venerdì 22 maggio 2015

Lettera a Carlo Cottarelli, direttore esecutivo del FMI, sua risposta e mia replica


Pubblico qui, poiché lo ritengo utile ai fini di una completa e corretta informazione, la lettera che ho inviato, in data 20 maggio, a Carlo Cottarelli, attualmente direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI), sul tema molto dibattuto delle pensioni, dopo la sua intervista a Radio Anch’io, la sua risposta che ho ricevuto il giorno dopo e la mia replica di oggi. E lo sviluppo successivo del dialogo, con un epilogo quasi sorprendente.
All’interno (anche nel post allegato in fondo e via via a ritroso negli altri), trovate tutte le misure pensionistiche adottate per far fronte alla crisi economica e adempiere le disposizioni dell’UE e della BCE, e le prove documentali della quasi generale DISINFORMAZIONE imperante sul tema (ieri ho anche scritto a Roberto Mania di Repubblica), incluse le lettere a un supposto esperto come Oscar Giannino, al presidente dell’INPS Tito Boeri e all’on. Matteo Salvini, politico mendace, populista e fintamente paranoico, che andrebbe sbugiardato in diretta tv, il quale dimentica ad arte quella duplice di Sacconi (2010 e 2011), votata dalla Lega Nord, ancor più incisiva della tanto decantata e vituperata riforma Fornero, del dicembre 2011, oggetto di strali quotidiani, di referendum e di speculazione politica.


Spesa pensionistica italiana
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Da:
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20 mag 2015 - 19:38 http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
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A:
<ccottarelli@imf.org> http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
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CC:
<clagarde@imf.org> 

Egr. Dott. Cottarelli,
Ieri, 19 maggio, L’ho ascoltata al GR, intervistato da Radio Anch’io, chiedere di tagliare la spesa pensionistica perché, col 16,5%, è la più alta tra i Paesi avanzati in rapporto al Pil. Mi permetto di osservare, scusandomi in anticipo della lunghezza:

- Dal 1992, le riforme delle pensioni sono state 8 (Amato, 1992; Dini, 1995; Prodi, 1997; Berlusconi/Maroni, 2004; Prodi/Damiano, 2007; Berlusconi/Sacconi, 2010; Berlusconi/Sacconi, 2011; Monti-Fornero, 2011).
Oltre a quella Dini che ha introdotto il metodo contributivo, le ultime 4 riforme: Damiano (2007, in parte), Sacconi (2010 e 2011) e Fornero (2011) stanno producendo e produrranno risparmi fino al 2060 per centinaia di miliardi di € (cfr. MEF). Dopo le riforme, il sistema pensionistico italiano, come riconosciuto dall’UE, è tra i più severi e sostenibili in UE28.
Le riforme di Sacconi (2010 e 2011) sono più corpose, immediate e recessive di quella Fornero; in sintesi, esse hanno introdotto:
• “finestra” (= differimento dell’erogazione) di 12 mesi per tutti i lavoratori dipendenti pubblici e privati o 18 mesi per tutti quelli autonomi;
• allungamento, senza gradualità, di 5 anni (+ “finestra”) dell’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti pubbliche per equipararle a tutti gli altri a 65 anni (più finestra), tranne le lavoratrici private; e
• adeguamento triennale all’aspettativa di vita, che ha portato finora l’età di pensionamento di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi e la porterà a 67 entro il 2021, che è benchmark in UE28, cioè prima della Germania e molto prima della Francia (dopo il 2018, in forza della legge Fornero, l’adeguamento anziché triennale sarà biennale).
La riforma Fornero (2011) ha stabilito, principalmente:
• metodo contributivo pro-rata per tutti (vale a dire solo per quelli che erano precedentemente esclusi), a decorrere dall'1.1.2012;
• aumento di un anno delle pensioni di anzianità (ridenominate “anticipate”); e
• allungamento graduale entro il 2018 dell’età di pensionamento di vecchiaia delle dipendenti private da 60 anni a 65 (più finestra), per allinearle a tutti gli altri,
i cui effetti si avranno soprattutto a partire dal 2020.
NB: La legge Fornero ha opportunamente eliminato la “finestra” di 12 o 18 mesi sostituendola con un allungamento corrispondente dell’età base, ma l’allungamento (già recato dalla riforma Sacconi) è solo formale.

- E’ fuorviante, come fa Lei - e l’FMI in generale -,[1] riferirsi ai dati pensionistici fino al 2013: sono vecchi e superati. Come spiegava la prof.ssa Fornero a “In ½ ora”, le riforme delle pensioni per loro natura producono i loro effetti nel lungo periodo. Dopo le 8 riforme varate dal 1992, come ha confermato l’ultimo rapporto della Commissione Europea, con la proiezione al 2060,[2] il sistema pensionistico italiano è tra i più severi e sostenibili nel lungo periodo. Come attesta l'ultimo Osservatorio dell'INPS sulle pensioni, [3] che peraltro fa anch’esso l’errore – diffuso anche tra esperti , oltre che in politici dalla memoria corta e dalla cattiva coscienza come Matteo Salvini e (quasi) tutti i media – di attribuire tutto alla riforma Fornero, dimenticandosi della, per vari aspetti, più incisiva riforma Sacconi, il numero di pensioni sta già calando (“Dall’analisi dell’osservatorio delle pensioni Inps vigenti all’1.1.2015 e liquidate nel 2014 emerge la conferma del trend decrescente degli ultimi anni, che vede passare le prestazioni erogate ad inizio anno da 18.363.760 nel 2012 a 18.044.221 nel 2015; una decrescita media annua dello 0,6% frenata dall’andamento inverso delle prestazioni assistenziali (pensioni agli invalidi civili e pensioni/assegni sociali), che nello stesso periodo passano da 3.560.179 nel 2012 a 3.731.626 nel 2015), ma la spesa pensionistica cresce perché i nuovi assegni pensionistici sono più alti. Secondo il rapporto UE, ci sarà una piccola gobba nel 2036, poi la spesa pensionistica (incluse le voci spurie) calerà al 13,8% del Pil nel 2060, uno dei cali più alti in UE28.

Confronto internazionale e voci spurie

La spesa pensionistica italiana include (nel confronto internazionale) delle voci spurie, che sono:
1.     TFR (circa 1,5% del Pil);
2.     un 8% di spesa assistenziale sul totale della spesa pensionistica;
3.     un peso fiscale comparativamente maggiore (la spesa pensionistica italiana è al lordo di 40-45 mld di imposte, più vicino ai 45, purtroppo non ho un dato preciso, l’ho anche chiesto all’ISTAT, ma mi è stato risposto: solo a pagamento);
4.     un uso prolungato, a causa dell’assenza di adeguati ammortizzatori sociali (usati negli altri Paesi), delle pensioni di anzianità appunto come ammortizzatore sociale;
5.     infine, nella spesa pensionistica degli altri Paesi andrebbero sommati gli incentivi fiscali ( = minori entrate) alle pensioni integrative (v., in particolare, la Gran Bretagna).

Fondo monetario: “Italia non ha futuro radioso né sereno. Tagliare le pensioni”
8 ottobre 2014

Mentre due anni prima lo stesso FMI sosteneva:

Fmi, pensioni: riforma italiana la migliore al mondo. La difesa di Christine Lagarde alla politica di Mario Monti
L'Huffington Post
Pubblicato: 09/10/2012 08:30 CEST Aggiornato: 09/10/2012 13:10 CEST

[2] Annual Ageing Report

[3] INPS – Comunicato stampa

In conclusione, mi auguro che Lei (e il FMI) ritenga utili queste mie osservazioni e ne faccia tesoro in futuro.

Cordiali saluti
V.


Re: Spesa pensionistica italiana
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Da:
Cottarelli, Carlo (CCottarelli@imf.org) http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
21 mag 2015 - 21:03
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"v"> http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
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CC:
"Lagarde, Christine"<CLagarde@imf.org>

Gentile V.
La ringrazio molto per questa sua dettagliata spiegazione. Su molti punti ha ragione incluso il fatto Che le riforme pensionistiche introdotte in passato comporteranno nei prossimi decenni una riduzione della spesa per pensioni sul Pil. È un fatto che io stesso ho più volte sottolineato anche quando ero capo del Dipartimento di finanza pubblica del fondo monetario. Infatti una delle tavole del Fiscal Monitor, la pubblicazione del fondo monetario che io ho introdotto e che si occupa di politica fiscale, contiene proprio le proiezioni di crescita della spesa pubblica paese per paese e mostra come l'Italia sia messa in un'ottima posizione per i prossimi decenni in termini di variazione della spesa. Purtroppo il livello attuale della spesa è molto elevato, e, anche correggendo per i fattori che lei elenca, secondo i miei calcoli la spesa pensionistica italiana rimane la più alta tra i paesi avanzati. Questo è dovuto soltanto in parte alla struttura demografica della popolazione. In buona parte è invece dovuto al Al livello delle pensioni passate. Grazie alle riforme questa anomalia sparirà nei prossimi decenni ma occorreranno circa trent'anni perché la più alta spesa italiana sia dovuto solo a fattori demografici.
Spero che questi miei commenti le siano utili.
Grazie di nuovo
Cordialmente
Carlo Cottarelli

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R: Re: Spesa pensionistica italiana
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Da:
v. http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
22 mag 2015 - 10:27
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<CCottarelli@imf.org> http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
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CC:
<clagarde@imf.org>

Egr. Dott. Cottarelli,
La ringrazio della Sua cortese risposta. Mi permetta, però, di fare tre ulteriori osservazioni:
1. Se si considera la spesa pensionistica al netto delle imposte[1] (che sono una partita di giro), il divario tra l’Italia e gli altri Paesi cala di almeno mezzo punto se non di uno intero; infatti, a fronte di una diminuzione di circa 2 punti percentuali dell’Italia (dal 15,44% al 13,49%, dati 2009), gli altri Paesi calano in media sotto il punto percentuale (ad esempio, la Francia dal 13,73% al 12,82%, la Germania dal 11,25% al 10,86%, il Giappone dal 10,17% al 9,50% e la Spagna dal 9,28% all’8,99%).
2. Inoltre, se si depura la spesa pensionistica dalle prime due voci spurie (TFR e spesa assistenziale,[2] che assommano a quasi 45 mld, cioè a quasi il 3% del Pil), l’incidenza sul Pil, sommando i tre effetti, scende di oltre 4 punti percentuali,[3] non di 2 come affermato da Lei a Radio Anch’io.
In totale, dunque, se questi miei calcoli sono corretti, il rapporto diminuisce – già ora - dal 16,5% ad un massimo del 12,5%, vale a dire già adesso è inferiore di oltre un punto al 13,8% stimato dalla Commissione Europea per il 2060.
3. Infine, andrebbe anche tenuto presente che il rapporto spesa/Pil è influenzato ovviamente anche dal denominatore, calato in Italia, negli ultimi 7 anni, di quasi 10 punti percentuali, molto più che in altri Paesi.

Va da sé, tuttavia, che anche a mio avviso non sarebbe da scartare, anche per ragioni di equità, il ricalcolo delle pensioni secondo il metodo contributivo, al di sopra di una certa soglia, o almeno l'applicazione di un contributo di solidarietà sulla parte non coperta dai contributi.

[1] Gross and Net Public Pension Expenditure (% of GDP) - 2009
(figura 6.5 pg. 171 di Pension at a Glance, e l'ultimo è riportato in OECD Pensions at a Glance 2013)

[2] Trattamenti pensionistici e beneficiari: un’analisi territoriale
Le pensioni Ivs sono il 78,3% dei trattamenti erogati dal sistema pensionistico italiano e assorbono il 90,5% della spesa complessiva. Più nel dettaglio le pensioni di vecchiaia rappresentano il 52,2% delle prestazioni e il 71,8% della spesa; le pensioni di invalidità rispettivamente il 5,6% e il 4,0%, mentre le pensioni ai superstiti rappresentano il 20,6% dei trattamenti complessivamente erogati e il 14,7% della spesa complessiva. Le pensioni assistenziali sono il 18,2% del totale e assorbono il 7,9% della spesa. Le indennitarie incidono, infine, per il 3,5% sul numero dei trattamenti e per l’1,7% sulla spesa complessiva (Tavola 5)”.

[3] Riporto le rispettive evoluzioni RGS e OCSE della Spesa pensioni/Pil (%) fino al 2035:
RGS: 2010=15,3; 2015=16,2; 2020=15,5; 2025=15,2; 2030=15,2%; 2035=15,8.
OCSE: 2010=15,3; 2015=14,9; 2020=14,5; 2025=14,4; 2030=14,5%; 2035=15,0.

Cordiali saluti
V.

  
Re: R: Re: Spesa pensionistica italiana
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Da:
Cottarelli, Carlo (CCottarelli@imf.org) http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
22 mag 2015 - 15:57
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A:
"v."
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CC:
"Lagarde, Christine"<CLagarde@imf.org>

Devo essere stringato purtroppo ma grazie per la risposta. Non sono pero' d'accordo su molti dei suoi punti. La correzione per le tasse non mi sembra appropriata perche' allora occorrerebbe correggere anche per i maggiori servizi che i pensionati ricevono se le tasse in Italia sono piu' alte che altrove

Non mi pare sia corretto correggere anche per le liquidazioni che comunque sono soldi che vanno a chi si sta pensionando

Sul PIL anche i dati degli altri paesi dovrebbero essere corretti per l output gap, anche se per l Italia la correzione sarebbe maggiore

Inoltre si dovrebbe correggere il benchmark estero per il fatto che l Italia si pup' permettere una minore spesa primaria perche' spendiamo di piu' per interessi
Infine occorrerebbe depurare anche i dati degli altri paesi per possibili inappropriate classificazioni di spese di assistenza

Cordiali saluti

Carlo Cottarelli

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R: Re: R: Re: Spesa pensionistica italiana
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Da:
v.
22 mag 2015 - 18:33
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<CCottarelli@imf.org> http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
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CC:
<clagarde@imf.org>

La ringrazio molto per la risposta e soprattutto perché su vari punti Lei non è d’accordo, poiché mi dà agio di risponderle ancora più approfonditamente nel merito e forse la possibilità di farLe cambiare opinione in tema di spesa pensionistica italiana, argomento molto delicato e molto dibattuto.

1. Correzione per le tasse
a) le tasse sono una partita di giro, l’INPS paga l’assegno pensionistico netto e gira il resto all’Erario, alle Regioni e agli Enti locali;
b) dall’ultimo Osservatorio dell’INPS sulle pensioni (che ho già allegato), traggo che “L’importo complessivo annuo risulta pari a 192,6 miliardi di euro, di cui 173 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali. Il 66% dell’importo è erogato dalle gestioni lavoratori dipendenti, il 23,8% da quelle dei lavoratori autonomi, il 10,1% da quelle assistenziali”. Francamente, non so neanche il motivo esatto della notevole differenza e mi sono chiesto anche io perché, ma come si vede l’importo è lontanissimo dai 270 mld o più che va al numeratore del rapporto spesa/Pil nelle statistiche nazionali e internazionali;
c) considerare i maggiori servizi che i pensionati ricevono: perché no? Ma Lei sarà senz’altro d’accordo con me sul fatto che esulerebbero dal capitolo della spesa pensionistica, che è l’unico oggetto del nostro dialogo.

2. TFR
Non è vero, il TFR viene liquidato alla cessazione del rapporto di lavoro e, per particolari motivi (acquisto della casa e spese sanitarie), anche in costanza del rapporto di lavoro. Pertanto è semplicemente un errore assimilarlo alla pensione.

3. Pil
Sono d’accordo, ma la mia osservazione n. 3 era soltanto un di più esplicativo.

4. Altri Paesi
Sono d’accordo, perché no? Anche se ho il sospetto che comunque l’Italia ci guadagnerebbe (v. in particolare la spesa per housing sociale, che è a mio avviso una provvidenza che fa la differenza tra un’esistenza difficile ma sostenibile e la povertà, ed è in Italia inferiore ad 1/20 rispetto ai Paesi di confronto, tranne la Spagna, rispetto alla quale è “solo” 1/10).

Cordiali saluti
V.

PS: Mi scusi se non l’ho fatto prima, ma La informo che, data l’importanza, ho pubblicato questo nostro dialogo nel mio blog Vincesko (http://vincesko.ilcannocchiale.it e http://vincesko.blogspot.it), nella mia bacheca Facebook e finora su 2 siti (blog di Carlo Clericetti su Repubblica e NoisefromAmerika), in modo che Lei possa controllare che non sto cambiando una virgola (a meno che non sia un refuso) e possa se vuole interloquire, riferendosi al mio nickname.

Allegato:

Imposizione fiscale, TFR, Pensioni private (ecc.).

Allego (del prof. Felice Roberto Pizzuti, ho letto cose analoghe più recenti, ma ora non le trovo):

Spesa sociale, Italia e Ue a confronto a cura di Felice Roberto Pizzuti* (29/11/2009)
[…] Caratteristiche della spesa pensionistica in Italia
Quanto alla presunta «anomalia» dell’Italia, che destinerebbe una parte considerevole di risorse alla vecchiaia, un più attento esame dei dati e dei criteri di classificazione, non sempre uniformi, adottati in sede Eurostat porta a ridimensionare l’entità della nostra spesa previdenziale. In primo luogo, va osservato che per l’Italia le indennità liquidate al lavoratore all’interruzione del rapporto di lavoro (1,3% del Pil), quali il Trattamento di fine rapporto (Tfr) nel settore privato e i Trattamenti di fine servizio (Tfs) nel pubblico impiego, sono incluse indebitamente nella spesa per pensioni, indipendentemente dall’età del percettore. Si tratta, invece, di salario differito a momenti successivi, determinati o dalla richiesta dei lavoratori per sostenere spese eccezionali (sanitarie, acquisto casa, ecc.) o dalla cessazione del rapporto di lavoro, che non necessariamente coincide con il pensionamento. […]

Traggo sempre dall’analisi del prof. Felice Roberto Pizzuti:

Esiste, poi, un’elevata sostituibilità fra i vari tipi di intervento, riconducibili, da un lato, alla vecchiaia e superstiti e, dall’altro, all’invalidità e disoccupazione; i paesi, cioè, adottano differenti strumenti per perseguire le medesime finalità e per «coprire» bisogni simili. Ad esempio, in Italia, le pensioni di anzianità hanno anche rappresentato, in modo improprio, un canale di uscita dal mercato del lavoro, in assenza di adeguati sussidi di disoccupazione; anche il Tfr, oltre a fornire un capitale al momento del pensionamento, ha svolto la funzione di «ammortizzatore sociale» in caso di licenziamento. In altri paesi, invece, per queste stesse finalità, è stato ampio il ricorso a forme specifiche di indennità di disoccupazione, a pensioni anticipate e, come in Olanda e Svezia, a pensioni di invalidità interpretate in senso socio-economico. Pertanto, se si procede a considerate congiuntamente le funzioni di vecchiaia, superstiti, invalidità e disoccupazione, nonché a depurare il dato italiano dalle indennità di fine lavoro, il nostro paese presenta livelli di spesa pressoché in linea con la media dei Quindici e inferiori a quelli della Francia. Altri fattori portano a sovrastimare il dato italiano; il fatto che i piani pensionistici privati individuali, ad esempio, non vengono considerati sempre e per tutti i paesi nella rilevazione Eurostat (3), porta a sottostimare i livelli di spesa dei paesi anglosassoni, dove tali forme di risparmio sono molto diffuse. Inoltre, le prestazioni sociali sono considerate al lordo del prelievo fiscale e questo non consente di fornire una misura del reddito disponibile effettivamente trasferito al pensionato, anche perché i regimi fiscali riservati alle prestazioni e alle pensioni nei vari paesi sono alquanto differenti. […]

Traggo da un’analisi di Roberto Fantozzi:

La spesa per protezione sociale in Italia e in Europa Roberto Fantozzi 15 maggio 2014
[…] Tornando alla divergenza va anzitutto considerato che l’Italia è caratterizzata da una popolazione più anziana rispetto agli altri partner comunitari). Comunque, nella voce “Old age” di Esspros (quella su cui si basano i confronti fra paesi), oltre alle pensioni sociali e ad altri sussidi (il 4,3% della spesa totale), sono incluse anche le erogazioni per trattamenti di fine rapporto privati e pubblici (Tfr e Tfs, una peculiarità italiana), che nel 2011 ammontavano all’11.6% della spesa totale. Come è noto, tali erogazioni costituiscono una forma di salario differito e non una misura di carattere previdenziale a tutela del rischio di vecchiaia; infatti, esse sono disponibili in qualsiasi momento si interrompa la relazione contrattuale (anche ben prima del pensionamento) e possono essere anticipate in presenza di specifiche esigenze del lavoratore (spese mediche ed acquisto della prima casa).

Traggo, sempre dall’analisi di Roberto Fantozzi:

I confronti internazionali risentono anche del tipo di strumento scelto dai vari paesi per fronteggiare varie tipologie di rischio sociale (ad esempio, povertà o disoccupazione dei lavoratori anziani). Storicamente, a causa di limiti strutturali del sistema di welfare, l’Italia ha fatto ricorso al sistema pensionistico (anche mediante pensionamenti anticipati) per far fronte ad esigenze assistenziali ed occupazionali. Diversamente, altri paesi (soprattutto nel Nord Europa), in caso di uscita anticipata dall’attività, erogano generosi sussidi di invalidità o disoccupazione, che non sono contabilizzati nella spesa previdenziale, pur svolgendo una funzione del tutto analoga alle pensioni di anzianità. Va anche considerato che il carico effettivo per il bilancio pubblico dipende dal grado di imposizione fiscale sulle prestazioni erogate. Quest’ultimo differisce significativamente nei vari paesi: in Italia le pensioni sono soggette alle normali aliquote Irpef mentre altrove (in primis in Francia e Germania) la loro tassazione è fortemente agevolata. Se si considera la spesa al netto delle imposte, le differenze fra paesi risultano molto meno evidenti. In generale, per valutare l’effettivo impatto della spesa sociale sul bilancio pubblico bisognerebbe detrarre dalla spesa le imposte dirette e indirette ad essa connesse e aggiungervi gli esborsi (in termini di minori entrate) derivanti dalle agevolazioni fiscali offerte a chi partecipa a fondi sanitari e previdenziali privati. Inoltre, per presentare confronti internazionali esaustivi, si dovrebbe tener conto anche della spesa privata per prestazioni di protezione sociale (riguardante soprattutto le pensioni erogate dai fondi privati e la spesa privata per sanità e assistenza da parte delle famiglie), dal momento che il finanziamento di tale spesa va a incidere sul costo del lavoro e sulla competitività di un paese.
Da qualche anno l’Ocse rielabora alcune statistiche relative alla spesa sociale al lordo e al netto delle componenti private e dell’imposizione fiscale che consentono di valutare quanto incidano nei confronti internazionali sia i diversi meccanismi di imposizione e agevolazione fiscale sia il trattamento riservato agli schemi privati (figura 4, riferita al 2009). Con riferimento alla sola spesa pubblica lorda (quella solitamente presa in esame nei confronti internazionale), le differenze fra paesi risultano sostanziali e Stati Uniti e Regno Unito appaiono come outliers. Tuttavia, l’aggiunta della spesa sociale privata modifica completamente il quadro e i due paesi Anglosassoni cessano di apparire parsimoniosi. Infine, i risultati cambiano significativamente se dalla spesa si sottraggono le entrate fiscali ad essa corrispondenti (in Italia la quota di quota di imposte dirette sulle prestazioni sociali è molto alta, inferiore soltanto a quelle della Svezia) e si aggiungono le agevolazioni fiscali. In particolare, la spesa sociale netta italiana in rapporto al Pil (25,5%) risulta superiore, e di poco, soltanto a quella spagnola (25,2%) mentre è di poco inferiore a quella svedese (26,1%) e ampiamente inferiore a quella di Francia (32,1%), Stati Uniti (28,9%), Regno Unito (27,7%) e Germania (27,5%).


Re: R: Re: R: Re: Spesa pensionistica italiana
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Da:
Cottarelli, Carlo (CCottarelli@imf.org) http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
22 mag 2015 - 18:56
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A:
"v."
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CC:
"Lagarde, Christine"<CLagarde@imf.org>

La ringrazio ma resto del mio parere per i motivi che le ho spiegato e che non credo siano toccati dai suoi controargomenti. Pero', sarebbe stato un po' piu' corretto avvertirmi prima della sua intenzione di postare il dialogo.
Mah! Solo per una questione di principio.
Cordialmente
Carlo Cottarelli

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R: Re: R: Re: R: Re: Spesa pensionistica italiana
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Da:
v.
22 mag 2015 - 20:05
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A:
<CCottarelli@imf.org> http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
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CC:
<clagarde@imf.org> 

Ha ragione, chiedo scusa ancora, ma non pensavo che il dialogo si sarebbe prolungato tanto e così a fondo; né l'argomento e le argomentazioni mi sembravano tali da impedirne la pubblicazione. E poi anche perché fin dall'inizio la mia email era indirizzata per conoscenza ad una terza persona.
Per quanto riguarda l'oggetto del dialogo, io in definitiva ho esposto dei fatti, difficile non essere d'accordo con dei fatti, e ardisco pensare che nel suo intimo sia d'accordo che non è corretto tecnicamente, anzi addirittura strampalato, considerare un'uscita/spesa ciò che è un'entrata/ricavo (le tasse) o il TFR spesa pensionistica, quando può essere incassato anche decenni prima del pensionamento.
In ogni caso, mi auguro possiate (mi perdoni il plurale, ma in questo caso è d'obbligo) cambiare opinione, come è successo per i moltiplicatori. Anche perché in questo caso sono fatti al livello di un ragioniere e perfino di semplice buonsenso e non roba da luminari di Economia.
Cordiali saluti,
V.


Re: R: Re: R: Re: R: Re: Spesa pensionistica italiana
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Da:
Cottarelli, Carlo (CCottarelli@imf.org) http://webmail-static.iol.it/cp/images/default/en/uikit/img_transparent.gif
22 mag 2015 - 21:08
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A:
"v."<

Beh. Anche io ho esposto fatti. Comunque let's agree to disagree cone si dice in questi casi

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Post, documenti e articoli collegati:

Berlusconi-Sacconi-Salvini-Giannino-Cazzola-Cottarelli, ecc. vs Monti-Fornero

Dopo il secondo intervento di Carlo Cottarelli sulle pensioni, al Festival dell’Economia di Trento, ho inviato questa lettera:

Lettera ai media, al Governo, al PD e ai sindacati: le pensioni e Carlo Cottarelli
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2833739.html oppure
http://vincesko.blogspot.com/2015/06/lettera-ai-media-al-governo-al-pd-e-ai.html


Alla fine del dialogo con Carlo Cottarelli non ho replicato, ma la mia replica la si può cercare e trovare nella conclusione di questo post:

Informazione, disinformazione e controinformazione
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2828254.html

Olivier Blanchard è l’autore della radicale revisione critica del FMI sui moltiplicatori della spesa e delle tasse e sulle politiche austeritarie.

Blanchard, il nemico numero uno dell'austerity lascia il Fmi
di MAURIZIO RICCI
23 maggio 2015
http://www.repubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2015/05/23/news/blanchard_il_nemico_numero_uno_dell_austerity_lascia_il_fmi-115024052/

Ed Eurostat, l’OCSE e l’FMI considerano il TFR spesa pensionistica (!).

Trattamento di fine rapporto (da Wikipedia)
Il trattamento di fine rapporto, sigla TFR, chiamato anche liquidazione o buonuscita, è in Italia una porzione di retribuzione al lavoratore subordinato differita alla cessazione del rapporto di lavoro, effettuata da parte del datore di lavoro.
Con il decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252 è stata emanata la nuova riforma della previdenza complementare, regolando la destinazione del TFR ai fondi pensione complementari, tramite il meccanismo del silenzio-assenso.

Trattamento di fine rapporto (da INPS)

Il Tfr in busta paga è un flop: chiesto da 0,1% dei dipendenti
La Fondazione consulenti del lavoro ha analizzato un milione di posizioni e ha scoperto che solo 567 dipendenti hanno chiesto all'azienda l'anticipo. La norma, in vigore da aprile, penalizza i redditi oltre i 15 mila euro
30 maggio 2015

Aggiornamento (24/06/2015):

26/03/2014 06:08
IL COLLOQUIO
Cottarelli: «Sì, a 59 anni ho anche la pensione che sommo ai 12mila euro al mese»

giugno 12, 2015 posted by Fabio Lugano
Il terzo elemento della Trojka per l’Austerità: pensioni ed assistenza per i dipendenti del FMI
http://scenarieconomici.it/il-terzo-elemento-della-trojka-per-lausterita-pensioni-ed-assistenza-per-i-dipendenti-del-fmi/


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