Nello scorso mese di giugno
inviai una lunga Lettera alla Commissaria europea Margrethe Vestager sui
pregiudizi sull’Italia [1 o 2]. Alla
quale è seguita la risposta della Direzione Generale Affari Economici e
Finanziari della Commissione Europea, anche per conto della Commissaria
Vestager [1 o 2] e la mia replica [1 o 2]. E poi la seconda
risposta della DG Affari Economici [1 o 2] e la
mia seconda replica [1 o 2]. Oggi, con un po’ di ritardo perché sono stato impegnato a revisionare il mio saggio e con altre lettere che via via pubblicherò qua, pubblico la terza risposta
della DG Affari economici, alla quale ho deciso di non replicare.
Bruxelles, 8 ottobre 2019
ECFIN.DDG1.G.3/AM
Egregio signor V.,
Le scrivo in risposta alla
sua lettera inviata lo scorso 9 settembre.
Riguardo il suo primo punto,
non è corretto parlare di “Diktat UE”. Come evidenziato nella mia prima risposta,
le regole fiscali europee sono il risultato di un lungo processo, che ha coinvolto
tutti gli Stati Membri e il Parlamento Europeo nel suo ruolo di co-legislatore.
L’Italia non solo ne ha sottoscritto gli esiti, ma è stata parte attiva durante
tutto il processo. L’applicazione delle regole è stata a sua volta un processo inclusivo
in cui si è fatto uso di tutti i margini di flessibilità previsti per tenere conto
delle peculiarità della situazione dell’Italia. Seppure le regole fiscali esistenti
sono certamente migliorabili, e come già accennavo un processo di revisione è in
corso, non è possibile polarizzare un’opposizione “Italia-UE”, dal momento che il
contesto normativo e le decisioni assunte a livello europeo sono il frutto di un
processo collettivo di cui l’Italia fa parte.
Sono d’accordo con Lei che
l’alto livello dei tassi di interesse sui titoli sovrani italiani degli ultimi anni,
e in particolare il picco registrato nei 12 mesi a cavallo tra 2018 e 2019, non
sono giustificati solo sulla base dei fondamentali macroeconomici del paese. L’economia
italiana, come spesso evidenziato nei rapporti della Commissione, è certamente solida,
nonostante alcune debolezze strutturali e gli effetti negativi della crisi economica.
Tra gli indicatori rilevanti figurano il saldo commerciale positivo e il basso livello
del debito privato, da Lei menzionato nella sua lettera di giugno. Ciononostante,
l’elevato livello di debito pubblico insieme alla persistente bassa crescita dell’economia
si riflettono in un’alta sensibilità degli investitori. In questo senso, una politica
fiscale prudente unita a un ambizioso programma di riforme contribuirebbe a ridurre
i tassi d’interesse, alleviando la pressione sulle finanze pubbliche in un circolo
virtuoso. Naturalmente, come Lei rileva, una comunicazione istituzionale accorta
è a sua volta importante per preservare la fiducia degli investitori, soprattutto
per quanto riguarda questioni cruciali quanto l’appartenenza dell’Italia all’unione
monetaria.
La definizione di spesa pubblica
per pensioni in Italia è la stessa utilizzata a livello europeo, e in particolare
nell’ambito del gruppo di lavoro sugli effetti dell’invecchiamento demografico costituito
presso il Comitato di politica economica del Consiglio. Detto ciò, è certamente
vero che l’alta spesa pensionistica in Italia ha tradizionalmente supplito a una
carenza di trasferimenti e sostegni sociali di altro tipo, così come è vero che
le riforme del sistema pensionistico introdotte negli ultimi anni ne hanno notevolmente
migliorato la sostenibilità di medio e lungo periodo. Ciononostante, non va a benefìcio
della crescita economica il fatto che, in proporzione alla spesa pubblica totale,
la porzione di spesa pensionistica abbia continuato a salire negli ultimi anni,
mentre altre voci di spesa più orientate al futuro, come l’istruzione e la ricerca,
sono diminuite.
Riguardo la sua gentile proposta
di inviarmi il suo libro in omaggio, La ringrazio e confermo che l’indirizzo postale
ed e-mail da Lei indicato è corretto.
Vorrei anche informarla che
questa risposta esaurisce il nostro scambio su questi argomenti.
Con i migliori saluti.
Alienor MARGERIT
La Capounità
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