A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.
Post n. 52 del
22-02-2011 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
La cricca libica
1. La cricca libica
Io ho lavorato un anno e
mezzo, in Libia. Vi giunsi il 25 ottobre 1980; la prima settimana la passai con
i crampi allo stomaco, a causa del clima di forte tensione che si respirava,
causato dalla stabile presenza, di giorno, di un'auto dei servizi segreti libici
che già da tempo stazionava fuori i nostri uffici in prefabbricato a Suk el
Juma, quartiere di Tripoli, come forma di pressione per “convincere” le società
del consorzio d'imprese, capitanate dalla Pirelli, a pagare la tangente
sull'importo iniziale dei lavori di oltre 600 milioni di dollari di allora (era
prassi, lì, mentre in Arabia Saudita tutto si risolveva col cosiddetto
sponsor). Ma i nostri capi in Italia resistevano, ed allora i militari (è la cricca dei militari che domina la
Libia) prima arrestarono con un pretesto l'ingegnere della Pirelli
rappresentante in loco del consorzio e lo tennero in carcere fino a sotto
Natale; bloccavano per strada i nostri mezzi e li sequestravano; facevano
iniziare la costruzione del campo (nell'attesa noi alloggiavamo nel bel campo
di un'impresa bergamasca che stava ampliando l'università) e poi ci cacciavano
via, e dovevamo ripartire da zero; poi ci tagliarono la luce (e portammo i
gruppi elettrogeni), l'acqua (e portammo il serbatoio a rimorchio Ravasini);
quindi mandarono i sedicenti Comitati popolari con un escavatore a buttare giù
il muro perimetrale del fabbricato (nell'operazione, fui sfiorato da una grossa
pietra); poi vennero a prelevare per alcune ore anche il nostro direttore,
proprio mentre ero a colloquio con lui. Insomma, questo fin quasi a Natale,
quando i capi a Milano finalmente decisero di pagare, e tutte le pressioni
terminarono. Anche l'ingegnere della Pirelli fu scarcerato e, poverino, non
appena riebbe il passaporto rientrò in Italia.
2. Rapporti con i libici.
La Libia è stata colonia
italiana per circa 50 anni. Ci somigliano, ma in peggio, sono la nostra brutta
copia. Sono stronzi quasi come gli Svizzeri, che per me, tra quelli che
conosco, sono i peggiori. Copiano (copiavano) le nostre regole amministrative
(ad esempio l'INPS e l'INAIL) e c'è (c'era) l'inefficienza burocratica che c'è
in Italia: ognuno si comanda da sé: se ha voglia, ti fa la pratica, se no “bukhara insc'Allah” (domani, se Dio
vuole). C'è (c'era) molta corruzione. Il mio collega responsabile della
Contabilità generale aveva una valigetta dove custodiva il fondo nero destinato
alle bustarelle per la corruzione spicciola. A quella in grande, l'abbiamo
visto, ci pensava la sede di Milano.
I libici hanno (avevano) un
complesso d'inferiorità verso noi Italiani e gli occidentali in genere ed un
complesso di superiorità verso i negri. Sono molto permalosi. Sono (erano)
sempre nervosi ed incazzati, perché sotto pressione, senza svaghi o alcol
(c'era però un fiorente commercio clandestino di cassette pornografiche e
cattivi liquori autoprodotti), esclusi, tranne pochi privilegiati, dal circuito
del vero potere, quello militare-economico; sempre alla ricerca di modi per
integrare il loro magro reddito, millantando influenze ed entrature, da spendere
in beni di consumo che a ondate irregolari (dipendeva dal carico delle navi) si
vendevano nei supermercati statali e nei pochi negozi privati; il grosso dei
negozi, nel suk, era chiuso fin dalla cacciata dei commercianti ebrei, dopo la
presa del potere da parte di Gheddafi.
Coi negri, dicevo, sono
razzisti, sprezzanti e perfino brutali. Io, poco dopo arrivato, litigai col
capo dei nostri (pochi) impiegati libici - che aveva il compito del rilascio
dei nostri visti - discutendo del Ciad. Si offese, perché non ero d'accordo con
quello che sosteneva lui, e, sebbene un mio collega, preoccupato, mi facesse
cenno di non contrariarlo, mantenni il punto. Egli prima mi diede del fascista
(io votavo PCI) e poi a Natale si vendicò, soltanto “dimenticandosi” il mio
visto (era opinione comune fosse un tipo influente e pericoloso, ma in effetti
per fortuna era solo un povero diavolo). Poi riuscii a partire lo stesso, col
volo charter dell'impresa bergamasca che ci ospitava.
Racconto questo episodio per
parlare della genuflessione ed il baciamano di Berlusconi a Gheddafi. E' un
vizio di parecchi Italiani. Nella nostra branch
libica, prima che si scoprisse che era
un povero diavolo, nessuno, dal direttore in giù, si è mai messo contro il capo
degli impiegati libici, tranne io e un autista. Spadroneggiavano, nel loro piccolo.
Se agli arabi dai corda, ne approfittano.
3. Le donne libiche.
C'era una grandissima
differenza tra l'Arabia Saudita, il Paese mussulmano più tradizionalista, dove
anche le ragazze di scuola media dovevano uscire con un vestito nero o blu
lungo, e la Libia. Nei primi mesi, prima della costruzione del campo, nel
tragitto dall'ufficio alla mensa, tutti i giorni ci divertivamo ad attraversare
in auto l'area recintata dell'università ed altre zone, ed incrociavamo le
studentesse: erano vestite normalmente, parecchie in abiti paramilitari. La più
bella era una ragazza di pelle scura, alta, snella, dal portamento elegante,
simile a quello di un'indossatrice.
P.S.: Non so chi l'avesse
coniato, ma Gheddafi veniva chiamato, anche dai libici che lavoravano con noi,
Pierino.
Appendice
A scanso di equivoci: ho già pubblicato questo ‘post’ l’anno
scorso [quando Gheddafi non era in disgrazia], in occasione della richiesta di
5 miliardi di Gheddafi alla UE, su “Repubblica” ed altri:
***
Dopo 30 anni, nulla di nuovo sotto il sole.
Mi trovavo in Libia, a Tripoli, nel 1981, quando la marina
statunitense abbatte due mig libici sul Golfo della Sirte. Io e i miei
colleghi, un po’ per gioco un po’ sul serio, facemmo una riunione per
ipotizzare, in caso di attacco, una via di fuga. Non a caso, non pensammo alla
nostra ambasciata.
Fiumicino, il rientro degli Italiani: “Abbandonati”
22 febbraio 2011
***
… In effetti, una permanenza per lavoro all’estero in una Branch,
quindi in una struttura snella che
replica in piccolo l’organizzazione
aziendale, in un Paese difficile (e la Libia lo era per davvero), quindi stressante,
oltre ad essere un’esperienza formativa utile, permette, da un lato, di poter conoscere
più agevolmente, in fretta ed a fondo sia le qualità dei capi che quelle dei colleghi
(viene fuori il meglio ed il peggio di ciascuno); dall’altro, di poterti
confrontare con varia umanità e di comparare il livello culturale,
organizzativo e di efficienza di lavoratori di varie nazionalità; dall’altro ancora,
di verificare e comparare in concreto il livello di sviluppo dell’Italia e dei vari
Paesi, allora facilmente desumibile, ad esempio, dal livello delle comunicazioni
telefoniche (per noi era problematico telefonare a casa, perché costretti a
defatiganti code ed attese, mentre gli Inglesi ed i Francesi si sbrigavano in
fretta) o della qualità dell’assistenza delle rispettive strutture
diplomatiche. Ora presumo che lo scarto delle comunicazioni sia stato colmato;
quello dell’efficienza e della qualità dell’assistenza dell’Ambasciata e del Consolato
pare non ancora.
L’azienda bergamasca che ci ospitava non era ricca come
la nostra, ma il suo campo, ubicato nella periferia prossima di Tripoli, era
bello; c‘era tutto: sala giochi, sala proiezione videocassette, mensa, bar, campo
da tennis, campo da bocce. E, soprattutto, aveva stanze in prefabbricato di
legno di buona qualità, da 2 posti, uguali per tutti: dirigenti, impiegati ed
operai. Un medico veniva 2 o 3 giorni alla settimana per l’eventuale assistenza
medica.
La nostra grossa e ricca azienda, privata ma delle Partecipazioni statali, era, invece, di mentalità un po' fascista (periodo in cui era stata fondata): nel campo centrale, situato a 15 Km dalla città, a Tajura (dove, durante il Fascismo, si correva un Gran Premio automobilistico), in una stentata pineta, c'erano per gli Italiani ben 5 livelli di sistemazione logistica: 1) 5 villette da 5 stanze, assegnate: una, intera, al direttore della Branch; una, divisa tra il direttore Lavori (3 camere) e il direttore amministrativo (2 camere); e le rimanenti tre per i colleghi che avevano portato giù con loro la famiglia; poi c‘erano delle stanze da 2 letti e bagno con doccia, in cattivo prefabbricato di legno per gli impiegati; ed infine un camerone da 48 posti per gli operai, sempre in mediocre prefabbricato di legno, con alcuni bagni e docce comuni. Gli operai indiani e filippini alloggiavano peggio, in un campo più piccolo quasi adiacente, dove avevamo gli automezzi e le macchine operatrici ed i servizi connessi.
La mensa era piuttosto grande,
ma non sufficiente a contenere tutti man mano che l’organico aumentò. A
cena, se arrivavi un po’ tardi e ti toccava sederti
ad uno dei tavoli sotto le finestre perimetrali, dovevi distanziare il piatto
dalla parete e proteggerlo con la mano per evitare che le mosche vi cadessero
dentro.
Piccola
parentesi sulle terribili mosche africane: non le avvertivi se si appoggiavano
sulle labbra e rischiavi ogni volta che ti entrassero in bocca se qualcuno non
ti avvisava. Rammento che in un libro sulla Seconda Guerra Mondiale in Africa
settentrionale venivano indicate come uno dei quattro flagelli (degli altri tre, rammento soltanto la burocrazia).
C‘era un piccolo locale-bar con la macchina del caffè e l’acqua minerale
Bengashir.
La sala tv per la proiezione
delle videocassette dopo un po’ fu adibita a deposito di letti, materassi e confezioni di
acqua Bengashir.
Il terreno era sconnesso e,
quando pioveva, fangoso, tranne marciapiedi in cemento, larghi circa un metro,
lungo i prefabbricati degli alloggi e degli uffici.
Dopo cena, ci riunivamo
a chiacchierare, o meglio a lamentarci – primo
sport nazionale già allora -, davanti alla mensa, dove apposta fu apprestata
un’area di 20x25 metri in cemento, illuminata da 2 proiettori, che davano
alla scena un lugubre aspetto da lager. Poi più niente, neanche un
infermiere.
Questo finché lanciai l’idea
di costituire il GTL (Gruppo Tempo Libero). L’idea fu
accolta molto favorevolmente. Raccolsi la collaborazione operativa di cinque o sei
colleghi. Come presidente del GTL, convinsi facilmente il
direttore a far venire dall’Italia 3 proiettori per film (uno per
Tripoli-Tajura (Tripolitania), uno per Bengasi (Cirenaica) ed il
terzo per Sebha (Fezzan), a Sud, nel deserto; 6 divise complete e
attrezzi per il calcio. In loco acquistai 7 videoproiettori
Sony, 3 per i campi principali e 4 per i primi cantieri. Svuotai
personalmente, assieme agli altri pochi componenti del GTL, la sala tv, dopo
aver fatto costruire una baracca nell’area del Magazzino
generale dal (fino ad allora gelosissimo) suo responsabile (miracoli del
GTL!) per il ricovero dell’acqua Bengashir, un'acqua minerale locale potabile ma non priva di impurità tipo sabbia. Andai in ambasciata italiana
per poter far venire dall’Italia in borsa diplomatica, quindi
saltando la severa censura, le “pizze” dei film e le videocassette (lì, ricevetti le confidenze
del gentile funzionario d’ambasciata, che si lamentava – anche lui! -
del trattamento economico e del resto) e provvidi a farli distribuire ai vari campi delle tre
Regioni di Tripoli, Bengasi e Sebha. Il collega responsabile della Contabilità Lavori e membro del GTL provvide a costruire la
struttura in legno dello schermo per la proiezione dei film, mentre le signore mogli
dei colleghi si adoperarono per fabbricare il telo dello schermo cucendo insieme
delle lenzuola bianche.
Memorabile fu la prima
proiezione, non tanto per il film, che era quello di Fantozzi, con Paolo
Villaggio, ma perché, dopo qualche minuto dall’inizio, vedemmo
arrivare in fila indiana – è proprio il caso di dirlo – i nostri operai
indiani (dell’India), che alloggiavano nel vicino campo degli
automezzi, attirati dal sonoro del film propagatosi nella rada pineta
silenziosa.
Feci spianare col Greder (che è un escavatore
dotato di lama per livellare) un terreno limitrofo esterno al nostro campo e ricavai un campetto da calcio di forma
irregolare, poiché era delimitato su uno dei due lati lunghi da un sentierino
che ci avevano detto essere presente su una cartina militare, e perciò era intoccabile, e vi organizzai
un torneo di calcio estivo per squadre ad 8 giocatori. Per
il quale arrivarono apposta dalla sede di Milano sei completi da calcio più i palloni.
Tornando dal mio periodo di
ferie quadrimestrale (si andava a casa per 10 giorni dopo 3 mesi e 20 giorni di
lavoro), portai a mano personalmente dall’Italia una chitarra a 12
corde, una a 6 corde, una coppia di piccoli tamburi,
le maracas, i fischietti per il calcio e delle corde (che nessuno in
precedenza aveva voluto portare dall’Italia) per la chitarra del
giovane filippino che ci aveva allietato di sera cantando magnificamente
e suonando, con la sua chitarra priva di una corda,
“Yesterday” dei Beatles ed altre canzoni.
Presentai al direttore e al
direttore generale, che la approvò, anche una proposta di assetto
integrato dell’assistenza sanitaria, articolato in: staff sanitario nel campo centrale,
formato da un infermiere fisso ed un medico libico saltuario (furono
poi scelti entrambi fissi ed italiani), l’ospedale pubblico libico; al quale
decisero di aggiungere un contratto con Europe
Assistance per trasportare in Italia, in caso di necessità, i malati gravi. Raccolsi tutti i
libri miei e dei colleghi e allestii una biblioteca.
Tutto questo gratis e al di fuori del mio impegno di lavoro e ricevendo
miracolosamente la collaborazione della direzione locale e di quella in Italia,
ma il lavoro manuale lo facevamo soltanto noi 5 o 6 membri del GTL, tutti gli
altri si limitavano a partecipare ai vari servizi di svago erogati, e per dare un'idea, piccola
ma significativa, non erano disposti neppure a staccare e riattaccare
l'interruttore della luce all'inizio e alla fine della proiezione del film, e
soltanto perché quasi li costringevamo riportavano la loro sedia all'interno.
Ed erano di tutte le Regioni italiane. Poi scemò l’impegno di qualcuno, cominciarono
le solite, immancabili gelosie ed allora decisi di “dimettermi”, con la sola
piccola soddisfazione finale costituita dall’apprezzamento del direttore della branch che
l’unica cosa che funzionava bene era il GTL… (effettivamente i
problemi di lavoro e nel rapporto con i Libici, anche se in parte risolti, non
mancavano).
Dopo un paio di mesi, arrivò il mio sostituto (un tipo alquanto sfaticato, assunto apposta in Italia per quel lavoro) e passategli accuratamente le consegne ritornai poco prima della Pasqua in Italia, dove mi attendeva l'incarico di responsabile divisionale del controllo di gestione. Ma questa è un'altra storia, ancorché per alcuni aspetti negativi (incapacità dei responsabili, inefficienze, invidie, rivalità, meschinità, nepotismi) richiami e forse superi quella libica.
Dopo un paio di mesi, arrivò il mio sostituto (un tipo alquanto sfaticato, assunto apposta in Italia per quel lavoro) e passategli accuratamente le consegne ritornai poco prima della Pasqua in Italia, dove mi attendeva l'incarico di responsabile divisionale del controllo di gestione. Ma questa è un'altra storia, ancorché per alcuni aspetti negativi (incapacità dei responsabili, inefficienze, invidie, rivalità, meschinità, nepotismi) richiami e forse superi quella libica.
***
Il
nostro DG era un tipo carismatico, severo, tirchio e un po’ buzzurro, bresciano o
bergamasco. Non ero in buoni rapporti con lui, perché m’era antipatico da quando, 7 anni prima, il mio collega altoatesino col quale dividevo l’appartamentino
a Milano e che
era perennemente in trasferta, mi aveva raccontato che, dopo aver misurato e rilevato topograficamente – letteralmente - mezza
Arabia Saudita, in compagnia di 2 aiutanti sauditi che non parlavano né italiano né tedesco, mangiando riso con le mani in un recipiente comune e dormendo la
sera dove capitava,
preferibilmente sulle panche esterne degli “alberghi” nel deserto, e rischiando letteralmente di
impazzire, si vide accolto dal DG, che allora era direttore centrale dei Lavori, in visita a Riad, con un atteggiamento di
sufficienza.
Lo
incrociai anch’io a Riad nel ‘79,
dove era in visita, e per “punirlo” non lo salutai nemmeno.
Poi
in Libia – era stato promosso DG - ne apprezzai il coraggio – e glielo feci capire - perché era l’unico dirigente a venire
tutti i mesi, pur essendoci dei rischi nel periodo
prima del pagamento della tangente.
Per
dare un’idea del tipo, quando il direttore mi chiamò per illustrare la lettera di proposte che gli avevo lasciato sul tavolo, il DG,
stranamente, pur dovendo prendere l’aereo per tornare in Italia, mi trattenne a
colloquio per
un’ora ed un quarto. Quando affrontammo il problema del calcio, mi disse – con tono serio - ch’egli intendeva il calcio in un solo modo: giocato soltanto di testa e
con un
pallone di ferro. Io non risi. Poi si accertò che non pagassimo l'integrazione dell'affitto per l’area esterna dove avevamo costruito abusivamente
il campo
da calcio, perché - disse - era caro. La sua tirchieria forse serviva anche a compensare i “maneggi” che - scoprii proprio in Libia
– usava portare avanti con ditte "sue" bergamasche cui faceva affidare subappalti, in Italia ed all’estero.
Per
inciso,
aggiungo che,
all’inizio, dopo che gli avevo manifestato – in silenzio, con lo sguardo - il mio apprezzamento per il suo coraggio, mi fece convocare in direzione e mi
volle stringere la mano; e la mia promozione che era da un po’ di mesi in stand-by
“miracolosamente” si sbloccò.
***********
Terribile questa testimonianza dalla Libia. Ma come è possibile che in 30 anni non sia cambiato niente? O forse è addirittura peggiorato?
“NOI ITALIANI ABBANDONATI DALL’AMBASCIATA”
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/gli-italiani-a-tripoli-abbandonati-dall-ambasciata/62793?video
***
Libia, insorti verso Tripoli. Si
combatte a Zawia
Gheddafi: "Criminali guidati da Bin Laden"
http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/24/dirette/24_febbraio_libia-12834798
Gheddafi: "Criminali guidati da Bin Laden"
http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/24/dirette/24_febbraio_libia-12834798
- Mappa
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/la-rivolta-travolge-la-libia/62539?video
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/la-rivolta-travolge-la-libia/62539?video
DIRETTA. I ribelli hanno preso Zoara, a 100 km dalla capitale.
Per Al Arabiya il Raìs è in bunker sotterraneo. Voci di un aereo pronto per la
fuga. Un suo messaggio audio trasmesso dalla tv: "Al Qaeda distribuisce droga
al popolo".
Berlusconi condanna (video),
ma teme la reazione
del Colonnello.
La Ue: "Possibili un milione e mezzo di migranti".
Maroni: non possiamo farcela da soli (video).
Preoccupazione per due docenti italiani. La Ue: "Possibili un milione e mezzo di
migranti". Maroni: non possiamo farcela da soli (video).
Bengasi festeggia la liberazione dal dittatore dall'inviato PIETRO DEL RE
di V.
FRASCHETTI
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/la-figlia-di-gheddafi-non-sono-scappata/62768?video
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/la-figlia-di-gheddafi-non-sono-scappata/62768?video
42 anni in 3 minuti
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/i-42-anni-di-potere-del-colonnello-la-scheda/62604?video
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/i-42-anni-di-potere-del-colonnello-la-scheda/62604?video
Tutti i
video
TRIPOLI - il racconto delle attese e del rientro di
dieci turisti italiani
«Noi dentro e il console fuori»
Trentadue ore nell'aeroporto di Tripoli
Trentadue ore nell'aeroporto di Tripoli
L'odissea
degli imbarchi, tra paura e burocrazia
L'atterraggio a pratica di mare
Libia, arrivano i primi C-130 italiani
A bordo
nel primo aereo circa 50 nostri connazionali
Nel secondo altri 100 italiani e diversi cittadini stranieri
Nel secondo altri 100 italiani e diversi cittadini stranieri
DAL FORUM
Di CORRIERE.IT
Tecnici , manager, specialisti, archeologi : la
Rete degli italiani che cercano di partire
Gli studiosi in pieno deserto, i 280 bloccati a Misurata. I dipendenti
Ericsson rientrati giovedì in Italia. Attese e odissee. Ecco i loro messaggi al
Corriere e agli amici
“(…). Quello che
manca, raccontano, sono le direttive dall'Italia più che la scarsa assistenza
dall'Ambasciata, non la mancanza di volontà dei funzionari. Le indicazioni,
ogni volta sono state di «tentare di raggiungere l'aereoporto con i propri
mezzi e da lì attendere. Oppure di non uscire di casa».
«L'ambasciata non è in grado di fornire scorta o assistenza nel tragitto per l'aereoporto», spiega Adolfo che ha raccontato come da tre giorni tentano invano di entrarci. «La struttura non è presidiata dall'esercito ma da personaggi armati, non in divisa». Adolfo e i colleghi non dispongono di scorta armata ma di un semplice «driver», un libico stipendiato dall'azienda, ma niente di più (…)”.
«L'ambasciata non è in grado di fornire scorta o assistenza nel tragitto per l'aereoporto», spiega Adolfo che ha raccontato come da tre giorni tentano invano di entrarci. «La struttura non è presidiata dall'esercito ma da personaggi armati, non in divisa». Adolfo e i colleghi non dispongono di scorta armata ma di un semplice «driver», un libico stipendiato dall'azienda, ma niente di più (…)”.
L'Egitto siamo noi
Nel grande paese arabo si gioca una partita fondamentale.
Per tutti
L'Egitto è
un'occasione che perderemo. L'occasione è storica: spezzare nel più strategico
paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e
terrorismo - spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status
dall'Occidente – che destabilizza Nordafrica e Vicino Oriente fino al Golfo e
oltre.
Il successo della
rivoluzione avvierebbe la transizione a un Egitto “normale”, con un potere
politico legittimato dal popolo.
Dopo la scintilla
tunisina, il segno che la nostra frontiera sud-orientale può cambiare. In
meglio. Avvicinandosi ai nostri standard di libertà e democrazia. Cogliendo le
opportunità di sviluppo perse per l'avidità delle élite postcoloniali,
impegnate a coltivare le proprie rendite, indifferenti a una società giovane,
esigente.
L'Italia più di
qualsiasi altra nazione europea dovrebbe appassionarsi al sommovimento in corso
lungo la Quarta Sponda. Chi più di noi dovrebbe interessarsi alla ricostruzione
del circuito mediterraneo, destinato a intercettare la quasi totalità dei
flussi commerciali fra Asia ed Europa, di cui saremmo naturalmente il centro?
A chi più che a
noi conviene la graduale composizione della frattura tra le sponde Nord e Sud
del “nostro mare”? O davvero pensiamo sia possibile erigere una barriera impenetrabile
in mezzo al Mediterraneo?
Qualcuno pensa
ancora che lo sviluppo del Sud del mondo sia una minaccia e non una formidabile
risorsa per il nostro stesso sviluppo – anzi, la condizione perché non si
arresti?
Diretta
Gheddafi: "Inferno
per chi non mi vuole"
Il colonnello parla alla piazza a Tripoli
Il colonnello parla alla piazza a Tripoli
Libia, i ribelli
prendono Misurata
Spari sulla folla a Tripoli, vittime
L'aeroporto in mano ai ribelli
Spari sulla folla a Tripoli, vittime
L'aeroporto in mano ai ribelli
La Russa:
"Recuperare italiani alla fame"
"A Sud Est ci sono
italiani che stanno morendo di fame. Andremo a prenderli".
L'Unione europea: sanzioni. Parigi, assalto all'ambasciata
Nigro: diario dalla
capitale - Si cercano 50mila
posti letto per gli arrivi
dal nostro inviato
VINCENZO NIGRO
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/diario-da-tripoli-gli-italiani-non-possono-andare-in-giro/62862?video
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/diario-da-tripoli-gli-italiani-non-possono-andare-in-giro/62862?video
La Russa diserta
la NATO: “C’è la fiducia”
http://www.repubblica.it/politica/2011/02/25/news/la_russa_diserta_il_vertice_della_nato_mi_spiace_ma_c_il_voto_di_fiducia-12894424
L'EDITORIALE Con
la libertà di EZIO MAURO
BUSSOLE/ In
che parte del mondo è la Libia? di
ILVO DIAMANTI
http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2011/02/25/news/in_che_parte_del_mondo_la_libia_-12887769/
Il
mistero dei missili di Lampedusa di FILIPPO
CECCARELLI
http://boldrini.blogautore.repubblica.it/2011/02/crisi-nel-nord-africa-non-solo-sbarchi/
LIMES
La web-rivolta
07 marzo 2011
12:09
L'ex presidente ceco Vaclav Havel
sollecita un intervento militare dell'Occidente in Libia se la guerra civile in
atto proseguirà. "Se la situazione si protrarrà e Gheddafi continuerà a
compiere nuovi crimini, l'intervento sarà inevitabile", ha detto Havel in
dichiarazioni al quotidiano economico Hospodarske noviny (Hn) oggi.
"L'intervento potrà avere forma di aiuto agli insorti, di blocco dello
spazio aereo o di attacco mirato nei luoghi dove Gheddafi si nasconde", ha
spiegato. "Gheddafi è come Milosevic, va eliminato anche con le armi",
e invece per lui si sono aspettati quattro anni, ha detto aggiungendo che
"personalmente lo consideravo un buffone, tutto il mondo lo prendeva per
un clown bizzarro ma abbiamo sbagliato perche si è dimostrato che è un pazzo
criminale".
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