Pubblico
la lettera che ho inviato l’otto gennaio scorso al Dott. Stefano Scarpetta, Direttore Impiego, Lavoro e Affari Sociali dell’OCSE,
dopo aver letto una sua intervista rilasciata all’agenzia AGI, con una notizia
falsa-fake news-bufala sulla spesa
pensionistica italiana, la sua risposta e la mia replica.
Notizia
falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana
Da: v
8/1/2018 01:01
A: stefano.scarpetta@oecd.org CC pietro.grasso@senato.it e altri 48+600
Egr. Dott.
Scarpetta,
Innanzitutto,
ho l’obbligo di motivare la descrizione dell’oggetto. Sono anni che, per caso,
ho cominciato ad interessarmi di pensioni ed ho incrociato le analisi sulla
spesa pensionistica italiana, le critiche argomentate sui criteri di classificazione
di tale spesa, e la nonchalance con la quale queste vengono trattate.
Tali critiche sono di una tale evidenza che “normalmente” ci vorrebbero, non
dico pochi giorni, ma poche ore o perfino pochi minuti per porvi rimedio,
almeno in parte. Ed invece da anni il mondo intero, per colpa dei propalatori
di tale fake news sostanziale (tra cui l’OCSE) addita l’Italia come
spendacciona e sprecona in fatto di pensioni, ché avrebbe una spesa
pensionistica addirittura doppia della media OCSE. Capisco che forse è più
colpa di fonti autoctone che dell’OCSE (vedi appresso), ma l’OCSE è comunque
corresponsabile.
In più, in
Italia - ho scoperto con ancora maggiore sorpresa e raccapriccio - impera da
anni una DISINFORMAZIONE generale sulle riforme delle pensioni (e non solo) che
ha fatto quasi 60 milioni di vittime, per colpa di TUTTI i media, di noti
esperti, Sindacati, e di enti terzi, supposti imparziali e attendibili, quali:
ISTAT, EUROSTAT, Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), Wikipedia, Bankpedia
e, talora, lo stesso INPS, i quali hanno in buona parte o completamente
obliterato la riforma SACCONI, semplicemente chiamandola Fornero (sic!).
Incredibile, ma purtroppo vero. Trova tutte le prove documentali nel mio lungo
articolo riportato in calce[1] (inviato a centinaia di
destinatari, inclusi gli interessati).
Mi
ripromettevo di scrivere anche ad EUROSTAT e all’OCSE (all’FMI, scrissi p.c. in
occasione di un dialogo con il Dott. Carlo Cottarelli),[2] senza
soverchie speranze, se la Commissione Europea continua ad usare la formula del
Pil strutturale che essa stessa giudica inaffidabile.
Ho letto
stasera la Sua intervista all’AGI,[3] rilanciata dalla newsletter[4]
dell’On. Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera dei
Deputati, ed ho colto l’occasione per scrivere all’OCSE tramite Lei.
Traggo dalla
Sua intervista:
Citazione1:
“È una
misura necessaria anche perché in Italia la media della spesa pensionistica
rispetto al Pil è doppia rispetto alla media dell'Ocse e le aspettative di vita
sono decisamente piu' alte rispetto alla media degli altri Paesi Ocse”.
Intanto, mi
sorprende che Lei, esponente dell’OCSE, che a quanto mi risulta è l’unico Ente
che compara la spesa pensionistica al lordo e al netto delle imposte, non
accenni minimamente al fatto che, in Italia, il peso fiscale sulle pensioni è
il più alto in ambito OCSE (area, peraltro, più eterogenea dell’UE), e che il
dato relativo alla spesa al netto delle imposte dell’Italia è più basso,
comparativamente, tra 1 e 2 punti percentuali.[5]
Ma il problema
è più generale, la comparazione è inficiata alla radice, poiché – come
osservavo ad un’analoga deduzione di Carlo Cottarelli,[1] - si confrontano le
pere con le mele.
Infatti, la
spesa pensionistica italiana include (nel confronto internazionale) varie voci
spurie, che sono:
1. TFR
(1-1,5% del Pil), che è salario differito[6] e può essere
riscosso decenni prima del pensionamento;
2. un
10% di spesa assistenziale sul totale della spesa pensionistica (1,5% circa del
Pil);
3. un
peso fiscale comparativamente maggiore (la spesa pensionistica italiana è al
lordo di quasi 50 mld di imposte, che per lo Stato è una mera partita di giro:
gli assegni pensionistici sono erogati al netto);[7]
4. un
uso prolungato, a causa dell’assenza di adeguati ammortizzatori sociali (usati
negli altri Paesi), delle pensioni di anzianità appunto come ammortizzatore
sociale;
5.
infine, ad essere esaustivi, nella spesa pensionistica degli
altri Paesi andrebbero sommati gli incentivi fiscali (= minori entrate) alle
pensioni integrative (v., in particolare, la Gran Bretagna).
Al netto dei
90 mld di voci spurie, la spesa pensionistica gestioni private effettivamente
erogata è pari, al 31.12.2016, a 176,8 mld (cfr. Osservatorio INPS
sulle pensioni al 31.12.2016[7]), e l’incidenza sul Pil cala dal 16% (già
influenzato dal calo di 150 mld del denominatore a causa della lunga e grave
crisi economica) al 12%, che è inferiore al dato “lordo” previsto per il 2060,
con ampio spazio quindi almeno per introdurre due correttivi compatibili col
sistema vigente: (i) che l’adeguamento sia anche previsto in diminuzione in
caso di riduzione dell’aspettativa di vita; e (ii) che esso resti a cadenza
triennale anche dopo il 2019, quando dovrebbe diventare biennale.[7]
Per quanto
riguarda l’aspettativa di vita (al singolare nel calcolo dell’ISTAT, anche se
nella realtà ci sono aspettative di vita differenziate a seconda del reddito,
del titolo di studio, della Regione, per cui applicare il dato medio è una
misura iniqua e regressiva[8]), infatti, osservo che il comma
12ter dell’art. 12 della legge 122/2010 (riforma SACCONI, che ha introdotto il
meccanismo automatico) prescrive che l’ISTAT calcoli soltanto gli aumenti e non
anche le diminuzioni dell’aspettativa di vita.[9] Decisione
crudele e strampalata, che non è stata corretta neppure quest’anno, ma che
andrebbe corretta alla luce sia delle considerazioni precedenti, sia della
logica (concetto che spesso pare estraneo alla burocrazia al servizio
dell’oligarchia che governa il mondo), sia del risparmio realizzato e atteso
dalle riforme delle pensioni (vedi appresso).
Citazione2:
“Diciamo
che in Italia le ultime riforme, soprattutto quella più recente, hanno messo i
conti in sicurezza”.
Questo, se si
sgombra il campo dal sospetto che anche Lei obliteri la riforma SACCONI, è
smentito dalla stima fatta dalla RGS, che ascrive meno di un terzo del
risparmio di 900 mld al 2060 dalle quattro riforme dal 2004 (Maroni, il cui
‘scalone’ fu abrogato da Damiano, Damiano, Sacconi e Fornero) alla riforma
Fornero.[7]
Conclusione
In
conclusione, Egr. Dott. Scarpetta, io mi auguro che Lei – come italiano -
faccia tesoro di queste mie osservazioni e convinca il ministro uscente Padoan,
ex vice segretario generale e capo economista dell’OCSE, a farsi carico di una
forte sollecitazione all’ISTAT (secondo il Prof. Alberto Brambilla, inizio
della catena della predetta fake news)[10] perché
modifichi il criterio di classificazione della spesa pensionistica italiana
(giudicata dalla Corte dei Conti, dalla Commissione Europea e dalla BCE tra le
più sostenibili nel lungo periodo[7[), criterio che tanti danni ha arrecato e
arreca all’immagine dell’Italia e ai poveri cristi.[11]
Cordiali
saluti,
V.
___________________________________
Note:
[1]
Pensioni, la congiura del silenzio di sette noti esperti di previdenza contro
Elsa Fornero
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2859113.html oppure (se in avaria)
[2]
Lettera a Carlo Cottarelli, direttore esecutivo del FMI, sua risposta e mia
replica
[5] Gross and Net Public
Pension Expenditure (% of GDP) – 2009
(figura
6.2 pag. 171 di Pension at a Glance, e l'ultimo è riportato in OECD Pensions at
a Glance 2013)
[6] TFR Eurostat, l’OCSE e l’FMI
considerano il TFR spesa pensionistica (!).
Mentre tale non è la pensione, almeno secondo una parte
della giurisprudenza italiana – si veda la sentenza della Corte dei Conti
951/2012 http://it.wikipedia.org/wiki/Pensione - e , soprattutto, la Corte di Giustizia Europea -
si veda la sentenza nel caso della BCE “Il Tribunale dell’UE ha osservato
che i diritti pensionistici non rientrano nel concetto di “retribuzione” come
inteso nella Direttiva 91/533/CEE96 e non costituiscono pertanto un elemento
intangibile del contratto di lavoro; la BCE può quindi riformare lo schema
pensionistico senza il consenso del personale”. (pag. 96) Rapporto annuale BCE
sul 2016 http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/rapporto-bce/2016-bce/index.html -.
[7] https://www.sinistrainrete.info/spesa-pubblica/10826-vincesko-pensioni-l-estremismo-di-bankitalia-e-corte-dei-conti.html, nota[2] L’Osservatorio
statistico sulle pensioni è
stato aggiornato con i dati relativi
alle pensioni vigenti al 1° gennaio 2017 e liquidate nel 2016. Al 1° gennaio 2017 le pensioni erogate dall’INPS, con
esclusione di quelle a carico delle Gestioni Dipendenti Pubblici ed ex-ENPALS,
sono 18.029.590. Di queste, 14.114.464 sono di natura previdenziale, cioè
derivano dal versamento di contributi previdenziali, mentre le altre 3.915.126,
che comprendono invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e
assegni sociali, sono di natura assistenziale. Nel 2016 la spesa complessiva
per le pensioni è stata di 197,4 miliardi di euro, di cui 176,8 miliardi
sostenuti dalle gestioni previdenziali).
[8] Cfr. Luca
Clementi, 2011 http://www.lavoce.info/archives/26865/lausterita-vista-da-sinistra/
[9] “e lo
stesso aggiornamento non viene effettuato nel caso di diminuzione della
predetta speranza di vita” http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2010-5-31;78~art12!vig=
[10] Ho
inviato l’articolo riportato alla nota 1 anche al Prof. Alberto Brambilla,
esperto di previdenza, dopo aver letto un suo articolo pubblicato sul Corriere
della Sera e riportato dal sito di cui è presidente, Itinerari
Previdenziali. Da esso, ho scoperto una cosa che non sapevo esattamente:
che EUROSTAT riporta pari pari i dati forniti dall’ISTAT, per cui avrei dovuto
scrivere ISTAT e non EUROSTAT.
[11]
L'assassinio della verità, chi ha davvero messo le mani nelle tasche degli
Italiani e causato la grande recessione
***
RE: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa
pensionistica italiana
Da: stefano.scarpetta@oecd.org
8/1/2018 19:52
A: v CC pietro.grasso@senato.it e altri
48
Egr.
V.,
Grazie dei suoi
commenti alla mia intervista e per i dettagli che ha voluto condividere sul
computo della spesa pensionistica in Italia. Come lei forse saprà, l’OCSE
pubblica ogni due anni il suo Panorama delle Pensioni – Pensions at a
Glance – che contiene inter alia le stime sulla spesa
pensionistica – in rapporto al PIL – così come delle analisi comparative dei
sistemi pensionistici nei paesi OCSE. La nostra pubblicazione contiene tutti i
dettagli del caso sulla fonte dei dati (in generale gli istituti di statistica
dei paesi membri), le ipotesi formulate per il computo degli indicatori e delle
analisi contenute nella pubblicazione, come lei potrà facilmente verificare (http://www.oecd.org/els/public-pensions/oecd-pensions-at-a-glance-19991363.htm ). Inoltre, i nostri rapporti sono
discussi con i paesi membri nei nostri comitati e gruppi di lavoro. Se questo
non ci esime da possibili errori, dire che trattiamo con nonchalance queste
stime mi sembra quanto meno inappropriato, e questa si è una fake news.
Rispetto
alle osservazioni più dettagliate che lei avanza nel suo email, mi permetta
alcune osservazioni:
Credo
che siamo d’accordo che le riforme pensionistiche in Italia, inclusa ovviamente
le riforme Sacconi e la Fornero comporteranno nei prossimi decenni una
riduzione della spesa per pensioni sul PIL – non a caso il titolo della mia
intervista parla di conti in sicurezza ma di rischio di assegni troppo bassi. L’intervista
fa riferimento alla spesa attuale e al rischio che, se alcuni
pilastri delle recenti riforme fossero modificati, anche la spesa futura
potrebbe ridivenire non sostenibile.
Come
lei ha giustamente sottolineato, l’OCSE elabora dati sulla spesa pensionistica
pubblica rispetto al PIL in termini sia lordi e netti (Tabella
7.3 dell’ultima pubblicazione Panorama delle Pensioni). Al 2013, il
dato per l’Italia era, rispettivamente, del 16.3% (16.2% secondo Eurostat nel
2015)e del 14%. Nella mia intervista metto in rapporto queste stime con quelle
riferite alla media OCSE (8.2% e 7.6%, rispettivamente) -- e
non come erroneamente riportato in un commento alla mia intervista del
Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, alla media
europea (22 paesi europei dell’OCSE, 10% e 9.2%, rispettivamente). Quindi,
secondo i nostri dati, la spesa italiana in rapporto al PIL è quasi il
doppio di quella della media OCSE, come da me affermato nella mia intervista in
termini lordi, ma non si discosta di molto da questo rapporto neanche in
termini netti.
Rispetto
al calcolo e alle voci che lei considera spurie:
o Il TFR (0.6%
del PIL nel 2013 secondo le nostre fonti) non è incluso nel
computo della spesa pensionistica pubblica in rapporto al PIL (Tabella 4.3),
quindi la sua osservazione non è fondata rispetto alle stime OCSE.
o Rispetto
alla spesa assistenziale, i nostri dati (1.6% del PIL) sono in
linea con i suoi; questa spesa è inclusa nel computo della spesa totale
pensionistica pubblica, ma lo stesso si applica a tutti gli altri paesi;
scorporarla per l’Italia ma non per gli altri paesi falserebbe il confronto
internazionale.
o Il peso
fiscale è preso in conto nella stima della spesa al netto appunto
delle tasse sul reddito e contributi sociali. Quindi, anche se rilevante da un
punto di vista economico, da un punto di vista comparativo l’OCSE offre
entrambe le opzioni e, come sottolineato in precedenza, il confronto con la
media OCSE o dei ventidue paesi europei dell’OCSE non cambia in maniera
radicale. Occorre anche sottolineare che, come anche ricordato da Carlo
Cottarelli nel vostro lungo scambio, correggere per la maggiore pressione
fiscale in Italia rispetto ad altri paesi OCSE non è corretto senza allo stesso
tempo tener conto anche del differenziale dei servizi cui possono accedere i
pensionati italiani rispetto a quelli di altri paesi OCSE.
La
sua osservazione riguardo al fatto che il meccanismo automatico di adeguamento
dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita si dovrebbe applicare sia per
aumenti sia per riduzioni di quest’ultima è interessante, ma è un ragionamento
puramente ipotetico almeno nel contesto italiano in cui l’aspettativa di vita è
aumentata negli ultimi decenni (di sette anni negli ultimi tre decenni).
Occorre rilevare anche che l’Italia è già uno dei paesi più vecchi dell’OCSE e
che se oggi vi sono 38 persone con 65 anni o più per ogni 100 in età lavorativa
(20-64 anni), nel 2050 le stime suggeriscono 74 persone 65+ per ogni 100 in età
lavorativa. Più pertinente è a mio avviso la sua osservazione rispetto al fatto
che le aspettative di vita variano tra gruppi socioeconomici. Ed è per questo
che da anni l’OCSE, come anche rilevato Cesare Damiano, si concentra molto
sull’adeguatezza degli importi degli assegni pensionistici; in una
sua recente pubblicazione – Preventing Ageing Unequally, 2017 (http://www.oecd.org/health/preventing-ageing-unequally-9789264279087-en.htm ) mettiamo l’accento sulla necessità di un intervento
ad ampio spettro che affronti in maniera determinata le diseguaglianze nelle
opportunità offerte durante tutto l’arco di vita – scuola, salute, mercato del
lavoro – così da ridurre le sperequazioni di reddito, durante la vita
lavorativa ma anche tra i pensionati che hanno a quel punto pochi strumenti per
affrontarle.
Cordialmente
Stefano
Scarpetta
***
RE: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa
pensionistica italiana
Da: v
9/1/2018 23:50
A: stefano.scarpetta@oecd.org CC pietro.grasso@senato.it e altri 48
Egr. Dott. Scarpetta,
La ringrazio della Sua
cortese e per me utile risposta. Che merita, però, qualche ulteriore
osservazione puntuale.
Preliminarmente, debbo ribadire che io m’interesso di pensioni da qualche
anno, per caso, e che non sono affatto un esperto, anche se mi accorgo di
saperne talvolta di più di supposti tali, e inoltre puntualizzare che la mia
esperienza professionale è stata soprattutto nella veste di controller
divisionale di una grossa azienda del Gruppo IRI, dove durante tangentopoli la
manipolazione dei dati fu pratica corrente, cui mi sottrassi pagando qualche
prezzo, e scrivo questo non per proporre analogie, ma per affermare il
principio che il dato, per avere dignità di informazione, deve rappresentare
nella maniera più fedele possibile il fenomeno osservato; e, infine, che, per
impegni personali, non ho ancora avuto il tempo di leggere con la dovuta
attenzione e completezza il testo che Lei ha linkato.
Premesso questo, vengo ai punti.
1. La nonchalance riguarda principalmente le critiche ai
criteri di classificazione della spesa pensionistica fatta dall’ISTAT (e quindi
da EUROSTAT, che secondo il Prof. Alberto Brambilla, li assume pari pari,
cfr. http://www.ilpuntopensionielavoro.it/site/home/il-punto-di-vista/numeri-corretti-europa-per-tutelare-veri-pensionati.html) e in via subordinata
all’OCSE, se lo fa.
2. Che però – da ciò che Lei afferma - non rileverebbero per quanto
riguarda l’OCSE, almeno limitatamente alle prime due voci spurie,
poiché l’OCSE (a) non includerebbe, per l’Italia, il TFR; e (b) invece,
includerebbe la spesa assistenziale per tutti i 35 (?) Paesi dell’OCSE. Per EUROSTAT,
i criteri sono diversi http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Spesa-soci/Attivita_di_previsione_RGS/2013/09-appendice2-A.pdf.
Al riguardo, mi permetta di riosservare con franchezza che parlare come ha
fatto Lei per l’Italia di “spesa pensionistica del 16% sul Pil e quasi doppia
della media OCSE” costituisce comunque una fake news, dal momento
che (i) vi sono incluse voci spurie, che andrebbero perciò obbligatoriamente
detratte: il TFR e la spesa assistenziale, a nulla rilevando che lo debba fare
anche per tutti gli altri Paesi (io Le ho chiesto di farlo per l’Italia, sulla
base dell’opinione degli esperti che solo per l’Italia è inclusa la spesa
assistenziale, cosa che Lei confuta, ma senza linkare la prova diretta di
questa asserita fake news), poiché, se e vero – come Lei afferma -
che i rapporti relativi rimarrebbero pressoché invariati, questo non avverrebbe
ovviamente per il rapporto col Pil; (ii) ci deve essere un’incongruenza, poiché
il 16% è anche il rapporto secondo EUROSTAT e altri, che invece include il TFR
(che in qualche anno ha raggiunto anche l’1% sul totale); (iii) al netto di entrambe
le voci, il rapporto spesa/Pil cala di un paio di punti (e già siamo al 14% in
luogo del 16%); inoltre, (iv) quando il fenomeno osservato presenta dati molto
eterogenei, è consigliabile – che io sappia - usare la mediana in luogo della
media; infine, (v) come rafforzamento dell’obiezione precedente, desta qualche
dubbio, stante una media spesa/Pil pari all’8%, che Paesi che si collocano al
di sotto di tale media possano erogare, oltre che pensioni pubbliche di livello
congruo, anche una spesa assistenziale congrua.
3. Per quanto riguarda la terza voce spuria, il
“lordo/netto”, io mi basavo sui dati OCSE 2009 che analizzai per una
discussione nel 2015 (cfr. http://noisefromamerika.org/articolo/sintomi-cause-declino-tre-esempi, in cui riportai
osservazioni analoghe del Prof. Pizzuti e altri) e che mi diedero – li ho ora
recuperati - questi risultati limitatamente a Paesi di confronto omogeneo (come
dicevo fin dall’inizio, l’OCSE aggrega Paesi molto eterogenei): “Se si
considera la spesa pensionistica al netto delle imposte (che sono una partita
di giro), il divario tra l’Italia e gli altri Paesi cala di almeno mezzo punto
se non di uno intero; infatti, a fronte di una diminuzione di circa 2 punti
percentuali dell’Italia (dal 15,44% al 13,49%, dati 2009), gli altri Paesi
calano in media sotto il punto percentuale (ad esempio, la Francia dal 13,73%
al 12,82%, la Germania dal 11,25% al 10,86%, il Giappone dal 10,17% al 9,50% e la
Spagna dal 9,28% all’8,99%)”.
In ogni caso, come risulta dai dati INPS (vedi Osservatorio INPS
sulle pensioni nella prima email) e ovviamente dai dati RGS nel
rispetto delle regole della partita doppia, le pensioni erogate sono al netto
delle imposte, che sono una partita di giro e ascendono a quasi 50 mld;
detratte anche queste, il rapporto spesa/Pil scende al 12% circa,
sostanzialmente in linea con i Paesi di confronto UE, ed
anche considerando l’evoluzione favorevole della spesa pensionistica italiana
nel lungo periodo, grazie alle ben 7 (sette) riforme delle pensioni dal 1992,
di cui le ultime quattro produrranno, secondo l’RGS, in un arco temporale
necessariamente non breve com’è per tutte le riforme delle pensioni, un
risparmio di 900 mld al 2060, di cui meno di un terzo ascrivibile alla riforma
Fornero (cfr. https://www.sinistrainrete.info/spesa-pubblica/10826-vincesko-pensioni-l-estremismo-di-bankitalia-e-corte-dei-conti.html).
4. Nulla Lei dice, invece, per la quarta (le pensioni di
anzianità usate lungamente in Italia come ammortizzatore sociale, mentre negli
altri Paesi – vedi ad esempio la Svezia - sono stati usati e vengono usati
altri tipi di protezione sociale, che non entrano nella spesa pensionistica) e
la quinta voce spuria (incentivi fiscali alle pensioni
private, vedi in particolare GB e USA).
5. Considerare anche il “differenziale dei servizi”. Come replicai a Carlo
Cottarelli: perché no? Qualunque cosa questo significhi, fatelo. Ma, in ogni
caso, non usatelo come alibi per poter sommare e confrontare le pere
con le mele, che è un obbrobrio tecnico, inammissibile in una
materia così importante e delicata.
6. Meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita. No, a parte
l’illogicità e la crudeltà (concetti – mi sono accorto con raccapriccio -
“spuri” per la burocrazia dell’oligarchia al potere mondiale e per il Sen.
Sacconi), non è affatto ipotetico, visto che nel 2015 c’è stato un calo e ho
letto che pare ci sia stato anche nel 2017, ciononostante l’ISTAT ha calcolato
un adeguamento in più di ben 5 mesi, a valere dal 2019,
evidentemente basandosi sul sensibile aumento registrato nel 2016.
7. Dato unico. Non è solo un problema di congruità degli assegni, ma anche
di equità: la misura è regressiva, i poveri “finanziano” le pensioni dei
ricchi.
8. Infine, sull’ISTAT e l’attendibilità dei dati (Le segnalo che il Prof.
Brambilla, nell’articolo che ho linkato sopra, scrive: “Ma da dove
arrivano i dati sulla previdenza? Sono forniti dall’Istat. Ed è
l’Istat che li fornisce a Eurostat e agli altri organismi internazionali (spero
sia chiaro a tutti che né Eurostat né Ocse né Fmi hanno modelli econometrici
sull’Italia e quindi si basano sulle cifre dell’Istituto Nazionale”),
osservo che la sua (dell’ISTAT) completa obliterazione della riforma SACCONI,
fatta anche da EUROSTAT, UPB, noti esperti e, a catena, da tutti i media e da
quasi 60 milioni di Italiani, forse suggerirebbero, anche all’OCSE se non l’ha
fatto finora, atteso l’impatto mondiale dei suoi report,
soprattutto sui poveri cristi (cfr. documento riportato alla nota 11 della
prima email), una revisione dei criteri di classificazione vigenti,
affatto carenti, nella direzione sopra accennata, un utilizzo maggiormente
critico dei dati, fornendo possibilmente anche un quadro comparativo con
quelli di EUROSTAT (che utilizza la stessa fonte ma segue criteri parzialmente
diversi di classificazione) e note in calce esplicative sulla
composizione delle voci e sui delta, idonee ad un pubblico non tecnico. E
che tenga conto in futuro – almeno come conoscenza della normativa
pensionistica sottostante - della attuale, seguente situazione relativamente
all’età di pensionamento vigente e ai suoi autori.
PENSIONI ANTICIPATE (ex anzianità)
L’età delle pensioni anticipate:
- degli uomini, è aumentata dal 2010 finora di 2 anni e 10 mesi (da 40 anni
a 42 anni e 10 mesi) e, di questi, 1 anno e 10 mesi sono ascrivibili alla
riforma SACCONI (da 40 a 41 anni + 1 mese se i requisiti maturano nel 2012 o 2
mesi se i requisiti maturano nel 2013 o 3 mesi se i requisiti maturano nel
2014 http://tuttoprevidenza.it/wp-content/uploads/2014/03/Numero-30-settembre-2011.pdf) + 10 mesi a causa
dell’adeguamento automatico introdotto da SACCONI col comma 12bis dell’art. 12
della L. 122/2010 http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2010-5-31;78~art12!vig=, e soltanto 1 anno
alla riforma Fornero;
- delle donne, è aumentata di 1 anno e 10 mesi, da 40 a 41 anni nel 2010
(SACCONI) + 10 mesi a causa dell’adeguamento automatico introdotto da SACCONI,
quindi l'incremento di 1 anno e 10 mesi è interamente dovuto a SACCONI.
Dal 2019:
- l'età di pensionamento degli uomini aumenterà a 43 anni e 3 mesi, e, di
questi 3 anni e 3 mesi in più, 2 anni e 3 mesi sono pertinenti a SACCONI e
soltanto 1 anno a Fornero [rectius: 1 anno e 3 mesi, o 1 anno e 9 mesi relativamente agli autonomi, sono di Sacconi (di cui 4 mesi in media di Damiano) e 2 anni sono di Fornero o 1 anno e 6 mesi relativamente agli autonomi];
- l'età di pensionamento delle donne aumenterà a 42 anni e 3 mesi, e
l’incremento di 2 anni e 3 mesi è interamente dovuto alla riforma SACCONI [rectius: 1 anno e 3 mesi, o 1 anno e 9 mesi relativamente agli autonomi, sono di Sacconi (di cui 4 mesi in media di Damiano) e 1 anno o 6 mesi sono di Fornero].
PENSIONI DI VECCHIAIA
L’età delle pensioni di vecchiaia:
- degli uomini, è aumentata dal 2010 finora di 1 anno e 7 mesi
(da 65 a 66 anni e 7 mesi) e questo anno e 7 mesi in più sono dovuti quasi
interamente alla riforma SACCONI (4 mesi in media alla riforma Damiano,
L.247/07);
- delle donne del settore pubblico, è aumentata di botto di 6 anni e finora
da 60 a 66 anni e 7 mesi, e i 6 anni e 7 mesi in più sono ascrivibili quasi
interamente alla riforma SACCONI (tranne 4 mesi in media alla riforma Damiano);
- delle donne del settore privato, è aumentata da 60 a 66 anni e 7 mesi, e
l’allineamento a tutti gli altri, previsto dalla riforma SACCONI entro il 2026,
è stato accelerato dalla riforma Fornero entro il 2018;
- degli uomini e delle donne autonomi, la riforma Fornero ha eliminato il
disallineamento di 6 mesi in più rispetto agli altri, che era contemplato dalla
riforma SACCONI.
Dal 2019:
- l’età di pensionamento di tutti aumenterà a 67 anni, e questo ulteriore
incremento di 5 mesi è dovuto interamente all’adeguamento automatico previsto
dalla riforma SACCONI.
Ne consegue, senza ombra di dubbio, (i) che – in barba ai millanta
disinformatori che anche in questi giorni impazzano (è proprio il caso di
dirlo) su tutti i media italiani - l’età di pensionamento è stata allungata
molto più dalla riforma SACCONI che dalla riforma Fornero; (ii) che la
professoressa Fornero è una coraggiosa millantatrice e (iii) che quasi 60
milioni di Italiani sono da anni disinformati dagli ignoranti delle norme
pensionistiche e ingannati colpevolmente dagli esperti previdenziali bugiardi
che ascrivono tutto alla riforma Fornero, obliterando la ben più severa riforma
SACCONI.
Cordiali saluti,
V.
PS: Ho l’obbligo di informarLa che ho inoltrato l’inizio del nostro dialogo
ad altri destinatari, inclusi, da ultimo, il Presidente, i Vice Presidenti e i
Membri Commissari della Commissione Europea, ai quali tutti provvederò a
inoltrare anche il prosieguo.
***
Fwd: Notizia falsa, fake
news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana
Da: v
17/1/2018 21:12
A stefano.scarpetta@oecd.org CC pietro.grasso@senato.it e altri 48
Egr. Dott.
Scarpetta,
Ho letto le parti più rilevanti dal mio
punto di vista del report OCSE (http://www.oecd.org/els/public-pensions/oecd-pensions-at-a-glance-19991363.htm). Mi
permetta di aggiungere alcune osservazioni.
1. La prima osservazione che ne è emersa è
che i dati sono piuttosto vecchi: quelli più recenti, rilevanti ad esempio per
fare un confronto dei dati “lordi” e “netti”, sono del 2013 (tab. 7.3, pag.
143), cioè relativi alla fase di avviamento delle incisive riforme SACCONI
(2010 e 2011) e Fornero (2011, con decorrenza formale 2012 ma sostanziale in
termini di risparmio dal 2013 e, soprattutto, dal 2020, cfr. il rapporto RGS http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Spesa-soci/Attivita_di_previsione_RGS/2017/NARP2017-08.pdf);
mentre quelli relativi alla spesa sociale pubblica e privata sono addirittura
del 2005 (tab. 4.2, cfr. quarta osservazione).
2. La seconda osservazione riguarda il
confronto dei dati al netto delle imposte.
Il dato dell’Italia è quello che cala di
più, di ben 2,3 punti, mentre la Francia di 1,2; la Germania di 0,4; la Spagna
di 0,5; la GB di 0,2; l’Olanda di 0,5; l’Austria di 1,0; la Danimarca di 2,2;
la Svezia di 1,7; il Giappone di 0,5; gli USA di 0,5; il Canada di 0,3.
01. Greece 17,4 16,2
-1,2
02. Italy 16,3 14,0 -2,3
03. Portugal 14,0 13,0 -1,0
04. France 13,8 12,6 -1,2
05. Austria 13,4
11,4 -1,0
06. Slovenia - 11,8 11,8 -0,0
07. Spain 11,4 10,9 -0,5
08. Finland 11,1 9,2 -1,9
09. Hungary - 10,3 10,3 -0,0
10. Poland 10,3
9,3 -1,0
11. Belgium 10,2
10,2 -0,0
12. Japan 10,2 9,7 -0,5
13. Germany 10,1 9,7 -0,4
14. Czech Republic
8,7 8,7 -0,0
15. Turkey 8,1
8,1 -0,0
16. Luxembourg 8,5
7,5 -1,0
17. Latvia 7,5
7,2 -0,3
18. Slovak Republic 7,2
7,2 -0,0
19. United States 7,0
6,5 -0,5
20. Estonia 6,9 6,5 -0,4
21. Sweden 7,7 6,0 -1,7
22. United Kingdom
6,1 5,9 -0,2
23. Denmark 8,0 5,8 -2,2
24. Switzerland 6,4
5,2 -1,2
25. Netherlands 5,4
4,9 -0,5
26. New Zealand 5,1
4,4 -0,7
27. Israel - 4,9
4,9 -0,0
28. Norway
5,8 4,7 -1,1
29. Ireland 4,9
4,5 -0,4
30. Canada 4,6 4,3 -0,3
31. Australia 4,3 4,3
-0,0
32. Chile - 3,0 2,9
-0,1
33. Korea 2,6 2,6 -0,0
34. Mexico 2,3 2,3 -0,0
35. Iceland 2,0 2,0 -0,0
OECD 5 8,2
7,6 -0,6
http://www.keepeek.com/Digital-Asset-Management/oecd/social-issues-migration-health/pensions-at-a-glance-2017_pension_glance-2017-en#page=111
Rapportato alla media OCSE (7,6), il divario dell’Italia è di 6,4 punti, pari al +84,2%.
Rapportato alla media OCSE (7,6), il divario dell’Italia è di 6,4 punti, pari al +84,2%.
Rapportato al valore mediano (Latvia e
Slovacchia, 7,2), il divario è di 6,8 punti, pari al +94,4%.
Rapportato al valore mediano dei Paesi
UE (il Belgio, 10,2) il divario è di 3,8 punti, pari al +37,2%.
La terza osservazione attiene al tasso dei
contributi sociali, che includono i contributi previdenziali: col 33%, l’Italia
detiene il primato; mentre va segnalata l’Olanda (25esima nella classifica OCSE
del rapporto spesa/Pil), che presenta un dato del 4,9% per le pensioni
pubbliche e di ben il 36,9% per quelle private (tab. 7.1, pag. 141). Quanto della spesa pensionistica privata
si è tradotto in incentivi pubblici, vale a dire in minori introiti fiscali? Lo
stesso quesito riguarda - come scrivevo - altri Paesi, segnatamente la GB e gli
USA.
La quarta osservazione riguarda il
contenuto dei dati: non sono riuscito a trovare una tabella riassuntiva
esplicativa del dettaglio, analogo a quello di RGS-EUROSTAT. Dalla tab.
4.2-Composition of private social spending, riportata negli ulteriori dati (http://dx.doi.org/10.1787/220615515052),
rilevo che contro un dato privato/totale dell’Italia di 7,6, abbiamo 38,9 degli
USA, 25,1 della GB, 28,5 dell’Olanda, 27,5 della Corea, 25,1 del Canada, 29,3
della Svizzera, tutti Paesi che figurano nell’intervallo più basso del rapporto
spesa pensionistica/Pil. Per non parlare di quei Paesi, come accennavo nella
mia prima email, che avendo valori della spesa pensionistica inferiori al 5%
del Pil, hanno quasi rinunciato ad avere un welfare adeguato: “desta qualche dubbio,
stante una media spesa/Pil pari all’8%, che Paesi che si collocano al di sotto
di tale media possano erogare, oltre che pensioni pubbliche di livello congruo,
anche una spesa assistenziale congrua”.
La quinta e ultima osservazione riguarda
la previsione al 2060 della spesa pensionistica (tab.
7.5, pag. 147): chiarito, per completezza, che il dato 2010 e 2015 è
influenzato dal calo del Pil di circa 150 mld a causa della grande recessione, a
parte l’aleatorietà delle previsioni a lungo e lunghissimo termine, il dato del
13.8% nel 2060 è un dato lordo. Se defalchiamo i 2,3 punti di imposte, caliamo
a 11,5; e se sottraiamo il TFR e l’assistenza (altri 2 punti), scendiamo a 9,5.
La ringrazio
della cortese attenzione.
Cordiali saluti
V.
***
Fwd: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa
pensionistica italiana/Segnalazione errori.
Da: v
24/1/2018 10:50
A: stefano.scarpetta@oecd.org
Egr, Dott. Scarpetta,
Nella precedente
e-mail, ho dimenticato di aggiungere la segnalazione di alcuni errori contenuti
nel rapporto “Pensions at a Glance”,
nella parte relativa all’Italia, e ripresi pari pari da tutti i media
italiani.
Gli
errori sono colorati in rosso.
Panoramica
- Riforme recenti e pensionamento flessibile.
Dal 2011 [la legge è la 122 del 30.7.2010/Sacconi,
la decorrenza è dal 2013/Sacconi, ndr] esiste
un collegamento automatico tra l'età pensionabile e l'aspettativa di vita.
Dall'attuale [2016, ndr] livello di 66,6 [66 anni e 7 mesi, ndr] anni per gli uomini [e le donne del
settore pubblico, ndr] e 65,6 [65 anni e 7 mesi, ndr] anni per le donne [del settore privato, ndr], l'età pensionabile legale dovrebbe aumentare ad almeno 67 e 66,6 [67, ndr]
anni nel 2019, rispettivamente, e poi raggiungere 71,2 anni per la generazione
nata nel 1996 basato su proiezioni di aspettativa di vita. Nell'OCSE solo
Danimarca e Paesi Bassi avranno un'età pensionabile sopra 70 per la stessa
coorte di nascita del 1996, contro una media OCSE di 65,8 per gli uomini e 65,5
per le donne.
I futuri tassi
di sostituzione in Italia saranno alti per quelli a lungo permanenza in carica;
quelli con carriere irregolari o che non lavorano affatto probabilmente
dovranno affrontare un alto rischio di povertà di vecchiaia. Lo schema
pensionistico a Contributo nozionale definito (CND) darà una pensione netta uguale al 93% degli
ultimi guadagni per un lavoratore con salario medio con una carriera piena
dall'età di 20 anni. I tassi di sostituzione sono più alti solo in Olanda,
Portogallo e Turchia.
***
I coefficienti
di trasformazione sono rivisti ogni tre anni fino a quello del 2019 [che vale per il
triennio 2019-2021, ndr] e ogni due anni
a partire dal 2021 [2022, ndr].
(13 Gli adeguamenti
agli incrementi della speranza di vita successivi a quello effettuato con
decorrenza 1° gennaio 2019 sono aggiornati con cadenza biennale secondo le
modalita' previste dall'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive
modificazioni e integrazioni ((, salvo quanto previsto dal presente comma)). A
partire dalla medesima data i riferimenti al triennio, di cui al comma 12-ter
dell'articolo 12 del citato decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e
integrazioni, devono riferirsi al biennio.
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2011-12-06;201~art24!vig=).
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2011-12-06;201~art24!vig=).
***
Riporto
il messaggio che mi ha fatto inviare il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude
Juncker.
Ares(2018)733772
- R / ju-ca-01(2018)112977. RE: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla
spesa pensionistica italiana
EC ARES NOREPLY (DIGIT-NOREPLYARES@nomail.ec.europa.eu)
07/2/2018 17:27
A: v
Sent by GANGL
Robert (ECFIN) <robert.gangl@ec.europa.eu>.
All responses have to be sent to this email address.
Envoyé par GANGL
Robert (ECFIN) <robert.gangl@ec.europa.eu>.
Toutes les réponses doivent être effectuées à cette adresse électronique.
Egregio Signor V.,
Il Presidente della Commissione
europea, Jean-Claude Juncker mi ha
chiesto di ringraziarLa per la email da Lei inviata in data 8 enero.
Distinti saluti,
Philip Tod
Capo dell'unità
Relazioni inter-istituzionali e
comunicazione
Direzione generale degli affari
economici e finanziari
Commissione
europea
**********
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