A causa delle
avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale,
dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko
ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente.
O, meglio, di tenermi
pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di
5 al giorno) con quelli nuovi.
Post n. 512 del 20-12-14 (trasmigrato da
IlCannocchiale.it)
La cultura del ferroviere-controllore
Concetto Vecchio
19 DIC 2014
Un libro per Natale
Citazione:
“Scrive Parks, a proposito di quel terribile Paese che è oggi è diventata l'Italia:
"Una cultura di regole ambigue e di accese discussioni che non portano a
nessun risultato preciso sembra fatta apposta per indurti a assumere un
atteggiamento mentale basato sulla vendetta e il risentimento che succhia
l'energia a ogni altro settore della vita. Diventi un membro della società
nella misura in cui ti senti trattato ingiustamente, aggredito". Una
fotografia amara”.
L’autoritarismo
è la pulsione irrefrenabile del burocrate mediocre o ottuso.
La
spiegazione plausibile ce la dà il grande Fedor M. Dostoevskij ne “I Demoni”,
per bocca di Stepan Trofimovič
Verchovenskij (cito a memoria, e manco a farlo apposta parla di ferrovieri): “Tu prendi un qualunque imbecille e lo metti
dietro una scrivania a vendere biglietti ferroviari; la sua prima
preoccupazione sarà quella di ‘nous montrer son pouvoir’”.
Qual è la causa
e quale l’effetto?
Premetto
che mi riferirò in particolare agli Italiani meridionali, ma ormai – anche per
effetto della tv - c’è un’omologazione. E’ un atteggiamento culturale deteriore
che poggia, da un lato, sul sospetto che l’italiano sia un furbo e un
imbroglione; e, dall’altro, sulla convinzione che il potente possa prevaricare
sul debole.
Cultura (in senso antropologico)
Gli Italiani apprendono e fanno propria gradualmente la cultura locale, intesa ovviamente, come è ben spiegato nella voce di Wikipedia, nel suo significato antropologico, di insieme dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini della popolazione del posto: dal non buttare l’acqua sporca dal balcone, come avveniva nelle case di ringhiera a Milano negli anni ’70, o nel Sud, nel palazzo in cui abitavo, negli anni ’80-‘90) o la carta a terra, al rispettare i patti, la parola data, la fila, la buonafede del cittadino; il sì è sì, il no è no; ecc. ecc.
Gli Italiani apprendono e fanno propria gradualmente la cultura locale, intesa ovviamente, come è ben spiegato nella voce di Wikipedia, nel suo significato antropologico, di insieme dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini della popolazione del posto: dal non buttare l’acqua sporca dal balcone, come avveniva nelle case di ringhiera a Milano negli anni ’70, o nel Sud, nel palazzo in cui abitavo, negli anni ’80-‘90) o la carta a terra, al rispettare i patti, la parola data, la fila, la buonafede del cittadino; il sì è sì, il no è no; ecc. ecc.
Diseconomie esterne
Nella mia attività di piccolo imprenditore e poi di lavoratore autonomo, a Napoli, ne ho viste di tutti i colori; ed il rodaggio mi è costato parecchio, in tutti i sensi.
All’inizio della mia permanenza (ora, le cose sono migliorate), tre cose in generale m’impressionarono subito: 1) la stragrande maggioranza dei napoletani non dà la precedenza alle ambulanze; 2) non si rispettano i semafori rossi e, se tu ti fermi, dietro s’arrabbiano pure e strombazzano senza sosta; 3) il numero esorbitante di motorini che transitano pericolosamente sui marciapiedi, in mezzo alla gente.
Per le ambulanze, chiesi lumi agli amici napoletani: mi dissero che non si fermano e non le fanno passare perché gli autisti fanno i furbi per tornare prima, perché NON portano nessun paziente a bordo. Obiettai: ma come fate a saperlo? Non lo sappiamo, ma noi ragioniamo come se lo fosse, sicuri della furbizia dell’autista, che va punita… (con una severità esagerata, che è sempre un chiaro indizio di coda di paglia). Questo è (era) solo un esempio – invero eclatante – della logica stortignaccola imperante a Napoli.
Nella mia attività di piccolo imprenditore e poi di lavoratore autonomo, a Napoli, ne ho viste di tutti i colori; ed il rodaggio mi è costato parecchio, in tutti i sensi.
All’inizio della mia permanenza (ora, le cose sono migliorate), tre cose in generale m’impressionarono subito: 1) la stragrande maggioranza dei napoletani non dà la precedenza alle ambulanze; 2) non si rispettano i semafori rossi e, se tu ti fermi, dietro s’arrabbiano pure e strombazzano senza sosta; 3) il numero esorbitante di motorini che transitano pericolosamente sui marciapiedi, in mezzo alla gente.
Per le ambulanze, chiesi lumi agli amici napoletani: mi dissero che non si fermano e non le fanno passare perché gli autisti fanno i furbi per tornare prima, perché NON portano nessun paziente a bordo. Obiettai: ma come fate a saperlo? Non lo sappiamo, ma noi ragioniamo come se lo fosse, sicuri della furbizia dell’autista, che va punita… (con una severità esagerata, che è sempre un chiaro indizio di coda di paglia). Questo è (era) solo un esempio – invero eclatante – della logica stortignaccola imperante a Napoli.
Per un’induzione estrapolata dall’esperienza personale
di 15 anni, nell’intera Campania, in particolare nel napoletano, ritengo siano
davvero impressionanti il numero di volte, i Km sprecati, le centinaia di
migliaia (o milioni) di telefonate, i milioni (forse miliardi complessivamente
finora) di € che vengono buttati al vento, a causa degli appuntamenti di lavoro
non rispettati, anche più volte, anche se li si conferma prima di partire; o a
causa della sub-cultura locale, retaggio forse storico, che induce un numero
incredibile di persone (quasi tutti?) a dire sì, sono interessato, anche quando
è no, non sono interessato (è la riedizione nella vita reale di quello che avviene
nella vita onirica: il ribaltamento del significato). Può sembrare incredibile,
ma, a differenza dei Paesi civili, il rapporto di lavoro – oltre che quello
sociale – difficilmente, a Napoli, è basato sul rispetto reciproco, ma spesso
su una sorta di competizione sleale, alimentata da un sentimento di supposta
superiorità, venata talvolta di un vero e proprio “sadismo” vendicativo
compiaciuto, della serie (me l’hanno confidato): ora, io sono il martello e gli
altri l’incudine; oppure, l’han fatto a me ed io lo faccio agli altri; in una
catena diabolica infinita e costosissima.
Bugie e permalosità
Abbozzo una spiegazione, spero di riuscire a spiegarmi. Può sembrare esagerato, ma la bugia e la permalosità sono parti costitutive della natura del meridionale: la prima, strumento difensivo, è forse anch’essa retaggio storico, come il “sì” in luogo del “no”, per non inimicarsi il signorotto; la seconda, forse legata alla concezione “divina” di sé (pendant dell’ottusità), frutto della cultura dell’intolleranza e della derisione (appetto a quella del dialogo, dell’ironia e del rispetto reciproco, almeno tendenzialmente, più propriamente centro-settentrionale). Tutti i deboli e gli ottusi hanno un amor proprio malato e sono permalosissimi.
Abbozzo una spiegazione, spero di riuscire a spiegarmi. Può sembrare esagerato, ma la bugia e la permalosità sono parti costitutive della natura del meridionale: la prima, strumento difensivo, è forse anch’essa retaggio storico, come il “sì” in luogo del “no”, per non inimicarsi il signorotto; la seconda, forse legata alla concezione “divina” di sé (pendant dell’ottusità), frutto della cultura dell’intolleranza e della derisione (appetto a quella del dialogo, dell’ironia e del rispetto reciproco, almeno tendenzialmente, più propriamente centro-settentrionale). Tutti i deboli e gli ottusi hanno un amor proprio malato e sono permalosissimi.
Soluzioni
Se si facesse un’indagine comparativa tra i vari Paesi, sono sicuro
emergerebbero due fattori chiave peculiari dell’Italia: uno, di carattere
etico-normativo, sul ruolo protettivo ed orientato alla scarsa disciplina e bassa
propensione al rischio dei genitori, segnatamente della mamma, nella
costruzione della personalità dei figli; l’altro, la carente diffusione di
quello che Robert Musil sintetizza così: “La forza di un popolo è conseguenza
dello spirito giusto, e non vale l’inverso”, sostituito da una marcata
inclinazione alla lamentela.
Si dice che l'educazione è l'insegnamento sostenuto, rafforzato dall'esempio. Ne consegue che se si vuole migliorare la situazione italiana, e diffondere il buon esempio, occorre investire nell’educazione. Cominciando dalla famiglia.
Anche per esperienza empirica diretta, si comprende che, al netto del carattere, vale a dire del fattore innato, l'educazione (che è interazione con l’ambiente, in primis quello familiare) svolge un ruolo fondamentale nella costruzione della personalità e nel determinare l’etica individuale, il senso civico, la propensione al rischio, lo spirito cooperativo, il rispetto del prossimo.
Si dice che l'educazione è l'insegnamento sostenuto, rafforzato dall'esempio. Ne consegue che se si vuole migliorare la situazione italiana, e diffondere il buon esempio, occorre investire nell’educazione. Cominciando dalla famiglia.
Anche per esperienza empirica diretta, si comprende che, al netto del carattere, vale a dire del fattore innato, l'educazione (che è interazione con l’ambiente, in primis quello familiare) svolge un ruolo fondamentale nella costruzione della personalità e nel determinare l’etica individuale, il senso civico, la propensione al rischio, lo spirito cooperativo, il rispetto del prossimo.
Poi viene la scuola. L'istruzione
nei Paesi avanzati, e non solo, è una priorità, lo dovrebbe essere a maggior
ragione per l'Italia che - non avendo risorse materiali - dovrebbe investire in
capitale umano. Ostano oggi (ragionando per il futuro) due fattori: 1) la
penuria di risorse pubbliche, aggravata ora dal vincolo del pareggio di
bilancio; 2) l'inefficienza (misurabile dall'output, dai risultati: il
parametro da considerare è il livello medio), consolidata nei decenni, del
settore istruzione, che è diventato, in assenza di alternative più appetibili,
uno sbocco occupazionale per un “esercito” male retribuito, che attrae quindi
non sempre i più idonei, competenti e motivati. Il tutto aggravato
dall'insufficiente (eufemismo) cooperazione tra la scuola e la famiglia,
poiché, come spiegava tempo fa Marco Rossi Doria a Radio3-"Tutta la città
ne parla", almeno per le Elementari, “l'insegnamento è 50% didattica e 50%
alleanza insegnante-genitori”.
Invece, spesso, al posto della cooperazione, c’è una guerra: tra donne,
visto il grado di femminilizzazione del corpo insegnanti e l’evoluzione
demografica (famiglie monoparentali con figli affidati alla madre) e culturale
(una sorta di familismo amorale mammone, iper-permissivo, a-meritocratico)
della famiglia italiana, dove la figura materna la fa da padrona (il matriarcato,
almeno al Sud, esiste da secoli e non è mai scomparso; il Centro-Nord si sta
omologando).
Ed invece la cooperazione, per eliminare o almeno ridurre fortemente le disuguaglianze, dovrebbe diventare strutturale, con una divisione formale di compiti tra la famiglia, nel periodo fondamentale dalla gravidanza a 3 anni (v. il mio post linkato sotto) e la scuola (materna, elementare, ecc.) dopo i 3 anni.
Delle materie di studio deve far parte necessariamente anche l’educazione sessuale (ma è meglio parlare più semplicemente di istruzione o informazione sessuale, cominciando, come dico al 3° punto del mio progetto educativo allegato nel post linkato sotto, dalla NON repressione delle curiosità sessuali), poiché Freud – che si sa era un po’ fissato per il sesso – ravvisava una relazione tra questo e lo sviluppo intellettivo, segnatamente delle femminucce; e vincendo la ferma e costante opposizione dei genitori, addirittura anche quando essa è destinata ai genitori stessi.
Ed invece la cooperazione, per eliminare o almeno ridurre fortemente le disuguaglianze, dovrebbe diventare strutturale, con una divisione formale di compiti tra la famiglia, nel periodo fondamentale dalla gravidanza a 3 anni (v. il mio post linkato sotto) e la scuola (materna, elementare, ecc.) dopo i 3 anni.
Delle materie di studio deve far parte necessariamente anche l’educazione sessuale (ma è meglio parlare più semplicemente di istruzione o informazione sessuale, cominciando, come dico al 3° punto del mio progetto educativo allegato nel post linkato sotto, dalla NON repressione delle curiosità sessuali), poiché Freud – che si sa era un po’ fissato per il sesso – ravvisava una relazione tra questo e lo sviluppo intellettivo, segnatamente delle femminucce; e vincendo la ferma e costante opposizione dei genitori, addirittura anche quando essa è destinata ai genitori stessi.
Educazione dei figli, in
famiglia, dalla gravidanza a tre anni
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2753847.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/05/educazione-dei-figli-in-famiglia-dalla.html
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2753847.html oppure http://vincesko.blogspot.com/2015/05/educazione-dei-figli-in-famiglia-dalla.html
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