lunedì 23 marzo 2015

Analisi quali-quantitativa/11 - Lavoro precario e reddito di cittadinanza

A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 24 del 20-12-2010 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
Analisi QQ11/Lavoro precario e reddito di cittadinanza

1. Da una illuminante trasmissione di sabato 27-11 ore 1:07, RAI Educational Crash, scaricabile da RAI3 in podcast, si ricava che: a) secondo la CGIA di Mestre, i lavoratori precari nel 2009 erano 3 milioni e 700 mila; b) essi avranno – soprattutto le donne – dopo aver pagato 30 anni di contributi, una pensione media inferiore a 500 €; c) avranno la quasi impossibilità e di colmare i “buchi” contributivi e di riscattare la laurea e di unificare i contributi e di dotarsi di una pensione complementare.
2. La gestione dell’INPS presenta anche quest’anno un avanzo record (7,9 miliardi a fine 2009), dovuto ai contributi di due categorie: gli immigrati e i parasubordinati (cosiddetta gestione separata), che vengono utilizzati, ad esempio, per pagare le pensioni al clero e soprattutto ai dirigenti (in notevole deficit). [1]
3. Sugli immigrati, nel servizio viene intervistato il presidente dell’INPS, Antonio Mastrapasqua, un signore – detto per inciso – che, secondo “Report”, cumula, oltre allo stipendio, ben 54 (cinquantaquattro) emolumenti per cariche varie. Due mesi fa – come viene raccontato nel servizio – è uscita su tutti giornali la sua dichiarazione che l’INPS non diffondeva i dati relativi alle pensioni dei parasubordinati per non provocare una rivolta sociale.
4. A proposito delle obiezioni avanzate da parecchi sul trattamento economico insufficiente dei precari, è particolarmente significativo l’ultimo caso trattato nel servizio: quello delle palestre, le quali, forzando in questo caso indebitamente l'interpretazione della legge (L. 342/2000), pur svolgendo attività continuativa talora con migliaia di clienti, si fanno passare per associazioni senza scopo di lucro e quindi utilizzano i lavoratori pagando loro soltanto un rimborso spese per “prestazioni dilettantistiche” (cioé di “arti e mestieri svolti in modo saltuario”, non pagando così nemmeno un euro di contributi e potendo per giunta disfarsi del lavoratore con la massima libertà.
5. Tutto ciò da che cosa dipende? Ovviamente dalla legislazione attualmente in vigore. E’ assurdo doverlo affermare, ma non ci voleva Einstein, bensì soltanto Catalano per prevedere che se un imprenditore può scegliere tra assumere un dipendente che costa di più e crea più vincoli ed un altro che non solo costa di meno, ma crea meno vincoli, sceglie il secondo (sistema che – cela va sans dire – arricchisce pochi a detrimento di tanti, vedi statistiche sul reddito e sulla ricchezza).
6. All’inizio del servizio RAI, l’impiegata dell’INPS consultata dalla giornalista consiglia come unica soluzione di emigrare. Anche diversi commenti sui giornali sono dello stesso avviso. Ma, scusate, se tutto dipende dalla normativa, a che serve emigrare? Soluzione, beninteso, che va benissimo come scelta individuale di personale arricchimento professionale e culturale, ma che non può costituire la scelta di elezione a livello di sistema complessivo italiano.
7. Quindi CHE FARE? Quella sulla cosiddetta flessibilità è la classica riforma attuata a metà, che ha previsto la flessibilità (= precariato), ma non la sicurezza (cioè un sistema di ammortizzatori sociali universale). Se n’è accorto anche, nel campo del centrosinistra, Tiziano Treu, autore del famoso o famigerato “pacchetto Treu” del 1997 ispirato alla flessibilità, sulla linea della legge Biagi, e che già da un po’ ha rivisto la sua visione, tant’è che, oltre ad averlo dichiarato in articoli e convegni pubblici, [2] è co-autore di un DdL di riforma (vedi sotto); non il ministro Sacconi, però, il quale anzi ha ripristinato alcune forme di lavoro precario – recate dalla legge Biagi – cancellate dal precedente ministro Damiano. Vediamo allora quali sono queste proposte di legge, volte a riformare il diritto del lavoro e/o regolamentare il precariato:

la prima è del Sen. Pietro Ichino “Codice del lavoro semplificato” ispirata al sistema scandinavo e che ha tra gli obiettivi il superamento proprio del mercato duale del lavoro     http://www.pietroichino.it/newsletters/_href/?IDn=678&IDe=48242&f=http://www.pietroichino.it/?p=4896
link sostituito da:
(approvata a larghissima maggioranza in Senato la mozione Rutelli, che impegna il Governo a promuovere l’emanazione di "un nuovo codice del lavoro semplificato, anche sulla base delle proposte del disegno di legge Atto Senato 1873”)
- la seconda è dei Senatori Ghedini-Passoni-Treu “Norme per un lavoro stabile, sicuro e di qualità; misure per il contrasto alla precarietà del lavoro, nonché deleghe in materia di apprendimento permanente, apprendistato e contratto di inserimento” (attualmente in discussione in Commissione Lavoro del Senato)  http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00315947.pdf
- la terza è del Sen. Nerozzi “Istituzione del contratto unico d’ingresso” (ispirata da Tito Boeri e Pietro Garibaldi) http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00459782.pdf
- la quarta è dell’On. Madia “Disposizioni per l’istituzione di un contratto unico d’inserimento formativo e per il superamento del dualismo nel mercato del lavoro” http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0033390.pdf .
Mi permetto di dire a tutti ed ai giovani in particolare (come ha affermato l'architetto Renzo Piano alla trasmissione “Vieni via con me”): andate all’estero ad arricchire il vostro bagaglio di esperienza, per tornare più forti e dare una mano per cambiare il nostro Paese. Anche appoggiando e votando chi concretamente è disposto in cambio del voto a varare leggi di riforma ispirate alla giustizia sociale, all’equità e, come nel caso dei precari, al buon senso.

[1] Il nostro Bel Paese è pieno di ingiustizie. Per evidenziarne una, macroscopica, pertinente all’argomento: le pensioni dei dirigenti sono tra le più alte erogate dall’INPS (alcune migliaia di € pro-capite al mese).
La gestione dei dirigenti, ex INPDAI, confluì nell’INPS a causa del deficit di gestione, dovuto (cfr. pagg. 33-34 dell’allegato di ManagerItalia
“L’avventurosa storia dell’istituto di previdenza dei dirigenti industriali, fino all’ultimo colpo di scena: il passaggio sotto le ali dell’Inps” http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Giornale/Dicembre2002/pag28.pdf )
a) aliquote contributive più basse – fino al 31/12/1996 (vedi tab. 1 e grafico);
b) aliquote di rendimento più elevate, anche se è da ricordare che, con decorrenza dall’1/1/1995, è stata ridotta al livello di quella del regime generale l’aliquota relativa alla prima fascia di retribuzione pensionabile (dal 2,66 al 2%);
c) fasce di retribuzione pensionabile più elevate (tab. 2);
d) calcolo in trentesimi anziché in quarantesimi per le anzianità contributive fino al 31/12/1994;
e) progressivo peggioramento del rapporto iscritti/pensionati (tabb. 3 e 4), ridottosi ormai addirittura a una percentuale inferiore all’unità (0,94 nel 2001; 0,93 per il 2002)”.
Allego anche: “I lavoratori pagano le pensioni al clero (e ai dirigenti)”

[2] SEMINARIO - Politiche del lavoro – Un nuovo modello di welfare e politiche di lavoro - Roma, 5 novembre 2010. Coordinatori: Marianna Madia, Alessia Mosca, Paolo Nerozzi. Relatori: Tito Boeri, Tiziano treu, Chiara Saraceno, Cesare Damiano, Raffaele De Luca Tamajo, Simone Bettini.

Il problema del precariato italiano – vera emergenza nazionale - va quindi affrontato con decisione, ma per farlo con efficacia, occorre aver chiare le interrelazioni sia con l'auspicabile reddito di cittadinanza, sia le interrelazioni di quest'ultimo con le altre variabili che costituiscono il quadro del welfare, inclusi gli ammortizzatori sociali. [3]
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[3] Nel 2009 la spesa complessiva per lo stato sociale ammonta a 145 miliardi. Quasi 39 miliardi di euro sono stati spesi dallo Stato per misure legate all'invalidità: 16 per le pensioni assistenziali e gli assegni di accompagnamento (per 2,6 milioni di prestazioni complessive e il 9,5% di over 65 coinvolti), altrettanti per le prestazioni previdenziali e le rendite Inail (di cui 10 miliardi di erogazioni che si sono trasformate in pensioni di vecchiaia al compimento del 65mo anno di età), 620 milioni di euro per le misure in favore di coloro che si occupano di fornire assistenza ai disabili (legge 104) con copertura contributiva all'Inps e 2,3 miliardi di euro per le detrazioni in spese mediche e sanitarie .
Poi, lo Stato spende, in termini di sostegno alle famiglie, 77 miliardi di euro: gli assegni familiari incidono nel 2009 per 6,5 miliardi di euro sulle casse pubbliche. Tre miliardi di euro l'ammontare dell'indennità di maternità. Il dato maggiore  è rappresentato dalle pensioni e dalle rendite ai superstiti: 35 miliardi di euro pari 2,3% del Pil. È una voce di spesa – che si rivolge a una fascia di popolazione anziana e interessa 4,5 milioni di beneficiari. Sono 12 i miliardi di euro impegnati dallo Stato per coprire le detrazioni dei familiari a carico (0,8% del Pil). Infine 15 miliardi di euro per l'esenzione all'Irpef degli assegni al coniuge separato per il suo mantenimento e quello dei figli.
Lavoro. L'aumento di tre punti percentuali nell'ultimo anno della disoccupazione (Bankitalia rileva che la percentuale degli inattivi è all'11%) ha avuto un effetto moltiplicatore sulle erogazioni per la cassa integrazione: nel 2007 le prestazioni concesse erano 490 mila, ora sono 2,2 milioni, per un controvalore complessivo pari a 18,2 miliardi di euro (esattamente il doppio rispetto al 2007). Minore peso sulle casse pubbliche per le detrazioni a chi versa i contributi a fondi di previdenza complementare (il gettito richiesto allo Stato è pari a 400 milioni di euro nel 2009). Mentre la detassazione dei premi di produttività – misura introdotta in via sperimentale nel 2008 e poi prorogata – è pari a un miliardo di euro di copertura.
(Cfr. Nota diffusa dal ministero del Lavoro che analizza il trend della spesa sociale di questi ultimi anni).


Reddito minimo garantito.

Il reddito minimo garantito non è mai stato attuato dallo Stato italiano. In Europa, solo l'Italia e la Grecia non lo prevedono. “Molti non sanno che in Italia si è sperimentato una specie di reddito minimo d'inserimento in pochi comuni del Nord e in alcune zone della Campania. La sperimentazione ha avuto inizio con il governo Prodi del 1996, ed è stata interrotta dal governo Berlusconi. Solo in alcune zone della Campania è stata proseguita da Bassolino con i mezzi della Regione”. Unica, quest'anno, la Regione Lazio ha stanziato a questo scopo 20 milioni, per finanziare la legge regionale approvata nel 2009 dalla giunta di centrosinistra (nel sito della Regione si può trovare tutto).

Ecco, sul tema del reddito minimo, quattro commenti:

Giovanni Perazzoli
Il reddito minimo garantito (con una panoramica sugli altri Paesi)
(MicroMega 3/2005)

Introdurre un reddito minimo garantito per redistribuire il benessere ma senza creare sprechi
di Ugo Colombino (Lavoce.info) 11-06-2010
link sostituito da:

Un Reddito minimo garantito per l'Italia
di Tito Boeri 17.01.2006
link sostituito da:

Quali gli ostacoli:

Reddito minimo garantito: perché in Italia non si può fare
Pubblicato da Demetrio Vacca 03-2009
“Il reddito minimo in Europa è una realtà ed è adottato da quasi tutti i paesi e raccomandato dall'Unione Europea. In Italia sarebbe da realizzare e sarebbe cosa buona e giusta... purtroppo lo si vuol fare senza considerare i conti e senza cambiare il sistema, ecco 5 motivi per cui non si può fare e se decidessimo di eliminare questi privilegi bè allora ci sarebbero le risorse e le condizioni per realizzare un progetto di civiltà:
1.    In Italia ci sono troppi lavoratori pubblici e non si possono licenziare. I servizi pubblici sono inefficienti e gestiti male da dipendenti fannulloni illicenziabili.
2.    In Italia ci sono troppe Piccole e Medie Imprese con scarsa innovazione e capacità d'investimento.
3.    In Italia le pensioni pesano troppo e ci sono troppi pre-pensionati giovani e si va troppo presto in pensione.
4.    In Italia c'è l'articolo 18 ed il sindacato è troppo arroccato a difendere operai e pensionati e se ne frega di precari e disoccupati.
5.    L'Italia si basa su produzioni ad alta intesità di lavoro, scarsa innovazione e scarsa specializzazione. L'industria nazionale è troppo esposta ai cicli economici ed il sistema bancario è gestito in maniera opportunistica senza un'attenzione al paese ed alle imprese visti come polli da spennare”.

Quest'anno, il problema del reddito minimo è stato riproposto come raccomandazione in ambito Parlamento UE, ma non è stato approvato:

UE: Balzani e Cozzolino (PD/S&D), “Avanti verso reddito europeo”
05 ottobre 2010

Conclusioni:
1. Per quanto riguarda il precariato, è necessario agire sulla normativa ed in particolare sul meccanismo degli incentivi/disincentivi: quindi occorre che il lavoro precario costi più di quello stabile.
2. L'introduzione del reddito minimo è una misura necessaria, per allineare l'Italia agli altri paesi europei e come indispensabile rimedio alla drammatica crisi economica ed occupazionale, che sarà lunga. La platea dei potenziali interessati è vasta, se le persone in cerca di occupazione (dati ISTAT II trim. 2010, v. allegato http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/forzelav/20100923_00/testointegrale20100923.pdf) sono complessivamente 2.093.000. Ai quali vanno aggiunti: a) i cassintegrati (600.000) e b) gli inattivi, che (sempre dati ISTAT) sono complessivamente 14.817.000, di cui 5.200.000 maschi e 9.617.000 femmine. Ma probabilmente non può non passare per l'eliminazione della miriade di privilegi, tra cui vi sono: le assunzioni in sinecure (pensiamo soltanto al numero complessivo dei dipendenti della Regione Sicilia o della Regione Campania o della Regione Calabria); gli sprechi delle cosiddette Autorità di Garanzia, infarcite di garanti strapagati provenienti dalla classe politica e ad essa asserviti e di impiegati pagati lautamente che in maggioranza non fanno letteralmente nulla; i doppi stipendi dei magistrati posti fuori ruolo (cioè che ricoprono nuovi incarichi, ma continuano a prendere anche lo stipendio precedente). Perciò, data la situazione grave dei conti pubblici, occorre sia por mano a queste patenti ingiustizie, sia licenziare i precari in sovrappiù (agendo soprattutto sul turnover) per dare a tutti un reddito minimo di cittadinanza di almeno 500 € (l'UE prevede il 60% di un salario).
3. A questo, va aggiunto un Piano corposo di edilizia popolare pubblica.
L'effetto combinato delle tre misure (lavoro precario più costoso, reddito minimo garantito nei periodi di disoccupazione, un alloggio ad affitto sociale) renderebbe  concreta la funzione inclusiva di uno Stato equo e solidale e consentirebbe a milioni di cittadini - in una visione solidaristica e di reale efficacia - di affrontare la crisi sistemica nei prossimi 5-10-15 anni.


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