martedì 23 gennaio 2018

Lettera a Stefano Scarpetta dell’OCSE sulla sua fake news sulla spesa pensionistica italiana, sua risposta e mia replica




Pubblico la lettera che ho inviato l’otto gennaio scorso al Dott. Stefano Scarpetta, Direttore Impiego, Lavoro e Affari Sociali dell’OCSE, dopo aver letto una sua intervista rilasciata all’agenzia AGI, con una notizia falsa-fake news-bufala sulla spesa pensionistica italiana, la sua risposta e la mia replica.

Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana
Da:  v
8/1/2018 01:01
A:  stefano.scarpetta@oecd.org   CC pietro.grasso@senato.it   e altri 48+600

Egr. Dott. Scarpetta,
Innanzitutto, ho l’obbligo di motivare la descrizione dell’oggetto. Sono anni che, per caso, ho cominciato ad interessarmi di pensioni ed ho incrociato le analisi sulla spesa pensionistica italiana, le critiche argomentate sui criteri di classificazione di tale spesa, e la nonchalance con la quale queste vengono trattate. Tali critiche sono di una tale evidenza che “normalmente” ci vorrebbero, non dico pochi giorni, ma poche ore o perfino pochi minuti per porvi rimedio, almeno in parte. Ed invece da anni il mondo intero, per colpa dei propalatori di tale fake news sostanziale (tra cui l’OCSE) addita l’Italia come spendacciona e sprecona in fatto di pensioni, ché avrebbe una spesa pensionistica addirittura doppia della media OCSE. Capisco che forse è più colpa di fonti autoctone che dell’OCSE (vedi appresso), ma l’OCSE è comunque corresponsabile.
In più, in Italia - ho scoperto con ancora maggiore sorpresa e raccapriccio - impera da anni una DISINFORMAZIONE generale sulle riforme delle pensioni (e non solo) che ha fatto quasi 60 milioni di vittime, per colpa di TUTTI i media, di noti esperti, Sindacati, e di enti terzi, supposti imparziali e attendibili, quali: ISTAT, EUROSTAT, Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), Wikipedia, Bankpedia e, talora, lo stesso INPS, i quali hanno in buona parte o completamente obliterato la riforma SACCONI, semplicemente chiamandola Fornero (sic!). Incredibile, ma purtroppo vero. Trova tutte le prove documentali nel mio lungo articolo riportato in calce[1] (inviato a centinaia di destinatari, inclusi gli interessati).
Mi ripromettevo di scrivere anche ad EUROSTAT e all’OCSE (all’FMI, scrissi p.c. in occasione di un dialogo con il Dott. Carlo Cottarelli),[2] senza soverchie speranze, se la Commissione Europea continua ad usare la formula del Pil strutturale che essa stessa giudica inaffidabile.
Ho letto stasera la Sua intervista all’AGI,[3] rilanciata dalla newsletter[4] dell’On. Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, ed ho colto l’occasione per scrivere all’OCSE tramite Lei.
Traggo dalla Sua intervista:
Citazione1: “È una misura necessaria anche perché in Italia la media della spesa pensionistica rispetto al Pil è doppia rispetto alla media dell'Ocse e le aspettative di vita sono decisamente piu' alte rispetto alla media degli altri Paesi Ocse”.
Intanto, mi sorprende che Lei, esponente dell’OCSE, che a quanto mi risulta è l’unico Ente che compara la spesa pensionistica al lordo e al netto delle imposte, non accenni minimamente al fatto che, in Italia, il peso fiscale sulle pensioni è il più alto in ambito OCSE (area, peraltro, più eterogenea dell’UE), e che il dato relativo alla spesa al netto delle imposte dell’Italia è più basso, comparativamente, tra 1 e 2 punti percentuali.[5]
Ma il problema è più generale, la comparazione è inficiata alla radice, poiché – come osservavo ad un’analoga deduzione di Carlo Cottarelli,[1] - si confrontano le pere con le mele.
Infatti, la spesa pensionistica italiana include (nel confronto internazionale) varie voci spurie, che sono:
1.     TFR (1-1,5% del Pil), che è salario differito[6] e può essere riscosso decenni prima del pensionamento;
2.     un 10% di spesa assistenziale sul totale della spesa pensionistica (1,5% circa del Pil);
3.     un peso fiscale comparativamente maggiore (la spesa pensionistica italiana è al lordo di quasi 50 mld di imposte, che per lo Stato è una mera partita di giro: gli assegni pensionistici sono erogati al netto);[7]
4.     un uso prolungato, a causa dell’assenza di adeguati ammortizzatori sociali (usati negli altri Paesi), delle pensioni di anzianità appunto come ammortizzatore sociale;
5.     infine, ad essere esaustivi, nella spesa pensionistica degli altri Paesi andrebbero sommati gli incentivi fiscali (= minori entrate) alle pensioni integrative (v., in particolare, la Gran Bretagna).
Al netto dei 90 mld di voci spurie, la spesa pensionistica gestioni private effettivamente erogata è pari, al 31.12.2016, a 176,8 mld (cfr. Osservatorio INPS sulle pensioni al 31.12.2016[7]), e l’incidenza sul Pil cala dal 16% (già influenzato dal calo di 150 mld del denominatore a causa della lunga e grave crisi economica) al 12%, che è inferiore al dato “lordo” previsto per il 2060, con ampio spazio quindi almeno per introdurre due correttivi compatibili col sistema vigente: (i) che l’adeguamento sia anche previsto in diminuzione in caso di riduzione dell’aspettativa di vita; e (ii) che esso resti a cadenza triennale anche dopo il 2019, quando dovrebbe diventare biennale.[7]
Per quanto riguarda l’aspettativa di vita (al singolare nel calcolo dell’ISTAT, anche se nella realtà ci sono aspettative di vita differenziate a seconda del reddito, del titolo di studio, della Regione, per cui applicare il dato medio è una misura iniqua e regressiva[8]), infatti, osservo che il comma 12ter dell’art. 12 della legge 122/2010 (riforma SACCONI, che ha introdotto il meccanismo automatico) prescrive che l’ISTAT calcoli soltanto gli aumenti e non anche le diminuzioni dell’aspettativa di vita.[9] Decisione crudele e strampalata, che non è stata corretta neppure quest’anno, ma che andrebbe corretta alla luce sia delle considerazioni precedenti, sia della logica (concetto che spesso pare estraneo alla burocrazia al servizio dell’oligarchia che governa il mondo), sia del risparmio realizzato e atteso dalle riforme delle pensioni (vedi appresso).
Citazione2: “Diciamo che in Italia le ultime riforme, soprattutto quella più recente, hanno messo i conti in sicurezza”.
Questo, se si sgombra il campo dal sospetto che anche Lei obliteri la riforma SACCONI, è smentito dalla stima fatta dalla RGS, che ascrive meno di un terzo del risparmio di 900 mld al 2060 dalle quattro riforme dal 2004 (Maroni, il cui ‘scalone’ fu abrogato da Damiano, Damiano, Sacconi e Fornero) alla riforma Fornero.[7]
Conclusione
In conclusione, Egr. Dott. Scarpetta, io mi auguro che Lei – come italiano - faccia tesoro di queste mie osservazioni e convinca il ministro uscente Padoan, ex vice segretario generale e capo economista dell’OCSE, a farsi carico di una forte sollecitazione all’ISTAT (secondo il Prof. Alberto Brambilla, inizio della catena della predetta fake news)[10] perché modifichi il criterio di classificazione della spesa pensionistica italiana (giudicata dalla Corte dei Conti, dalla Commissione Europea e dalla BCE tra le più sostenibili nel lungo periodo[7[), criterio che tanti danni ha arrecato e arreca all’immagine dell’Italia e ai poveri cristi.[11]
Cordiali saluti,
V.
___________________________________
Note:
[1] Pensioni, la congiura del silenzio di sette noti esperti di previdenza contro Elsa Fornero
[2] Lettera a Carlo Cottarelli, direttore esecutivo del FMI, sua risposta e mia replica
[5] Gross and Net Public Pension Expenditure (% of GDP) – 2009
(figura 6.2 pag. 171 di Pension at a Glance, e l'ultimo è riportato in OECD Pensions at a Glance 2013)
[6] TFR Eurostat, l’OCSE e l’FMI considerano il TFR spesa pensionistica (!).
Mentre tale non è la pensione, almeno secondo una parte della giurisprudenza italiana – si veda la sentenza della Corte dei Conti 951/2012 http://it.wikipedia.org/wiki/Pensione - e , soprattutto, la Corte di Giustizia Europea - si veda la sentenza nel caso della BCE “Il Tribunale dell’UE ha osservato che i diritti pensionistici non rientrano nel concetto di “retribuzione” come inteso nella Direttiva 91/533/CEE96 e non costituiscono pertanto un elemento intangibile del contratto di lavoro; la BCE può quindi riformare lo schema pensionistico senza il consenso del personale”. (pag. 96) Rapporto annuale BCE sul 2016 http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/rapporto-bce/2016-bce/index.html -.
[7] https://www.sinistrainrete.info/spesa-pubblica/10826-vincesko-pensioni-l-estremismo-di-bankitalia-e-corte-dei-conti.html, nota[2] L’Osservatorio statistico sulle pensioni è stato aggiornato con i dati relativi alle pensioni vigenti al 1° gennaio 2017 e liquidate nel 2016. Al 1° gennaio 2017 le pensioni erogate dall’INPS, con esclusione di quelle a carico delle Gestioni Dipendenti Pubblici ed ex-ENPALS, sono 18.029.590. Di queste, 14.114.464 sono di natura previdenziale, cioè derivano dal versamento di contributi previdenziali, mentre le altre 3.915.126, che comprendono invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, sono di natura assistenziale. Nel 2016 la spesa complessiva per le pensioni è stata di 197,4 miliardi di euro, di cui 176,8 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali).
[9]e lo stesso aggiornamento non viene effettuato nel caso di diminuzione della predetta speranza di vitahttp://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2010-5-31;78~art12!vig=
[10] Ho inviato l’articolo riportato alla nota 1 anche al Prof. Alberto Brambilla, esperto di previdenza, dopo aver letto un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera e riportato dal sito di cui è presidente, Itinerari Previdenziali. Da esso, ho scoperto una cosa che non sapevo esattamente: che EUROSTAT riporta pari pari i dati forniti dall’ISTAT, per cui avrei dovuto scrivere ISTAT e non EUROSTAT.
[11] L'assassinio della verità, chi ha davvero messo le mani nelle tasche degli Italiani e causato la grande recessione

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RE: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana
Da:  stefano.scarpetta@oecd.org
8/1/2018 19:52
A:  v   CC pietro.grasso@senato.it   e altri 48

Egr. V.,
Grazie dei suoi commenti alla mia intervista e per i dettagli che ha voluto condividere sul computo della spesa pensionistica in Italia. Come lei forse saprà, l’OCSE pubblica ogni due anni il suo Panorama delle Pensioni – Pensions at a Glance – che contiene inter alia le stime sulla spesa pensionistica – in rapporto al PIL – così come delle analisi comparative dei sistemi pensionistici nei paesi OCSE. La nostra pubblicazione contiene tutti i dettagli del caso sulla fonte dei dati (in generale gli istituti di statistica dei paesi membri), le ipotesi formulate per il computo degli indicatori e delle analisi contenute nella pubblicazione, come lei potrà facilmente verificare (http://www.oecd.org/els/public-pensions/oecd-pensions-at-a-glance-19991363.htm ). Inoltre, i nostri rapporti sono discussi con i paesi membri nei nostri comitati e gruppi di lavoro. Se questo non ci esime da possibili errori, dire che trattiamo con nonchalance queste stime mi sembra quanto meno inappropriato, e questa si è una fake news.

Rispetto alle osservazioni più dettagliate che lei avanza nel suo email, mi permetta alcune osservazioni:

       Credo che siamo d’accordo che le riforme pensionistiche in Italia, inclusa ovviamente le riforme Sacconi e la Fornero comporteranno nei prossimi decenni una riduzione della spesa per pensioni sul PIL – non a caso il titolo della mia intervista parla di conti in sicurezza ma di rischio di assegni troppo bassi.  L’intervista fa riferimento alla spesa attuale e al rischio che, se alcuni pilastri delle recenti riforme fossero modificati, anche la spesa futura potrebbe ridivenire non sostenibile.
       Come lei ha giustamente sottolineato, l’OCSE elabora dati sulla spesa pensionistica pubblica rispetto al PIL in termini sia lordi e netti (Tabella 7.3 dell’ultima pubblicazione Panorama delle Pensioni). Al 2013, il dato per l’Italia era, rispettivamente, del 16.3% (16.2% secondo Eurostat nel 2015)e del 14%. Nella mia intervista metto in rapporto queste stime con quelle riferite alla media OCSE  (8.2% e 7.6%, rispettivamente) -- e non come erroneamente riportato in un commento alla mia intervista del Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, alla media europea (22 paesi europei dell’OCSE, 10% e 9.2%, rispettivamente). Quindi, secondo i nostri dati, la spesa italiana in rapporto al PIL è quasi il doppio di quella della media OCSE, come da me affermato nella mia intervista in termini lordi, ma non si discosta di molto da questo rapporto neanche in termini netti.
       Rispetto al calcolo e alle voci che lei considera spurie:
o   Il TFR (0.6% del PIL nel 2013 secondo le nostre fonti) non è incluso nel computo della spesa pensionistica pubblica in rapporto al PIL (Tabella 4.3), quindi la sua osservazione non è fondata rispetto alle stime OCSE.
o   Rispetto alla spesa assistenziale, i nostri dati (1.6% del PIL) sono in linea con i suoi; questa spesa è inclusa nel computo della spesa totale pensionistica pubblica, ma lo stesso si applica a tutti gli altri paesi; scorporarla per l’Italia ma non per gli altri paesi falserebbe il confronto internazionale.
o   Il peso fiscale è preso in conto nella stima della spesa al netto appunto delle tasse sul reddito e contributi sociali. Quindi, anche se rilevante da un punto di vista economico, da un punto di vista comparativo l’OCSE offre entrambe le opzioni e, come sottolineato in precedenza, il confronto con la media OCSE o dei ventidue paesi europei dell’OCSE non cambia in maniera radicale. Occorre anche sottolineare che, come anche ricordato da Carlo Cottarelli nel vostro lungo scambio, correggere per la maggiore pressione fiscale in Italia rispetto ad altri paesi OCSE non è corretto senza allo stesso tempo tener conto anche del differenziale dei servizi cui possono accedere i pensionati italiani rispetto a quelli di altri paesi OCSE.

La sua osservazione riguardo al fatto che il meccanismo automatico di adeguamento dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita si dovrebbe applicare sia per aumenti sia per riduzioni di quest’ultima è interessante, ma è un ragionamento puramente ipotetico almeno nel contesto italiano in cui l’aspettativa di vita è aumentata negli ultimi decenni (di sette anni negli ultimi tre decenni). Occorre rilevare anche che l’Italia è già uno dei paesi più vecchi dell’OCSE e che se oggi vi sono 38 persone con 65 anni o più per ogni 100 in età lavorativa (20-64 anni), nel 2050 le stime suggeriscono 74 persone 65+ per ogni 100 in età lavorativa. Più pertinente è a mio avviso la sua osservazione rispetto al fatto che le aspettative di vita variano tra gruppi socioeconomici. Ed è per questo che da anni l’OCSE, come anche rilevato Cesare Damiano, si concentra molto sull’adeguatezza degli importi degli assegni pensionistici; in una sua recente pubblicazione – Preventing Ageing Unequally, 2017 (http://www.oecd.org/health/preventing-ageing-unequally-9789264279087-en.htm ) mettiamo l’accento sulla necessità di un intervento ad ampio spettro che affronti in maniera determinata le diseguaglianze nelle opportunità offerte durante tutto l’arco di vita – scuola, salute, mercato del lavoro – così da ridurre le sperequazioni di reddito, durante la vita lavorativa ma anche tra i pensionati che hanno a quel punto pochi strumenti per affrontarle.

Cordialmente
Stefano Scarpetta             

*** 

RE: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana
Da:  v
9/1/2018 23:50
A:  stefano.scarpetta@oecd.org   CC pietro.grasso@senato.it   e altri 48

Egr. Dott. Scarpetta,
La ringrazio della Sua cortese e per me utile risposta. Che merita, però, qualche ulteriore osservazione puntuale.
Preliminarmente, debbo ribadire che io m’interesso di pensioni da qualche anno, per caso, e che non sono affatto un esperto, anche se mi accorgo di saperne talvolta di più di supposti tali, e inoltre puntualizzare che la mia esperienza professionale è stata soprattutto nella veste di controller divisionale di una grossa azienda del Gruppo IRI, dove durante tangentopoli la manipolazione dei dati fu pratica corrente, cui mi sottrassi pagando qualche prezzo, e scrivo questo non per proporre analogie, ma per affermare il principio che il dato, per avere dignità di informazione, deve rappresentare nella maniera più fedele possibile il fenomeno osservato; e, infine, che, per impegni personali, non ho ancora avuto il tempo di leggere con la dovuta attenzione e completezza il testo che Lei ha linkato.
Premesso questo, vengo ai punti.
1. La nonchalance riguarda principalmente le critiche ai criteri di classificazione della spesa pensionistica fatta dall’ISTAT (e quindi da EUROSTAT, che secondo il Prof. Alberto Brambilla, li assume pari pari, cfr. http://www.ilpuntopensionielavoro.it/site/home/il-punto-di-vista/numeri-corretti-europa-per-tutelare-veri-pensionati.html) e in via subordinata all’OCSE, se lo fa.
2. Che però – da ciò che Lei afferma - non rileverebbero per quanto riguarda l’OCSE, almeno limitatamente alle prime due voci spurie, poiché l’OCSE (a) non includerebbe, per l’Italia, il TFR; e (b) invece, includerebbe la spesa assistenziale per tutti i 35 (?) Paesi dell’OCSE. Per EUROSTAT, i criteri sono diversi http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Spesa-soci/Attivita_di_previsione_RGS/2013/09-appendice2-A.pdf.
Al riguardo, mi permetta di riosservare con franchezza che parlare come ha fatto Lei per l’Italia di “spesa pensionistica del 16% sul Pil e quasi doppia della media OCSE” costituisce comunque una fake news, dal momento che (i) vi sono incluse voci spurie, che andrebbero perciò obbligatoriamente detratte: il TFR e la spesa assistenziale, a nulla rilevando che lo debba fare anche per tutti gli altri Paesi (io Le ho chiesto di farlo per l’Italia, sulla base dell’opinione degli esperti che solo per l’Italia è inclusa la spesa assistenziale, cosa che Lei confuta, ma senza linkare la prova diretta di questa asserita fake news), poiché, se e vero – come Lei afferma - che i rapporti relativi rimarrebbero pressoché invariati, questo non avverrebbe ovviamente per il rapporto col Pil; (ii) ci deve essere un’incongruenza, poiché il 16% è anche il rapporto secondo EUROSTAT e altri, che invece include il TFR (che in qualche anno ha raggiunto anche l’1% sul totale); (iii) al netto di entrambe le voci, il rapporto spesa/Pil cala di un paio di punti (e già siamo al 14% in luogo del 16%); inoltre, (iv) quando il fenomeno osservato presenta dati molto eterogenei, è consigliabile – che io sappia - usare la mediana in luogo della media; infine, (v) come rafforzamento dell’obiezione precedente, desta qualche dubbio, stante una media spesa/Pil pari all’8%, che Paesi che si collocano al di sotto di tale media possano erogare, oltre che pensioni pubbliche di livello congruo, anche una spesa assistenziale congrua.
3. Per quanto riguarda la terza voce spuria, il “lordo/netto”, io mi basavo sui dati OCSE 2009 che analizzai per una discussione nel 2015 (cfr. http://noisefromamerika.org/articolo/sintomi-cause-declino-tre-esempi, in cui riportai osservazioni analoghe del Prof. Pizzuti e altri) e che mi diedero – li ho ora recuperati - questi risultati limitatamente a Paesi di confronto omogeneo (come dicevo fin dall’inizio, l’OCSE aggrega Paesi molto eterogenei): “Se si considera la spesa pensionistica al netto delle imposte (che sono una partita di giro), il divario tra l’Italia e gli altri Paesi cala di almeno mezzo punto se non di uno intero; infatti, a fronte di una diminuzione di circa 2 punti percentuali dell’Italia (dal 15,44% al 13,49%, dati 2009), gli altri Paesi calano in media sotto il punto percentuale (ad esempio, la Francia dal 13,73% al 12,82%, la Germania dal 11,25% al 10,86%, il Giappone dal 10,17% al 9,50% e la Spagna dal 9,28% all’8,99%)”.
In ogni caso, come risulta dai dati INPS (vedi Osservatorio INPS sulle pensioni nella prima email) e ovviamente dai dati RGS nel rispetto delle regole della partita doppia, le pensioni erogate sono al netto delle imposte, che sono una partita di giro e ascendono a quasi 50 mld; detratte anche queste, il rapporto spesa/Pil scende al 12% circa, sostanzialmente in linea con i Paesi di confronto UE, ed anche considerando l’evoluzione favorevole della spesa pensionistica italiana nel lungo periodo, grazie alle ben 7 (sette) riforme delle pensioni dal 1992, di cui le ultime quattro produrranno, secondo l’RGS, in un arco temporale necessariamente non breve com’è per tutte le riforme delle pensioni, un risparmio di 900 mld al 2060, di cui meno di un terzo ascrivibile alla riforma Fornero (cfr. https://www.sinistrainrete.info/spesa-pubblica/10826-vincesko-pensioni-l-estremismo-di-bankitalia-e-corte-dei-conti.html).
4. Nulla Lei dice, invece, per la quarta (le pensioni di anzianità usate lungamente in Italia come ammortizzatore sociale, mentre negli altri Paesi – vedi ad esempio la Svezia - sono stati usati e vengono usati altri tipi di protezione sociale, che non entrano nella spesa pensionistica) e la quinta voce spuria (incentivi fiscali alle pensioni private, vedi in particolare GB e USA).
5. Considerare anche il “differenziale dei servizi”. Come replicai a Carlo Cottarelli: perché no? Qualunque cosa questo significhi, fatelo. Ma, in ogni caso, non usatelo come alibi per poter sommare e confrontare le pere con le mele, che è un obbrobrio tecnico, inammissibile in una materia così importante e delicata.
6. Meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita. No, a parte l’illogicità e la crudeltà (concetti – mi sono accorto con raccapriccio - “spuri” per la burocrazia dell’oligarchia al potere mondiale e per il Sen. Sacconi), non è affatto ipotetico, visto che nel 2015 c’è stato un calo e ho letto che pare ci sia stato anche nel 2017, ciononostante l’ISTAT ha calcolato un adeguamento in più di ben 5 mesi, a valere dal 2019, evidentemente basandosi sul sensibile aumento registrato nel 2016.
7. Dato unico. Non è solo un problema di congruità degli assegni, ma anche di equità: la misura è regressiva, i poveri “finanziano” le pensioni dei ricchi.
8. Infine, sull’ISTAT e l’attendibilità dei dati (Le segnalo che il Prof. Brambilla, nell’articolo che ho linkato sopra, scrive: “Ma da dove arrivano i dati sulla previdenza? Sono forniti dall’Istat. Ed è l’Istat che li fornisce a Eurostat e agli altri organismi internazionali (spero sia chiaro a tutti che né Eurostat né Ocse né Fmi hanno modelli econometrici sull’Italia e quindi si basano sulle cifre dell’Istituto Nazionale”), osservo che la sua (dell’ISTAT) completa obliterazione della riforma SACCONI, fatta anche da EUROSTAT, UPB, noti esperti e, a catena, da tutti i media e da quasi 60 milioni di Italiani, forse suggerirebbero, anche all’OCSE se non l’ha fatto finora, atteso l’impatto mondiale dei suoi report, soprattutto sui poveri cristi (cfr. documento riportato alla nota 11 della prima email), una revisione dei criteri di classificazione vigenti, affatto carenti, nella direzione sopra accennata, un utilizzo maggiormente critico dei dati, fornendo possibilmente anche un quadro comparativo con quelli di EUROSTAT (che utilizza la stessa fonte ma segue criteri parzialmente diversi di classificazione) e note in calce esplicative sulla composizione delle voci e sui delta, idonee ad un pubblico non tecnico. E che tenga conto in futuro – almeno come conoscenza della normativa pensionistica sottostante - della attuale, seguente situazione relativamente all’età di pensionamento vigente e ai suoi autori.
PENSIONI ANTICIPATE (ex anzianità)
L’età delle pensioni anticipate:
- degli uomini, è aumentata dal 2010 finora di 2 anni e 10 mesi (da 40 anni a 42 anni e 10 mesi) e, di questi, 1 anno e 10 mesi sono ascrivibili alla riforma SACCONI (da 40 a 41 anni + 1 mese se i requisiti maturano nel 2012 o 2 mesi se i requisiti maturano nel 2013 o 3 mesi se i requisiti maturano nel 2014 http://tuttoprevidenza.it/wp-content/uploads/2014/03/Numero-30-settembre-2011.pdf) + 10 mesi a causa dell’adeguamento automatico introdotto da SACCONI col comma 12bis dell’art. 12 della L. 122/2010 http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2010-5-31;78~art12!vig=, e soltanto 1 anno alla riforma Fornero;
- delle donne, è aumentata di 1 anno e 10 mesi, da 40 a 41 anni nel 2010 (SACCONI) + 10 mesi a causa dell’adeguamento automatico introdotto da SACCONI, quindi l'incremento di 1 anno e 10 mesi è interamente dovuto a SACCONI.
Dal 2019:
- l'età di pensionamento degli uomini aumenterà a 43 anni e 3 mesi, e, di questi 3 anni e 3 mesi in più, 2 anni e 3 mesi sono pertinenti a SACCONI e soltanto 1 anno a Fornero [rectius1 anno e 3 mesi, o 1 anno e 9 mesi relativamente agli autonomi, sono di Sacconi (di cui 4 mesi in media di Damiano) e 2 anni sono di Fornero o 1 anno e 6 mesi relativamente agli autonomi];
- l'età di pensionamento delle donne aumenterà a 42 anni e 3 mesi, e l’incremento di 2 anni e 3 mesi è interamente dovuto alla riforma SACCONI [rectius: 1 anno e 3 mesi, o 1 anno e 9 mesi relativamente agli autonomi, sono di Sacconi (di cui 4 mesi in media di Damiano) e 1 anno o 6 mesi sono di Fornero].
PENSIONI DI VECCHIAIA
L’età delle pensioni di vecchiaia:
- degli uomini, è aumentata dal 2010 finora di 1 anno e 7 mesi (da 65 a 66 anni e 7 mesi) e questo anno e 7 mesi in più sono dovuti quasi interamente alla riforma SACCONI (4 mesi in media alla riforma Damiano, L.247/07);
- delle donne del settore pubblico, è aumentata di botto di 6 anni e finora da 60 a 66 anni e 7 mesi, e i 6 anni e 7 mesi in più sono ascrivibili quasi interamente alla riforma SACCONI (tranne 4 mesi in media alla riforma Damiano);
- delle donne del settore privato, è aumentata da 60 a 66 anni e 7 mesi, e l’allineamento a tutti gli altri, previsto dalla riforma SACCONI entro il 2026, è stato accelerato dalla riforma Fornero entro il 2018;
- degli uomini e delle donne autonomi, la riforma Fornero ha eliminato il disallineamento di 6 mesi in più rispetto agli altri, che era contemplato dalla riforma SACCONI.
Dal 2019:
- l’età di pensionamento di tutti aumenterà a 67 anni, e questo ulteriore incremento di 5 mesi è dovuto interamente all’adeguamento automatico previsto dalla riforma SACCONI.
Ne consegue, senza ombra di dubbio, (i) che – in barba ai millanta disinformatori che anche in questi giorni impazzano (è proprio il caso di dirlo) su tutti i media italiani - l’età di pensionamento è stata allungata molto più dalla riforma SACCONI che dalla riforma Fornero; (ii) che la professoressa Fornero è una coraggiosa millantatrice e (iii) che quasi 60 milioni di Italiani sono da anni disinformati dagli ignoranti delle norme pensionistiche e ingannati colpevolmente dagli esperti previdenziali bugiardi che ascrivono tutto alla riforma Fornero, obliterando la ben più severa riforma SACCONI.
Cordiali saluti,
V.
PS: Ho l’obbligo di informarLa che ho inoltrato l’inizio del nostro dialogo ad altri destinatari, inclusi, da ultimo, il Presidente, i Vice Presidenti e i Membri Commissari della Commissione Europea, ai quali tutti provvederò a inoltrare anche il prosieguo.

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Fwd: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana
Da:  v
17/1/2018 21:12
A  stefano.scarpetta@oecd.org   CC pietro.grasso@senato.it   e altri 48

Egr. Dott. Scarpetta,
Ho letto le parti più rilevanti dal mio punto di vista del report OCSE (http://www.oecd.org/els/public-pensions/oecd-pensions-at-a-glance-19991363.htm). Mi permetta di aggiungere alcune osservazioni.
1. La prima osservazione che ne è emersa è che i dati sono piuttosto vecchi: quelli più recenti, rilevanti ad esempio per fare un confronto dei dati “lordi” e “netti”, sono del 2013 (tab. 7.3, pag. 143), cioè relativi alla fase di avviamento delle incisive riforme SACCONI (2010 e 2011) e Fornero (2011, con decorrenza formale 2012 ma sostanziale in termini di risparmio dal 2013 e, soprattutto, dal 2020, cfr. il rapporto RGS http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--i/Spesa-soci/Attivita_di_previsione_RGS/2017/NARP2017-08.pdf); mentre quelli relativi alla spesa sociale pubblica e privata sono addirittura del 2005 (tab. 4.2, cfr. quarta osservazione).
2. La seconda osservazione riguarda il confronto dei dati al netto delle imposte.
Il dato dell’Italia è quello che cala di più, di ben 2,3 punti, mentre la Francia di 1,2; la Germania di 0,4; la Spagna di 0,5; la GB di 0,2; l’Olanda di 0,5; l’Austria di 1,0; la Danimarca di 2,2; la Svezia di 1,7; il Giappone di 0,5; gli USA di 0,5; il Canada di 0,3.
01. Greece                     17,4  16,2  -1,2
02. Italy                         16,3  14,0  -2,3
03. Portugal                  14,0  13,0  -1,0
04. France                     13,8  12,6  -1,2
05. Austria                    13,4  11,4  -1,0
06. Slovenia -                11,8  11,8   -0,0
07. Spain                       11,4  10,9   -0,5
08. Finland                    11,1    9,2  -1,9
09. Hungary -               10,3  10,3   -0,0
10. Poland                     10,3    9,3  -1,0
11. Belgium                   10,2  10,2  -0,0
12. Japan                       10,2    9,7   -0,5
13. Germany                10,1    9,7   -0,4
14. Czech Republic        8,7    8,7  -0,0
15. Turkey                       8,1    8,1   -0,0
16. Luxembourg            8,5    7,5   -1,0
17. Latvia                       7,5    7,2   -0,3
18. Slovak Republic      7,2    7,2   -0,0
19. United States             7,0    6,5   -0,5
20. Estonia                      6,9    6,5  -0,4
21. Sweden                     7,7    6,0   -1,7
22. United Kingdom      6,1    5,9   -0,2
23. Denmark                  8,0    5,8   -2,2
24. Switzerland               6,4    5,2   -1,2
25. Netherlands             5,4    4,9   -0,5
26. New Zealand             5,1    4,4   -0,7
27. Israel -                       4,9    4,9   -0,0
28. Norway                     5,8    4,7   -1,1
29. Ireland                     4,9    4,5   -0,4
30. Canada                      4,6    4,3   -0,3
31. Australia                   4,3    4,3   -0,0
32. Chile -                       3,0    2,9   -0,1
33. Korea                        2,6    2,6   -0,0
34. Mexico                      2,3    2,3   -0,0
35. Iceland                      2,0    2,0   -0,0
OECD 5                          8,2    7,6   -0,6
Rapportato al valore mediano (Latvia e Slovacchia, 7,2), il divario è di 6,8 punti, pari al +94,4%.
Rapportato al valore mediano dei Paesi UE (il Belgio, 10,2) il divario è di 3,8 punti, pari al +37,2%.
La terza osservazione attiene al tasso dei contributi sociali, che includono i contributi previdenziali: col 33%, l’Italia detiene il primato; mentre va segnalata l’Olanda (25esima nella classifica OCSE del rapporto spesa/Pil), che presenta un dato del 4,9% per le pensioni pubbliche e di ben il 36,9% per quelle private (tab. 7.1, pag. 141). Quanto della spesa pensionistica privata si è tradotto in incentivi pubblici, vale a dire in minori introiti fiscali? Lo stesso quesito riguarda - come scrivevo - altri Paesi, segnatamente la GB e gli USA.
La quarta osservazione riguarda il contenuto dei dati: non sono riuscito a trovare una tabella riassuntiva esplicativa del dettaglio, analogo a quello di RGS-EUROSTAT. Dalla tab. 4.2-Composition of private social spending, riportata negli ulteriori dati (http://dx.doi.org/10.1787/220615515052), rilevo che contro un dato privato/totale dell’Italia di 7,6, abbiamo 38,9 degli USA, 25,1 della GB, 28,5 dell’Olanda, 27,5 della Corea, 25,1 del Canada, 29,3 della Svizzera, tutti Paesi che figurano nell’intervallo più basso del rapporto spesa pensionistica/Pil. Per non parlare di quei Paesi, come accennavo nella mia prima email, che avendo valori della spesa pensionistica inferiori al 5% del Pil, hanno quasi rinunciato ad avere un welfare adeguato: “desta qualche dubbio, stante una media spesa/Pil pari all’8%, che Paesi che si collocano al di sotto di tale media possano erogare, oltre che pensioni pubbliche di livello congruo, anche una spesa assistenziale congrua.
La quinta e ultima osservazione riguarda la previsione al 2060 della spesa pensionistica (tab. 7.5, pag. 147): chiarito, per completezza, che il dato 2010 e 2015 è influenzato dal calo del Pil di circa 150 mld a causa della grande recessione, a parte l’aleatorietà delle previsioni a lungo e lunghissimo termine, il dato del 13.8% nel 2060 è un dato lordo. Se defalchiamo i 2,3 punti di imposte, caliamo a 11,5; e se sottraiamo il TFR e l’assistenza (altri 2 punti), scendiamo a 9,5.
La ringrazio della cortese attenzione.
Cordiali saluti
V.

***

Fwd: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana/Segnalazione errori.
Da:  v
24/1/2018  10:50
A:  stefano.scarpetta@oecd.org  

Egr, Dott. Scarpetta,
Nella precedente e-mail, ho dimenticato di aggiungere la segnalazione di alcuni errori contenuti nel rapporto “Pensions at a Glance”, nella parte relativa all’Italia, e ripresi pari pari da tutti i media italiani.
Gli errori sono colorati in rosso.
Panoramica - Riforme recenti e pensionamento flessibile.
Dal 2011 [la legge è la 122 del 30.7.2010/Sacconi, la decorrenza è dal 2013/Sacconi, ndr] esiste un collegamento automatico tra l'età pensionabile e l'aspettativa di vita. Dall'attuale [2016, ndr] livello di 66,6 [66 anni e 7 mesi, ndr] anni per gli uomini [e le donne del settore pubblico, ndr] e 65,6 [65 anni e 7 mesi, ndr] anni per le donne [del settore privato, ndr], l'età pensionabile legale dovrebbe aumentare ad almeno 67 e 66,6 [67, ndr] anni nel 2019, rispettivamente, e poi raggiungere 71,2 anni per la generazione nata nel 1996 basato su proiezioni di aspettativa di vita. Nell'OCSE solo Danimarca e Paesi Bassi avranno un'età pensionabile sopra 70 per la stessa coorte di nascita del 1996, contro una media OCSE di 65,8 per gli uomini e 65,5 per le donne.
I futuri tassi di sostituzione in Italia saranno alti per quelli a lungo permanenza in carica; quelli con carriere irregolari o che non lavorano affatto probabilmente dovranno affrontare un alto rischio di povertà di vecchiaia. Lo schema pensionistico a Contributo nozionale definito (CND)  darà una pensione netta uguale al 93% degli ultimi guadagni per un lavoratore con salario medio con una carriera piena dall'età di 20 anni. I tassi di sostituzione sono più alti solo in Olanda, Portogallo e Turchia.

***

I coefficienti di trasformazione sono rivisti ogni tre anni fino a quello del 2019 [che vale per il triennio 2019-2021, ndr] e ogni due anni a partire dal 2021 [2022, ndr].
(13 Gli adeguamenti agli incrementi della speranza di vita successivi a quello effettuato con decorrenza 1° gennaio 2019 sono aggiornati con cadenza biennale secondo le modalita' previste dall'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni ((, salvo quanto previsto dal presente comma)). A partire dalla medesima data i riferimenti al triennio, di cui al comma 12-ter dell'articolo 12 del citato decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni, devono riferirsi al biennio.
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2011-12-06;201~art24!vig=).

***

Riporto il messaggio che mi ha fatto inviare il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker.

Ares(2018)733772 - R / ju-ca-01(2018)112977. RE: Notizia falsa, fake news, bufala dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana
EC ARES NOREPLY (DIGIT-NOREPLYARES@nomail.ec.europa.eu)
07/2/2018  17:27
A:  v


Sent by GANGL Robert (ECFIN) <robert.gangl@ec.europa.eu>. All responses have to be sent to this email address.
Envoyé par GANGL Robert (ECFIN) <robert.gangl@ec.europa.eu>. Toutes les réponses doivent être effectuées à cette adresse électronique.

Egregio Signor V.,
Il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker mi ha chiesto di ringraziarLa per la email da Lei inviata in data 8 enero.

Distinti saluti,

Philip Tod

Capo dell'unità
Relazioni inter-istituzionali e comunicazione
Direzione generale degli affari economici e finanziari

Commissione europea


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