sabato 28 marzo 2015

La cricca libica

A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 52 del 22-02-2011 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
La cricca libica


1. La cricca libica
Io ho lavorato un anno e mezzo, in Libia. Vi giunsi il 25 ottobre 1980; la prima settimana la passai con i crampi allo stomaco, a causa del clima di forte tensione che si respirava, causato dalla stabile presenza, di giorno, di un'auto dei servizi segreti libici che già da tempo stazionava fuori i nostri uffici in prefabbricato a Suk el Juma, quartiere di Tripoli, come forma di pressione per “convincere” le società del consorzio d'imprese, capitanate dalla Pirelli, a pagare la tangente sull'importo iniziale dei lavori di oltre 600 milioni di dollari di allora (era prassi, lì, mentre in Arabia Saudita tutto si risolveva col cosiddetto sponsor). Ma i nostri capi in Italia resistevano, ed allora i militari (è la cricca dei militari che domina la Libia) prima arrestarono con un pretesto l'ingegnere della Pirelli rappresentante in loco del consorzio e lo tennero in carcere fino a sotto Natale; bloccavano per strada i nostri mezzi e li sequestravano; facevano iniziare la costruzione del campo (nell'attesa noi alloggiavamo nel bel campo di un'impresa bergamasca che stava ampliando l'università) e poi ci cacciavano via, e dovevamo ripartire da zero; poi ci tagliarono la luce (e portammo i gruppi elettrogeni), l'acqua (e portammo il serbatoio a rimorchio Ravasini); quindi mandarono i sedicenti Comitati popolari con un escavatore a buttare giù il muro perimetrale del fabbricato (nell'operazione, fui sfiorato da una grossa pietra); poi vennero a prelevare per alcune ore anche il nostro direttore, proprio mentre ero a colloquio con lui. Insomma, questo fin quasi a Natale, quando i capi a Milano finalmente decisero di pagare, e tutte le pressioni terminarono. Anche l'ingegnere della Pirelli fu scarcerato e, poverino, non appena riebbe il passaporto rientrò in Italia.

2. Rapporti con i libici.
La Libia è stata colonia italiana per circa 50 anni. Ci somigliano, ma in peggio, sono la nostra brutta copia. Sono stronzi quasi come gli Svizzeri, che per me, tra quelli che conosco, sono i peggiori. Copiano (copiavano) le nostre regole amministrative (ad esempio l'INPS e l'INAIL) e c'è (c'era) l'inefficienza burocratica che c'è in Italia: ognuno si comanda da sé: se ha voglia, ti fa la pratica, se no “bukhara insc'Allah” (domani, se Dio vuole). C'è (c'era) molta corruzione. Il mio collega responsabile della Contabilità generale aveva una valigetta dove custodiva il fondo nero destinato alle bustarelle per la corruzione spicciola. A quella in grande, l'abbiamo visto, ci pensava la sede di Milano.
I libici hanno (avevano) un complesso d'inferiorità verso noi Italiani e gli occidentali in genere ed un complesso di superiorità verso i negri. Sono molto permalosi. Sono (erano) sempre nervosi ed incazzati, perché sotto pressione, senza svaghi o alcol (c'era però un fiorente commercio clandestino di cassette pornografiche e cattivi liquori autoprodotti), esclusi, tranne pochi privilegiati, dal circuito del vero potere, quello militare-economico; sempre alla ricerca di modi per integrare il loro magro reddito, millantando influenze ed entrature, da spendere in beni di consumo che a ondate irregolari (dipendeva dal carico delle navi) si vendevano nei supermercati statali e nei pochi negozi privati; il grosso dei negozi, nel suk, era chiuso fin dalla cacciata dei commercianti ebrei, dopo la presa del potere da parte di Gheddafi.
Coi negri, dicevo, sono razzisti, sprezzanti e perfino brutali. Io, poco dopo arrivato, litigai col capo dei nostri (pochi) impiegati libici - che aveva il compito del rilascio dei nostri visti - discutendo del Ciad. Si offese, perché non ero d'accordo con quello che sosteneva lui, e, sebbene un mio collega, preoccupato, mi facesse cenno di non contrariarlo, mantenni il punto. Egli prima mi diede del fascista (io votavo PCI) e poi a Natale si vendicò, soltanto “dimenticandosi” il mio visto (era opinione comune fosse un tipo influente e pericoloso, ma in effetti per fortuna era solo un povero diavolo). Poi riuscii a partire lo stesso, col volo charter dell'impresa bergamasca che ci ospitava.
Racconto questo episodio per parlare della genuflessione ed il baciamano di Berlusconi a Gheddafi. E' un vizio di parecchi Italiani. Nella nostra branch libica,  prima che si scoprisse che era un povero diavolo, nessuno, dal direttore in giù, si è mai messo contro il capo degli impiegati libici, tranne io e un autista. Spadroneggiavano, nel loro piccolo. Se agli arabi dai corda, ne approfittano.

3. Le donne libiche.  
C'era una grandissima differenza tra l'Arabia Saudita, il Paese mussulmano più tradizionalista, dove anche le ragazze di scuola media dovevano uscire con un vestito nero o blu lungo, e la Libia. Nei primi mesi, prima della costruzione del campo, nel tragitto dall'ufficio alla mensa, tutti i giorni ci divertivamo ad attraversare in auto l'area recintata dell'università ed altre zone, ed incrociavamo le studentesse: erano vestite normalmente, parecchie in abiti paramilitari. La più bella era una ragazza di pelle scura, alta, snella, dal portamento elegante, simile a quello di un'indossatrice.

P.S.: Non so chi l'avesse coniato, ma Gheddafi veniva chiamato, anche dai libici che lavoravano con noi, Pierino.


Appendice

A scanso di equivoci: ho già pubblicato questo ‘post’ l’anno scorso [quando Gheddafi non era in disgrazia], in occasione della richiesta di 5 miliardi di Gheddafi alla UE, su “Repubblica” ed altri:

***

Dopo 30 anni, nulla di nuovo sotto il sole.
Mi trovavo in Libia, a Tripoli, nel 1981, quando la marina statunitense abbatte due mig libici sul Golfo della Sirte. Io e i miei colleghi, un po’ per gioco un po’ sul serio, facemmo una riunione per ipotizzare, in caso di attacco, una via di fuga. Non a caso, non pensammo alla nostra ambasciata.

Fiumicino, il rientro degli Italiani: “Abbandonati”
22 febbraio 2011

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… In effetti, una permanenza per lavoro all’estero in una Branch, quindi in una struttura snella che replica in piccolo l’organizzazione aziendale, in un Paese difficile (e la Libia lo era per davvero), quindi stressante, oltre ad essere un’esperienza formativa utile, permette, da un lato, di poter conoscere più agevolmente, in fretta ed a fondo sia le qualità dei capi che quelle dei colleghi (viene fuori il meglio ed il peggio di ciascuno); dall’altro, di poterti confrontare con varia umanità e di comparare il livello culturale, organizzativo e di efficienza di lavoratori di varie nazionalità; dall’altro ancora, di verificare e comparare in concreto il livello di sviluppo dell’Italia e dei vari Paesi, allora facilmente desumibile, ad esempio, dal livello delle comunicazioni telefoniche (per noi era problematico telefonare a casa, perché costretti a defatiganti code ed attese, mentre gli Inglesi ed i Francesi si sbrigavano in fretta) o della qualità dell’assistenza delle rispettive strutture diplomatiche. Ora presumo che lo scarto delle comunicazioni sia stato colmato; quello dell’efficienza e della qualità dell’assistenza dell’Ambasciata e del Consolato pare non ancora.

L’azienda bergamasca che ci ospitava non era ricca come la nostra, ma il suo campo, ubicato nella periferia prossima di Tripoli, era bello; c‘era tutto: sala giochi, sala proiezione videocassette, mensa, bar, campo da tennis, campo da bocce. E, soprattutto, aveva stanze in prefabbricato di legno di buona qualità, da 2 posti, uguali per tutti: dirigenti, impiegati ed operai. Un medico veniva 2 o 3 giorni alla settimana per l’eventuale assistenza medica.

La nostra grossa e ricca azienda, privata ma delle Partecipazioni statali, era, invece,  di mentalità un po' fascista (periodo in cui era stata fondata): nel campo centrale, situato a 15 Km dalla città, a Tajura (dove, durante il Fascismo, si correva un Gran Premio automobilistico), in una stentata pineta, c'erano per gli Italiani  ben 5 livelli di sistemazione logistica: 1) 5 villette da 5 stanze, assegnate: una, intera, al direttore della Branch; una, divisa tra il direttore Lavori (3 camere) e il direttore amministrativo (2 camere); e le rimanenti tre per i colleghi che avevano portato giù con loro la famiglia; poi c‘erano delle stanze da 2 letti e bagno con doccia, in cattivo prefabbricato di legno per gli impiegati; ed infine un camerone da 48 posti per gli operai, sempre in mediocre prefabbricato di legno, con alcuni bagni e docce comuni. Gli operai indiani e filippini alloggiavano peggio, in un campo più piccolo quasi adiacente, dove avevamo gli automezzi e le macchine operatrici ed i servizi connessi.

La mensa era piuttosto grande, ma non sufficiente a contenere tutti man mano che l’organico aumentò. A cena, se arrivavi un po’ tardi e ti toccava sederti ad uno dei tavoli sotto le finestre perimetrali, dovevi distanziare il piatto dalla parete e proteggerlo con la mano per evitare che le mosche vi cadessero dentro. 
Piccola parentesi sulle terribili mosche africane: non le avvertivi se si appoggiavano sulle labbra e rischiavi ogni volta che ti entrassero in bocca se qualcuno non ti avvisava. Rammento che in un libro sulla Seconda Guerra Mondiale in Africa settentrionale venivano indicate come uno dei quattro flagelli (degli altri tre, rammento soltanto la burocrazia).
C‘era un piccolo locale-bar con la macchina del caffè e l’acqua minerale Bengashir.
La sala tv per la proiezione delle videocassette dopo un po’ fu adibita a deposito di letti, materassi e confezioni di acqua Bengashir.
Il terreno era sconnesso e, quando pioveva, fangoso, tranne marciapiedi in cemento, larghi circa un metro, lungo i prefabbricati degli alloggi e degli uffici.
Dopo cena, ci riunivamo a chiacchierare, o meglio a lamentarci – primo sport nazionale già allora -, davanti alla mensa, dove apposta fu apprestata un’area di 20x25 metri in cemento, illuminata da 2 proiettori, che davano alla scena un lugubre aspetto da lager. Poi più niente, neanche un infermiere.

Questo finché lanciai l’idea di costituire il GTL (Gruppo Tempo Libero). L’idea fu accolta molto favorevolmente. Raccolsi la collaborazione operativa di cinque o sei colleghi. Come presidente del GTL, convinsi facilmente il direttore a far venire dall’Italia 3 proiettori per film (uno per Tripoli-Tajura (Tripolitania), uno per Bengasi (Cirenaica) ed il terzo per Sebha (Fezzan), a Sud, nel deserto; 6 divise complete e attrezzi per il calcio. In loco acquistai 7 videoproiettori Sony, 3 per i campi principali e 4 per i primi cantieri. Svuotai personalmente, assieme agli altri pochi componenti del GTL, la sala tv, dopo aver fatto costruire una baracca nell’area del Magazzino generale dal (fino ad allora gelosissimo) suo responsabile (miracoli del GTL!) per il ricovero dell’acqua Bengashir, un'acqua minerale locale potabile ma non priva di impurità tipo sabbia. Andai in ambasciata italiana per poter far venire dall’Italia in borsa diplomatica, quindi saltando la severa censura, le “pizze” dei film e le videocassette (lì, ricevetti le confidenze del gentile funzionario d’ambasciata, che si lamentava – anche lui! - del trattamento economico e del resto) e provvidi a farli distribuire ai vari campi delle tre Regioni di Tripoli, Bengasi e Sebha. Il collega responsabile della Contabilità Lavori e membro del GTL provvide a costruire la struttura in legno dello schermo per la proiezione dei film, mentre le signore mogli dei colleghi si adoperarono per fabbricare il telo dello schermo cucendo insieme delle lenzuola bianche.

Memorabile fu la prima proiezione, non tanto per il film, che era quello di Fantozzi, con Paolo Villaggio, ma perché, dopo qualche minuto dall’inizio, vedemmo arrivare in fila indiana – è proprio il caso di dirlo – i nostri operai indiani (dell’India), che alloggiavano nel vicino campo degli automezzi, attirati dal sonoro del film propagatosi nella rada pineta silenziosa.

Feci spianare col Greder (che è un escavatore dotato di lama per livellare) un terreno limitrofo esterno al nostro campo e ricavai un campetto da calcio di forma irregolare, poiché era delimitato su uno dei due lati lunghi da un sentierino che ci avevano detto essere presente su una cartina militare, e perciò era intoccabile, e vi organizzai un torneo di calcio estivo per squadre ad 8 giocatori. Per il quale arrivarono apposta dalla sede di Milano sei completi da calcio più i palloni.
Tornando dal mio periodo di ferie quadrimestrale (si andava a casa per 10 giorni dopo 3 mesi e 20 giorni di lavoro), portai a mano personalmente dall’Italia una chitarra a 12 corde, una a 6 corde, una coppia di piccoli tamburi, le maracas, i fischietti per il calcio e delle corde (che nessuno in precedenza aveva voluto portare dall’Italia) per la chitarra del giovane filippino che ci aveva allietato di sera cantando magnificamente e suonando, con la sua chitarra priva di una corda, “Yesterday” dei Beatles ed altre canzoni.

Presentai al direttore e al direttore generale, che la approvò, anche una proposta di assetto integrato dell’assistenza sanitaria, articolato in: staff sanitario nel campo centrale, formato da un infermiere fisso ed un medico libico saltuario (furono poi scelti entrambi fissi ed italiani), l’ospedale pubblico libico; al quale decisero di aggiungere un contratto con Europe Assistance per trasportare in Italia, in caso di necessità, i malati gravi. Raccolsi tutti i libri miei e dei colleghi e allestii una biblioteca.
Tutto questo gratis e al di fuori del mio impegno di lavoro e ricevendo miracolosamente la collaborazione della direzione locale e di quella in Italia, ma il lavoro manuale lo facevamo soltanto noi 5 o 6 membri del GTL, tutti gli altri si limitavano a partecipare ai vari servizi di svago erogati, e per dare un'idea, piccola ma significativa, non erano disposti neppure a staccare e riattaccare l'interruttore della luce all'inizio e alla fine della proiezione del film, e soltanto perché quasi li costringevamo riportavano la loro sedia all'interno. Ed erano di tutte le Regioni italiane. Poi scemò l’impegno di qualcuno, cominciarono le solite, immancabili gelosie ed allora decisi di “dimettermi”, con la sola piccola soddisfazione finale costituita dall’apprezzamento del direttore della branch che l’unica cosa che funzionava bene era il GTL… (effettivamente i problemi di lavoro e nel rapporto con i Libici, anche se in parte risolti, non mancavano).
Dopo un paio di mesi, arrivò il mio sostituto (un tipo alquanto sfaticato, assunto apposta in Italia per quel lavoro) e passategli accuratamente le consegne ritornai poco prima della Pasqua in Italia, dove mi attendeva l'incarico di responsabile divisionale del controllo di gestione. Ma questa è un'altra storia, ancorché per alcuni aspetti negativi (incapacità dei responsabili, inefficienze, invidie, rivalità, meschinità, nepotismi) richiami e forse superi quella libica.



***

Il nostro DG era un tipo carismatico, severo, tirchio e un po’ buzzurro, bresciano o  bergamasco. Non ero in buoni rapporti con lui, perché m’era antipatico da quando, 7 anni prima, il mio collega altoatesino col quale dividevo l’appartamentino a Milano e che era perennemente in trasferta, mi aveva raccontato che, dopo aver misurato e rilevato  topograficamente – letteralmente - mezza Arabia Saudita, in compagnia di 2 aiutanti sauditi che non parlavano né italiano né tedesco, mangiando riso con le mani in un recipiente comune e dormendo la sera dove capitava, preferibilmente sulle panche esterne degli “alberghi” nel deserto, e rischiando letteralmente di impazzire, si vide accolto dal DG, che allora era direttore centrale dei Lavori, in visita a Riad, con un atteggiamento di sufficienza.
Lo incrociai anch’io a Riad nel ‘79, dove era in visita, e per “punirlo” non lo salutai nemmeno.  

Poi in Libia – era stato promosso DG - ne apprezzai il coraggio – e glielo feci capire - perché era l’unico dirigente a venire tutti i mesi, pur essendoci dei rischi nel periodo  prima del pagamento della tangente.
Per dare un’idea del tipo, quando il direttore mi chiamò per illustrare la lettera di proposte che gli avevo lasciato sul tavolo, il DG, stranamente, pur dovendo prendere l’aereo per tornare in Italia, mi trattenne a colloquio per un’ora ed un quarto. Quando affrontammo il problema del calcio, mi disse – con tono serio - ch’egli intendeva il calcio in un solo modo: giocato soltanto di testa e con un pallone di ferro. Io non risi. Poi si accertò che non pagassimo l'integrazione dell'affitto per l’area esterna dove avevamo costruito abusivamente il campo da calcio, perché - disse - era caro. La sua tirchieria forse serviva anche a compensare i “maneggi” che - scoprii proprio in Libia – usava portare avanti con ditte "sue" bergamasche cui faceva affidare subappalti, in Italia ed all’estero.
Per inciso, aggiungo che, all’inizio, dopo che gli avevo manifestato – in silenzio, con lo sguardo - il mio apprezzamento per il suo coraggio, mi fece convocare in direzione e mi volle stringere la mano; e la mia promozione che era da un po’ di mesi in stand-by “miracolosamente” si sbloccò. 


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Terribile questa testimonianza dalla Libia. Ma come è possibile che in 30 anni non sia cambiato niente? O forse è addirittura peggiorato?

“NOI ITALIANI ABBANDONATI DALL’AMBASCIATA”
http://tv.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/gli-italiani-a-tripoli-abbandonati-dall-ambasciata/62793?video

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Libia, insorti verso Tripoli. Si combatte a Zawia
Gheddafi: "Criminali guidati da Bin Laden"

http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/24/dirette/24_febbraio_libia-12834798



DIRETTA. I ribelli hanno preso Zoara, a 100 km dalla capitale. Per Al Arabiya il Raìs è in bunker sotterraneo. Voci di un aereo pronto per la fuga. Un suo messaggio audio trasmesso dalla tv: "Al Qaeda distribuisce droga al popolo".

Berlusconi condanna (video), ma teme la reazione del Colonnello.

La Ue: "Possibili un milione e mezzo di migranti".

Maroni: non possiamo farcela da soli (video).

Preoccupazione per due docenti italiani. La Ue: "Possibili un milione e mezzo di migranti". Maroni: non possiamo farcela da soli (video).

Bengasi festeggia la liberazione dal dittatore dall'inviato PIETRO DEL RE







Tutti i video

TRIPOLI - il racconto delle attese e del rientro di dieci turisti italiani
«Noi dentro e il console fuori»
Trentadue ore nell'aeroporto di Tripoli
L'odissea degli imbarchi, tra paura e burocrazia

L'atterraggio a pratica di mare
Libia, arrivano i primi C-130 italiani
A bordo nel primo aereo circa 50 nostri connazionali
Nel secondo altri 100 italiani e diversi cittadini stranieri

DAL FORUM Di CORRIERE.IT
Tecnici , manager, specialisti, archeologi : la Rete degli italiani che cercano di partire
Gli studiosi in pieno deserto, i 280 bloccati a Misurata. I dipendenti Ericsson rientrati giovedì in Italia. Attese e odissee. Ecco i loro messaggi al Corriere e agli amici
“(…). Quello che manca, raccontano, sono le direttive dall'Italia più che la scarsa assistenza dall'Ambasciata, non la mancanza di volontà dei funzionari. Le indicazioni, ogni volta sono state di «tentare di raggiungere l'aereoporto con i propri mezzi e da lì attendere. Oppure di non uscire di casa».
«L'ambasciata non è in grado di fornire scorta o assistenza nel tragitto per l'aereoporto», spiega Adolfo che ha raccontato come da tre giorni tentano invano di entrarci. «La struttura non è presidiata dall'esercito ma da personaggi armati, non in divisa». Adolfo e i colleghi non dispongono di scorta armata ma di un semplice «driver», un libico stipendiato dall'azienda, ma niente di più (…)”.

L'Egitto siamo noi
Nel grande paese arabo si gioca una partita fondamentale. Per tutti
L'Egitto è un'occasione che perderemo. L'occasione è storica: spezzare nel più strategico paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e terrorismo - spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status dall'Occidente – che destabilizza Nordafrica e Vicino Oriente fino al Golfo e oltre.
Il successo della rivoluzione avvierebbe la transizione a un Egitto “normale”, con un potere politico legittimato dal popolo.
Dopo la scintilla tunisina, il segno che la nostra frontiera sud-orientale può cambiare. In meglio. Avvicinandosi ai nostri standard di libertà e democrazia. Cogliendo le opportunità di sviluppo perse per l'avidità delle élite postcoloniali, impegnate a coltivare le proprie rendite, indifferenti a una società giovane, esigente.
L'Italia più di qualsiasi altra nazione europea dovrebbe appassionarsi al sommovimento in corso lungo la Quarta Sponda. Chi più di noi dovrebbe interessarsi alla ricostruzione del circuito mediterraneo, destinato a intercettare la quasi totalità dei flussi commerciali fra Asia ed Europa, di cui saremmo naturalmente il centro?
A chi più che a noi conviene la graduale composizione della frattura tra le sponde Nord e Sud del “nostro mare”? O davvero pensiamo sia possibile erigere una barriera impenetrabile in mezzo al Mediterraneo?
Qualcuno pensa ancora che lo sviluppo del Sud del mondo sia una minaccia e non una formidabile risorsa per il nostro stesso sviluppo – anzi, la condizione perché non si arresti?

Diretta
Gheddafi: "Inferno per chi non mi vuole"
Il colonnello parla alla piazza a Tripoli


Libia, i ribelli prendono Misurata
Spari sulla folla a Tripoli, vittime
L'aeroporto in mano ai ribelli
La Russa: "Recuperare italiani alla fame"
"A Sud Est ci sono italiani che stanno morendo di fame. Andremo a prenderli".
L'Unione europea: sanzioni. Parigi, assalto all'ambasciata

Nigro: diario dalla capitale -  Si cercano 50mila posti letto per gli arrivi

La Russa diserta la NATO: “C’è la fiducia”
http://www.repubblica.it/politica/2011/02/25/news/la_russa_diserta_il_vertice_della_nato_mi_spiace_ma_c_il_voto_di_fiducia-12894424




Il mistero dei missili di Lampedusa di FILIPPO CECCARELLI 

http://boldrini.blogautore.repubblica.it/2011/02/crisi-nel-nord-africa-non-solo-sbarchi/

LIMES

La web-rivolta

07 marzo 2011
12:09
L'ex presidente ceco Vaclav Havel sollecita un intervento militare dell'Occidente in Libia se la guerra civile in atto proseguirà. "Se la situazione si protrarrà e Gheddafi continuerà a compiere nuovi crimini, l'intervento sarà inevitabile", ha detto Havel in dichiarazioni al quotidiano economico Hospodarske noviny (Hn) oggi. "L'intervento potrà avere forma di aiuto agli insorti, di blocco dello spazio aereo o di attacco mirato nei luoghi dove Gheddafi si nasconde", ha spiegato. "Gheddafi è come Milosevic, va eliminato anche con le armi", e invece per lui si sono aspettati quattro anni, ha detto aggiungendo che "personalmente lo consideravo un buffone, tutto il mondo lo prendeva per un clown bizzarro ma abbiamo sbagliato perche si è dimostrato che è un pazzo criminale".



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