delle sue possessioni – qualche parte del senso di onnipotenza o delle
inclinazioni aggressive o vendicative della sua personalità. Da questi
contributi è sorto il possesso comune della proprietà materiale e ideale della
civiltà. Oltre alle esigenze della vita, sono stati, senza dubbio, i sentimenti
familiari derivati dall’erotismo ad avere indotto i singoli individui a fare
questa rinuncia. Nel corso dell’evoluzione civile la rinuncia è stata di
carattere progressivo. I singoli passi furono sanzionati dalla religione; la
parte di soddisfazione pulsionale a cui ogni persona aveva rinunciato veniva
offerta come sacrificio alla Divinità, e la proprietà comune così acquistata fu
dichiarata “sacra”. L’uomo il quale, in conseguenza della sua costituzione
ostinata, non può accettare la repressione della pulsione, diventa un “criminale”,
un “fuorilegge”, agli occhi della società – a meno che la sua posizione sociale
o le sue eccezionali capacità non gli consentano di imporsi ad essa come un
grande uomo, un “eroe”. [cfr.
concetto analogo in Delitto e castigo,
dove costituisce uno dei “moventi” psicologici del delitto e in Guerra e pace: per entrambi la figura di
riferimento è Napoleone.]
La pulsione
sessuale (…) mette straordinarie quantità di forze a disposizione dell’attività
civile e lo fa in virtù della caratteristica particolarmente marcata che gli
permette di sostituire i suoi scopi senza che vi sia materialmente una
diminuzione d’intensità. Questa capacità di cambiare il suo scopo
originariamente sessuale con un altro, non più sessuale ma in relazione
psichica col primo scopo, è detta capacità di sublimazione.
[…].
L’educazione proibisce alle donne di interessarsi intellettualmente di problemi
sessuali, benché provino tuttavia un’estrema curiosità per essi, e le
intimorisce condannando tale curiosità come non femminile e come segno di
disposizione peccaminosa. In questo modo rifuggono da qualsiasi forma di pensiero e il sapere perde ai loro occhi
ogni valore. La proibizione di pensare si estende oltre il campo sessuale in
parte per una associazione inevitabile e in parte automaticamente, come avviene
tra gli uomini per la proibizione di pensare intorno alla religione, o tra i
sudditi fedeli per la proibizione di pensare intorno alla lealtà. Non credo che
la “deficienza mentale fisiologica” delle donne si possa spiegare con la contrapposizione
biologica tra lavoro intellettuale e attività sessuale, come asserisce Moebius
in un’opera su cui si è ampiamente disputato. Penso che l’indubbia inferiorità
intellettuale di tante donne possa piuttosto farsi risalire all’inibizione di
pensare resa necessaria dalla repressione sessuale. […].
*
Titolo originale: “Die “kulturelle” Sexualmoral und die moderne Nervositat”.
Pubblicato la prima volta in Sexual-Probleme,
4, 1908. Traduzione di Cecilia Grassi e Jean Sanders.
Partecipazione della donna e indice di sviluppo di un
Paese.
Nella
(lunga ed ultima) nota 18-Questione femminile e Mezzogiorno, in un documento di
11 pagine con delle mie proposte (http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2593370.html oppure http://vincesko.blogspot.it/2015/03/questione-femminile-questione.html), tutti i dati economici
dimostrano:
a) la correlazione tra ruolo e grado di
partecipazione della donna e indice di sviluppo di un Paese;
b)
che anche la fredda Germania dell’Est (cfr. “Banca d'Italia - Mezzogiorno e politiche
regionali”, destinataria di imponenti risorse dopo l’unificazione (molto
superiori a quelle riversate nel nostro Mezzogiorno), dopo aver migliorato
notevolmente tutti i propri indicatori in un arco temporale relativamente
breve, non riesce a colmare i gap, a
parere di molti, per motivi culturali.
Riporto
alcuni stralci.
Sembra proprio ci sia relazione tra ruolo e grado di partecipazione della donna e indice di
sviluppo di un Paese.
Secondo il IV Rapporto Onu sullo sviluppo umano nei
paesi arabi “il tasso di occupazione femminile (cioè la percentuale di donne
dai 15 anni in su che forniscono lavoro o sarebbero disponibili a farlo) si
ferma al 33%, rimanendo così il più basso del mondo”.
E “gli autori del Rapporto non esitano a sostenere che
proprio dalla conquista della piena autonomia da parte delle donne potrebbe
partire la rinascita commerciale, economica e culturale dei paesi arabi”.
Dal Rapporto ONU sullo Sviluppo Umano 2010, si ricava
che:
“I paesi arabi includono cinque dei 10 “Top Movers” ovvero
le nazioni (sulle 135 oggetto della ricerca) che hanno mostrato la migliore
performance nell’ISU [Indice di Sviluppo Umano] a partire dal 1970: Oman (n.1),
Arabia Saudita (n. 5), Tunisia (n. 7), Algeria (n. 9) e Marocco (n. 10).
Nell’Indice di disuguaglianza di genere (IDG), tuttavia, gli Stati arabi
registrano un ISU regionale medio del 70 percento, ben al di sopra della
perdita mondiale media del 56 percento. All’ultimo posto nella classifica
mondiale relativa all’IDG è lo Yemen, con una perdita ISU dell’85 percento”.
Dal Rapporto ISTAT relativo al II trim. 2010 (tabb. 13
e 14) , si ricava che il dato aggregato italiano di inattività delle donne,
pari al 48,6% (39,4% al Nord e 42,4% al Centro) è determinato dal peso negativo
del Sud: “Nel Mezzogiorno, il tasso di inattività della componente femminile
rimane particolarmente elevato ed è pari al 63,5 per cento”, (contro il 33,7
dei maschi).
Occorrerebbe
– come per i Paesi arabi – rimuovere questo macigno operando congiuntamente su
due direttrici: quella economica e quella culturale.
P.S.:
Bassolino.
Nella lettera che inviai nel
2007 al cardinale Sepe (citata nel ‘post’ sull’educazione), scrissi:
In
secondo luogo, vorrei, da semplice elettore (di sinistra), che giudica quindi
soprattutto per sensazioni la qualità e l’efficacia delle amministrazioni
pubbliche, suggerire di utilizzare la chiave interpretativa psico-politica per
valutare i politici, le amministrazioni pubbliche ed in particolare
l’amministrazione napoletana, rinnovatasi l’anno scorso. A tal riguardo, si
potrebbe, ad esempio, definire “paterna” (cioè severa in misura
adeguata: la severità congrua si propaga positivamente per li rami, con
effetti benefici sia sulla burocrazia sia sulla cittadinanza),
l’amministrazione Bassolino del primo mandato da sindaco; “materna”, quella del Bassolino successivo e quella della
Iervolino (per quest’ultima, vedasi, ad esempio, il caso macroscopico del
cambio del comandante della polizia municipale). Io credo fermissimamente che
Napoli (e l’Italia) abbia molto bisogno di padri – quasi assenti - e non di
mamme - onnipresenti. (“Esiste, nelle estreme e più lucenti terre del Sud, un
ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione, un genio materno,
d’illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in
cui dormono quelle popolazioni.” - Anna Maria Ortese, “Il mare non bagna
Napoli”).
(Per una migliore comprensione, riporto uno stralcio della parte della
postilla riguardante Bassolino, che ho omesso nella versione qui pubblicata.
[...]. Per quanto riguarda il
“materno”, egli stesso ha confidato di aver vissuto la sua infanzia – tra
mamma, zie ed altre parenti - in mezzo a donne. [...].)
Nell’intervista che Bassolino
rilasciò a Il Mattino, in occasione
del suo 60° compleanno, egli rivelò di aver fatto allontanare il suo severo
padre, di orientamento destrorso, dai CC, al suo primo comizio ad Afragola, e
che poi, tornato a casa, aveva trovato la porta sbarrata ed era stato costretto
a trasferirsi. Poi, ad una domanda specifica dell’intervistatore (che curava la
rubrica delle lettere, ed al quale avevo scritto di Bassolino): quale fosse
stato il suo errore più grande, Bassolino rispose: aver detto troppi sì.
Spero,
Dott. Demarco, se è arrivato fino in fondo, di non averLa annoiata troppo, e,
soprattutto, che Lei non giudichi queste mie considerazioni (soltanto) frutto
della mia… presunzione da dio (meridionale) perfetto ed ottuso, ma soltanto un
piccolo, spero utile, contributo di conoscenza, per la soluzione dell’annoso
problema della Questione meridionale.
Cordialmente,
17 settembre 2011
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