mercoledì 18 marzo 2015

La mutazione antropologica degli Italiani

A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 6 del 27-10-10 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
La mutazione antropologica degli Italiani

Il problema della mutazione antropologica in senso involutivo in atto effettivamente è nazionale. Ma limitiamoci al Mezzogiorno. L'arretratezza del Sud e del divario tra di esso ed il Centro-Nord, che permane anzi si accresce, e degli altri problemi, dovrebbe partire necessariamente proprio da qui, dalla mentalità, dal dato culturale (in senso antropologico), perché non solo i Siciliani – come scriveva Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”, ma tutti i meridionali si credono padreterni, e quindi perfetti.
Per chi non è del Sud è difficile capire che un altro dei pilastri della cultura meridionale – probabilmente il portato del cattolicesimo e che si tramanda di generazione in generazione - è l'invidia ed il conservatorismo sociale - l'altra faccia del “noi siamo dèi” -, per cui, invece che considerarlo uno stimolo all'emulazione ed al miglioramento, si giudica negativamente il successo dell'altro ed impera un meccanismo automatico, una sorta di riflesso condizionato delle persone, che sono “costrette” a frenare qualunque iniziativa privata o, soprattutto, pubblica, e favoriscono una omologazione in cui poi riescono a prevalere sempre gli stessi.
Detto da non credente, comunque, la Chiesa svolge in alcune realtà – come ad esempio Napoli - spesso un ruolo di supplenza dello Stato e di autorità morale di riferimento.
Per risolvere la Questione antropologica meridionale e quella generale, la riforma culturale è un obiettivo essenziale, e di lungo termine, che deve basarsi prioritariamente sul coinvolgimento delle donne, in particolare le madri, che devono diventarne l'oggetto ed il soggetto principale, per approcciare finalmente il problema del Sud non soltanto con misure economiche (rivelatesi in 150 anni insufficienti), ma, parallelamente, anche culturali, con oggetto e soggetto appunto le donne, trasformandole da problema e fattore di conservazione in risorsa e motore del cambiamento.
Solo se si affronta il problema alla radice, nel luogo giusto – la famiglia – ed investendo sulla figura fondamentale – la madre - nel periodo giusto – durante la gravidanza e nei primi 3 anni di vita dei figli – non solo possiamo educare ad essere bravi genitori, che è un mestiere difficile e pressoché nessuno lo insegna, evitare la condanna di Sisifo di continuare a fare un lavoro inutile dopo, prevenire ed assistere il 20% di casi di donne che vanno in depressione o di bambini con problemi psichici, ma anche riuscire a porre solide basi per una vera, autentica, necessaria rivoluzione culturale.

Questa è la consapevolezza che manca: il massimo fattore critico in questa rivoluzione culturale è il ruolo della donna ed in particolare della donna-madre, perché – scriveva Anna Maria Ortese nel bel libro Il mare non bagna Napoli (quasi un saggio di sociologia) - “Esiste, nelle estreme e più lucenti terre del Sud, un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione, un genio materno, d'illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in cui dormono quelle popolazioni”. Bisogna fare in modo che essa diventi la risorsa strategica per il riscatto del Sud e quindi dell'Italia.

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