giovedì 19 dicembre 2019

Lettera a Regina Krieger e Frank Wiebe di Handelsblatt sui pregiudizi verso l'Italia, l'ignoranza dei dati e i furbi stupidi o intelligenti



Lettera a Regina Krieger e Frank Wiebe di Handelsblatt dopo la loro intervista al Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco
martedì 10 dicembre 2019 - 15:47

ALLA SIGNORA REGINA KRIEGER E AL SIGNOR FRANK WIEBE
CC: PdR, Presidenti Senato e Camera, PdC Conte, Cancelliera Merkel, Governatore Ignazio Visco, Direttore Handelsblatt, Parlamentari italiani ed europei, Commissione Europea, Media, Altri

Egregi Signora Regina Krieger e Signor Frank Wiebe,
Mi permetto di fare alcune osservazioni – da cittadino europeo - alla Vostra lunga ed equilibrata intervista (de) al Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, scusandomi della lunghezza.
1. L’Italia ha vari difetti, che anche io critico severamente: una Pubblica Amministrazione inefficiente, una classe dirigente non sempre adeguata, un livello etico insufficiente in una quota non trascurabile della popolazione e che riceve scarsa sanzione sociale e spesso civile e penale a causa dell’inefficienza dell’apparato giudiziario, il fardello del Sud, molto poco e male affrontato: in Germania Est, con 1.250-1.500 miliardi nel periodo 1991-2003, sono stati spesi in 15 anni – pari a 96-115 miliardi annui - dieci volte tanto di quanto è stato speso in 40 anni per l’Italia del Sud – 145 miliardi, pari a 3,6 miliardi annui (Gian Antonio Stella, “Lo spreco”), con un utilizzo soltanto parziale dei finanziamenti europei anche per la difficoltà di copertura, dati i vincoli UE, del 50% di quota nazionale, l’allogazione inefficiente, sprechi e malversazioni delle risorse. Ma temo che sia anche vittima sia di pregiudizi, sia di ignoranza dei dati, in particolare dei disinformatissimi Tedeschi tenuti nell’ignoranza dai loro dirigenti e dai loro media, sia di un doppio standard nell’applicazione delle regole da parte della Commissione Europea a trazione tedesca (peraltro, attestato dalla Corte dei Conti UE relativamente ai salvataggi). I pregiudizi contro l’Italia sono alimentati dalla nomea degli Italiani di essere furbi. Ma gli Italiani, a mio parere, sono furbi stupidi, che coltivano una scarsa autostima come popolo e scaricano i loro sensi di colpa su altri Italiani; mentre i Tedeschi e gli Olandesi sono furbi intelligenti, che coltivano un’alta autostima come popolo e scaricano i loro sensi di colpa sugli altri popoli, in particolare sugli Italiani (si veda appresso). Gli Olandesi hanno molte qualità, ma sulla loro furbizia e spregiudicatezza è sufficiente, adesso, richiamare il loro essere un paradiso fiscale nel cuore dell’Europa. E ciò che ne scrive Adam Smith ne “La Ricchezza delle Nazioni” (nel libro IV-Delle colonie), a proposito del loro comportamento sleale e bulimico nei confronti dei Portoghesi, sia nel caso dell’occupazione del Brasile (poi ricacciati dai Portoghesi, arrabbiati per il loro mancato rispetto dell’accordo generoso di spartizione), sia nell’espansione in Asia (in cui riuscirono a cacciare i Portoghesi). Nessuno è perfetto. Neppure gli egoisti e arroganti Tedeschi (per il giudizio di arroganti mi rifaccio a Primo Levi), come essi sanno benissimo intimamente a giudicare dalla loro spietatezza esagerata verso gli altri popoli (l’esagerazione è sempre un indizio infallibile di senso di colpa).

Fatta questa debita premessa, Vi segnalo alcuni dati – ignorati da (quasi) tutti nel mondo, inclusi i Tedeschi, incluso Handelsblatt (si veda il poscritto) - relativi al periodo cruciale della crisi economica (2010-12), particolarmente grave nei ‘Piigs’, utili per comprendere la situazione e i nessi  causali e verificare quanto ho appena affermato sugli egoismi nazionali e sui pregiudizi, in particolare dei Paesi Membri UE del Nord, cominciando dal deficit/Pil per poi passare al debito/Pil.

2. Il Commissario Moscovici ha affermato che le regole UE sono intelligenti e favoriscono la crescita. Le regole sono talmente intelligenti e favoriscono la crescita che lui, quando è stato ministro dell’Economia francese, le ha, analogamente ai suoi colleghi francesi, bellamente violate, complessivamente per 9 anni consecutivi (12 sui 17 dall’introduzione fisica dell’Euro, 2002), con uno sforamento totale del limite del 3% deficit/Pil dal 2007 al 2016 pari a 15 punti percentuali; la Spagna ha sforato anch’essa per 9 anni consecutivi, con uno sforamento totale pari a 40,2 punti percentuali; l’Italia per 3 anni, con uno sforamento totale pari a 4 punti percentuali.
Sulle politiche fiscali divergenti dei Paesi UE, questa tabella dell’EUROSTAT è più eloquente di tante parole:
Tabella n. 4 - EUROSTAT – Deficit/Pil
PAESE
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
Italia
-1,5
-2,7
-5,3
-4,2
-3,5
-2,9
-2,9
-3,0
-2,6
-2,4
Francia
-2,5
-3,2
-7,2
-6,8
-5,1
-4,8
-4,0
-4,0
-3,5
-3,4
Spagna
+2,0
-4,4
-11,0
-9,4
-9,6
-10,4
-6,9
-5,9
-5,1
-4,5
Gran Br.
+0,2
+0,2
-10,7
-9,6
-7,7
-8,3
-5,6
-5,6
-4,4
-3,0
Germania
+0,2
-0,2
-3,2
-4,2
-1,0
-0,1
-0,1
+0,3
+0,7
+0,8
Olanda
+0,2
+0.2
-5,4
-5,0
-4,3
-3,9
-2,4
-2,3
-2,1
+0,4
Grecia
-6,7
-10,2
-15,1
-11,2
-10,3
-8,9
-13,1
-3,7
-5,9
+0,7
Irlanda
+0,3
-7,0
-13,8
-32,1
-12,6
-8,0
-5,7
-3,7
-2,0
-0,6
Portogallo
-3,0
-3,8
-9,8
-11,2
-7,4
-5,7
-4,8
-7,2
-4,4
-2,0
(Fonte: EUROSTAT)
E’, perciò, davvero difficile poter sostenere tranquillamente, come hanno fatto finora la Commissione Europea e il suo staff, imitati dai popoli europei del Nord, che «L’Italia è lo Stato Membro che ha più beneficiato delle clausole di flessibilità previste dal braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita», in presenza dei seguenti dati relativi allo sforamento complessivo del parametro del 3% deficit/Pil nel periodo 2007-2016 che si ricavano dalla tabella: Irlanda 55,2%, per 7 anni; Grecia 54,4%, per 9 anni; Spagna 40,2%, per 9 anni; Portogallo 29,3%, per 8 anni; Francia 15%, per 9 anni; (Gran Bretagna 24,2%, per 7 anni); Italia 4%, per 3 anni. E’, in parte, un altro frutto velenoso del pregiudizio e dello scarso rispetto verso l’Italia, paragonata dal presidente Juncker alla Grecia.

La Francia, assieme alla Germania, lo aveva già violato nel 2003, oltre che nel 2002, per giunta impedendo alla Commissione Prodi di applicare la relativa sanzione. Cioè sono stati più gli anni che l’ha violato che quelli che l’ha rispettato, senza subire alcuna sanzione. Eh, ma si sa, come ha detto il presidente Juncker, la Francia è la Francia (sic!).
3. Ma, si obietta, l’Italia ha un alto debito pubblico. Questa accusa proviene in primo luogo dalla Germania, che come è noto definisce con la stessa parola, schuld, debito e colpa. Forse perché, dal 1800, la Germania ha fatto ben 8 volte default o ristrutturazione del debito (“This Time is Different”, pag. 99, Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart). L’Italia quasi mai, tranne una parziale ristrutturazione del debito dopo la I Guerra Mondiale. Dopo la II Guerra Mondiale, ci ha pensato l’inflazione, ma anche l’Italia (assieme alla Grecia e ad altri 19 Paesi), decise generosamente di condonare il 50% del debito tedesco e di dilazionare il resto in 30 anni, successivamente ulteriormente tagliato. Nel 2012, l’Italia ha regolarmente pagato interessi sul debito pubblico per 86 mld, ora ne paga regolarmente 65 (soltanto per il 5% circa vanno alle famiglie) su un ammontare di debito cresciuto di 500 miliardi (da 1.900 a 2.400, al lordo dei 58 miliardi dei “sostegni” agli altri Paesi UE e di 55 miliardi di “disponibilità liquide del Tesoro”) e – peraltro potendo contare anche su una ricchezza privata netta di 9.000 miliardi - non ha mai chiesto ad altri di pagarli o aiuto per pagarli.
4. Includendo il debito “sotto il tappeto”, il rapporto debito pubblico/Pil della Germania e dell’Olanda (2016), abituali censori dell’Italia ed in particolare del suo debito pubblico, sale, rispettivamente, al 172% e al 173%, poco sotto quello dell’Italia, che si attesta al 180% (con un denominatore, il Pil, che ha subito un calo di 170 miliardi a causa della politica economica prociclica imposta dall’UE).
5. Considerando anche il debito privato (dati OCSE), parametro altrettanto importante del debito pubblico e che andrebbe inserito nei parametri UE, la situazione dell’Italia (172,5 per cento del Pil) è migliore della Spagna (207,9), della Francia (233,9) e, soprattutto, dell’Olanda (261,3), uno dei maggiori censori abituali dell’Italia, in particolare del suo debito pubblico.

6. Il rapporto debito/Pil della Francia è quasi il 100%, ben oltre il limite del 60% del trattato di Maastricht. In valore assoluto è uguale a quello italiano, ma paga la metà in spesa per interessi rispetto al Pil anche grazie al tasso dinteresse molto più basso, potendo beneficiare, fin dallo SME, dello scudo finanziario della Germania, alla quale in cambio fa da chaperon (come si è visto anche dal comportamento inaccettabile del Commissario francese Moscovici). Il debito totale pubblico e privato francese è molto più alto di quello italiano. Ha un disavanzo della bilancia commerciale. Ha una spesa pensionistica fuori controllo, infatti solo ora la sta faticosamente riformando, mentre l’Italia ha fatto, rispettivamente 9 anni e mezzo e 8 anni fa, ben due riforme severe: SACCONI (2010 e 2011), soprattutto, e Fornero (2011), il che, a giudizio della Commissione Europea e perfino di Centri Studi tedeschi, ha reso il debito pubblico italiano il più sostenibile nel lungo periodo.
7. Il mercato finanziario è fatto di investitori e di speculatori. C’è un articolo del Sole 24 ore (il principale giornale economico italiano), che spiega che quando ci sono turbolenze i trader la prima cosa che fanno, appena accendono il computer, vendono BTP, facendo crescere lo spread. Non è estraneo a questo la cacofonia strumentale dei Commissari UE, oltre che dei media italiani (!), strano fenomeno, quest’ultimo, peculiare forse soltanto dell’Italia. Ovviamente senza che la BCE o la Banca d’Italia possano intervenire a calmierare lo spread.
8. Da 28 anni (tranne il 2009, culmine della crisi economica), come conferma la Banca d’Italia dal 2000, l’Italia fa registrare un avanzo primario (entrate meno uscite, esclusa la spesa per interessi), talvolta consistente, in totale (%) maggiore di quello della Germania. Questo vuol dire che il debito pubblico cresce esclusivamente per colpa della spesa per interessi passivi.

9. Ed anche perché l’Italia, che ha un ammontare di debito pubblico più o meno equivalente a quelli francese e tedesco, paga un tasso d’interesse medio doppio di quello francese e triplo di quello tedesco, ingiustificati in base ai fondamentali economici (avanzo primario, sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo, saldo positivo delle partite correnti, debito estero e totale pubblico e privato). E maggiore del tasso di crescita, compresso dalla politica economica restrittiva imposta in piena crisi economica per vari anni dall’UE, il che, in un circolo vizioso, autoalimenta il rapporto debito pubblico/Pil e accresce la sfiducia del mercato finanziario, fomentata ad arte dai creditori, dalle screditate società di rating e dalle critiche urlate dell’UE, della Germania, dell’Olanda, della BCE, dell’OCSE, del FMI, del FT e, purtroppo, anche dei media e dei neo-liberisti italiani, per niente sanamente patriottici, anzi esageratamente e dunque patologicamente antitaliani.

10. Il Governatore Ignazio Visco (Banca d’Italia) ha dichiarato l’anno scorso: “Questo spread che abbiamo è ridicolo perché riflette la paura che il debito non sia ripagato o non sia ripagato ai valori giusti e quindi con una valuta diversa dall’euro. Alcuni lo dicono, alcuni anche ci credono ma è una grande sciocchezza che genera distanza tra il tasso di crescita e il tasso di interesse e dunque mette un limite alla capacità di utilizzare gli investimenti pubblici per fare investimenti”.
11. L’Italia è un contributore netto dell’UE per 4 miliardi annui, per un totale di 60 miliardi nel solo periodo 2000-2014.

12. L’Italia ha contribuito per 60 miliardi – prendendoli a prestito a tassi elevati e che sono inclusi nel debito pubblico - ai vari fondi per aiutare i partner in difficoltà (“Sostegno ai paesi della UEM”), non ha mai preso un € finora e si è dovuta accollare una parte (una trentina di miliardi) dei 140 mld di crediti inesigibili delle banche private francesi, tedesche e olandesi verso la Grecia (che li aveva ricevuti anche per acquistare auto, sottomarini e carri armati tedeschi). Infatti, il salvataggio delle banche private francesi, tedesche e olandesi (complessivamente centinaia di miliardi, con soldi pubblici) fu addossato, limitatamente alla parte riguardante i debiti greci (2010), su tutti i Paesi dell’Eurozona, prima che nascesse il MES (operativo dal 2012), che ha sostituito due fondi salva-Stati precedenti, ma non i prestiti bilaterali (ad esempio, uno di 10 mld dell’Italia alla Grecia). Addirittura, l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ritiene (lo ha dichiarato anche recentemente) che il governo Berlusconi fu defenestrato nel 2011 perché aveva proposto la ripartizione dei crediti in sofferenza verso la Grecia (NPL) non in base alle “quote” Pil+popolazione, come pretendevano la cancelliera Merkel e il presidente Sarkozy (ed hanno poi ottenuto), ma in proporzione alle rispettive esposizioni.
13. Nel 2008 (inizio della crisi), la Francia aveva un rapporto debito/Pil pari al 68,8%, l’Italia al 102,4%. Nel 2018, rispettivamente, 98,4% (+29,6 punti; +43,0%) e 132,2% (+29,8 punti; +29,1%, con un denominatore, il Pil, che ha subito un calo di 170 mld). La Spagna, nel 2008, aveva un rapporto debito/Pil inferiore al 40%, cresciuto nel 2018 a quasi il 100% (+60 punti; +150%).
14. Sulle pensioni, mi permetto di integrare ciò che l’illustre Governatore Visco Vi ha dichiarato, riferendosi unicamente “alla riforma [Fornero, ndr]”. Mostrando – com’è normale – una non completa conoscenza della complessa normativa pensionistica italiana. Che egli palesò anche (da ciò che ha scritto nel suo ultimo libro l’ex direttore de Il Sole 24 ore ed ora de Il Quotidiano del Sud, Roberto Napoletano, anch’egli pochissimo edotto della normativa pensionistica, come tutti), discutendone in sede UE, nel 2011-12, in piena crisi dell’Euro, col ministro dell’Economia svedese Anders Borg: «Intendiamoci: il Salva Italia [il primo decreto legge del Governo Monti, DL 201 del 6.12.2011, ndr] non è una passeggiata, anzi l’esatto contrario, la patrimoniale [si tratta dell’IMU-Imposta municipale propria, che finanzia i servizi comunali, prevista in tutti i Paesi, che il Governo Monti ha soltanto anticipato di due anni, aggravato del 60% per tener conto in parte dell’incremento del valore di mercato rispetto a quello – vecchio - catastale (anche grazie alle infrastrutture e ai servizi pubblici comunali), ed esteso alla casa principale, che iniquamente era stata resa esente anche per i ricchi e i benestanti dal Governo Berlusconi - tranne per le cosiddette case di lusso, le quali però erano appena 74.430 su un totale di 34.435.196[113] (pari ad appena lo 0,2 per cento) -, quando si chiamava ICI-Imposta comunale sugli Immobili, ndr] e la riforma delle pensioni [Fornero, ndr] sono politicamente impegnative e, soprattutto nella previdenza, c’è un salto di qualità assoluto nel merito e nel metodo di governo. Per capirne l’entità, basta chiedere al governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, quanto tempo ha dovuto impiegare per convincere il ministro dell’economia svedese Anders Borg – orecchini e capelli a coda di cavallo, in carica dal 2006 al 2014 e a lungo indicato come il miglior ministro dell’economia dopo il tedesco Wolfgang Schäuble – che la riforma delle pensioni non era un annuncio ma un provvedimento già in vigore. Non più ministro, sempre per la cronaca, Borg sarà travolto da una notte folle a base di alcol e sesso. La riforma delle pensioni, come tutti gli italiani sanno bene [no, malissimo, disinformati dai media e dagli esperti, ndr], non era un annuncio ma un provvedimento immediatamente esecutivo: effettivamente il «miracolo montiano» fu quello di fare votare ai parlamentari berlusconiani quella stessa riforma delle pensioni che non vollero mai avallare al loro ministro dell’economia, Giulio Tremonti, e neppure al loro presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Ancora di più farla votare dai parlamentari del PD in modo compatto.» (“Il cigno nero e il cavaliere bianco”, posizione kindle: 955).
Osservo, fornendo i riferimenti normativi, anche a beneficio, tramite Voi, degli Europei del Nord che giudicavano e giudicano l’Italia in base a informazioni false, provenienti anche – e soprattutto - dall’Italia, che l’Italia, pur non facendo parte dei Paesi sottoposti ai programmi di aggiustamento, quali Grecia, Irlanda, Spagna, Cipro e Portogallo, è stato l’unico Paese UE ad aver avuto, nell’arco di appena due anni, non una ma ben due severe riforme pensionistiche: SACCONI (2010 e 2011) e Fornero (2011), che facevano seguito ad altre cinque riforme delle pensioni dal 1992 (Amato, 1992; Dini, 1995; Prodi, 1997; Berlusconi-Maroni, 2004; e Prodi-Damiano, 2007). Ma contrariamente a ciò che pensano 60 milioni di Italiani, inclusi gli esperti e i docenti universitari, oltre all’estero (inclusi OCSE e FMI), la Riforma Berlusconi-Sacconi (DL 78 del 31.05.2010, Legge 122/2010, art. 12, DL 98 del 6.07.2011, L. 111/2011, art. 18, e DL 138 del 13.08.2011, L. 148/2011, art. 1, commi da 20 a 23) – misconosciuta da quasi tutti – non soltanto esiste e la precede di un anno e mezzo, ma è molto più severa della Riforma Monti-Fornero (DL 201 del 6.12.2011, L. 214/2011, art. 24), (i) sia in termini di allungamento dell’età di pensionamento:
- pensionamento di vecchiaia, da 65 a 66 anni dall’1.1.2011 per i lavoratori dipendenti maschi e a 66 anni e 6 mesi per i lavoratori autonomi maschi, tramite la cosiddetta “finestra” (differimento della erogazione), di 12 mesi o di 18 mesi (DL 78/2010, art. 12, commi 1 e 2, DL 98/2011, art. 18, comma 22-ter, DL 138/2011, art. 1, comma 21); da 60 a 65 anni + “finestra” di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti pubbliche (DL 78/2009, art. 22-ter, comma 1, modificato dal DL 78/2010, art. 12, comma 12-sexies); da 60 a 65 anni + “finestra” di 12 o 18 mesi gradualmente entro il 2026 (2023, includendo l’adeguamento alla speranza di vita) per le donne private (DL 98/2011, art. 18, comma 1, modificato dal DL 138, art. 1, comma 20); e a 67 anni dall’1.1.2019 per tutti (grazie all’aggancio alla speranza di vita, DL 78/2009, L. 102/2009, art. 22-ter, comma 2, modificato sostanzialmente dal DL 78/2010, art. 12, commi da 12-bis a 12-quinquies, modificato dal DL 98/2011, art. 18, comma 4), benchmark in UE. Vale a dire prima della Germania (che vi arriverà nel 2029), che l’ha ridotta a 63 anni nel 2014 per chi ha un’anzianità contributiva di 45 anni, e molto prima della Francia, dove è a 62 anni e la riforma delle pensioni la si sta faticosamente approvando soltanto ora (fine 2019). Alla quale Francia però nessuno chiede e chiedeva nulla, anzi M. Sarkozy, nel 2011, aiutato da Frau Merkel, scaricava i suoi sensi di colpa, a causa della sua lunga coda di paglia, sull’Italia e in particolare sul non immacolato Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La riforma Fornero ha soltanto accelerato, gradualmente entro il 2018, l’allineamento da 60 a 65 anni delle donne private a tutti gli altri, già regolati dalla riforma Sacconi, e ridotto di 6 mesi (da 18 a 12) la “finestra” Sacconi per gli autonomi, che – come per gli altri - viene inglobata nell’età base, portandola a 66 anni (DL 201/2011, art. 24, commi 6 e 7), aumento che viene attribuito a Fornero;
- pensionamento anticipato, 41 anni (41 anni e 6 mesi per i lavoratori autonomi) dall’1.1.2011, + 1 mese dall’1.1.2012, + 1 mese dall’1.1.2013, + 1 mese dall’1.1.2014 (arrivando a 41 anni e 3 mesi per i dipendenti e a 41 anni e 9 mesi per gli autonomi); ora (2019) 43 anni e 1 mese grazie alla riforma Fornero e all’ultima modifica legislativa del 2018, anziché 43 anni e 3 mesi previsto dalla Riforma Fornero per gli uomini, un anno in meno per le donne;
(ii) sia in termini di risparmio di spesa stimato dalla Ragioneria Generale dello Stato al 2060: dei 1.000 miliardi stimati dalle quattro riforme dal 2004, meno di 1/3 è dovuto alla Riforma Fornero; la grandissima parte dei 2/3 è grazie alla Riforma Sacconi.
15. Anche il grosso (l’81%) della pesantissima stretta fiscale chiesta (di fatto imposta) all’Italia dall’UE (Commissione, Barroso II; Consiglio, Van Rompuy, Merkel e Sarkozy; e BCE, Trichet-Draghi, per quest’ultima si veda la sua famosa e irrituale lettera del 5.08.2011 al Governo Italiano (e al Governo spagnolo, il cui premier Zapatero, però, la chiuse in un cassetto e ne rivelò l’esistenza soltanto due anni dopo), in violazione – a mio avviso - dell’art. 7-Indipendenza del proprio statuto derivato dai Trattati UE, poiché l’indipendenza della BCE dagli Stati UE non può non essere almeno reciproca, altrimenti si avrebbe la prevalenza di un organo tecnico e strumentale alla missione dell’UE, fissata nel preambolo e nel fondamentale art. 3 del TUE, su organi politici democraticamente eletti), contrariamente all’opinione generale (ormai mondiale), fu realizzato non dal Governo Monti ma dal Governo Berlusconi. Per giunta distribuito in maniera scandalosamente iniqua poiché le ridotte misure sui ricchi, unico Paese in UE (il contributo di solidarietà varato in due DL separati, prima sulle retribuzioni elevate pubbliche e poi su quelle private e sulle pensioni) – forse congegnate apposta male, come si disse allora: bastava vararli assieme - sono state poi dichiarate illegittime dalla Corte Cost., mentre si colpirono crudelmente perfino i poveri, tagliando di ben l’87% il miliardo e 134 milioni di spesa sociale loro destinata.
La netta prevalenza dei provvedimenti del Governo Berlusconi si evince facilmente dalla sintesi dei valori delle manovre finanziarie correttive (a valere per il quadriennio successivo 2011-14):

Riepilogo delle manovre finanziarie correttive XVI legislatura 2008-2013 (valori cumulati)
- Governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld (80,8%)
- Governo Monti 63,2 mld (19,2%)
Totale 329,5 mld (100,0%)
(Fonte: Il Sole 24 ore Quattro anni di manovre: fisco pigliatutto, su dati delle relazioni tecniche delle leggi o del Servizio Studi del Parlamento).
E la gran parte di esse fu varata dopo la crisi del debito pubblico della Grecia (2010), gestita malissimo – secondo il Prof. Romano Prodi, ex Presidente della Commissione Europea - per colpa soprattutto della Germania, che è il Paese che trae i maggiori benefici dall’attuale assetto monco UE/Euro: sia per non averla prevenuta: «La Grecia ha ripetutamente imbrogliato sui suoi conti pubblici perché non fu ritenuto opportuno introdurre un controllo dei conti» da Schröder e Chirac, sia per come la si è affrontata: «Se la Germania fosse intervenuta all’inizio della crisi, ce la saremmo cavata con 30-40 miliardi; oggi i costi sono dieci volte di più»):

Tabella n. 3 - Valori delle cinque manovre finanziarie correttive 2010÷2012
Governo Berlusconi: DL 78/2010[95], DL 98/2011[97] e DL 138/2011[98]; Governo Monti: DL 201/2011[124] e DL 95/2012[125] (milioni di euro)
DL
2010
2011
2012
2013
2014
TOTALE
%
DL78/2010
        36
12.131
25.068
  25.033
-
  62.268
22,8
DL98/2011
-
  2.108
  5.577
  24.406
49.973
  82.064
30,1
DL138/2011
-
     732
22.698
  29.859
11.822
  65.111
23,8
Tot.Gov.B.
        36
14.971
53.343
  79.298
61.795
209.443
76,7
DL201/2011
-
-
20.243
  21.319
21.432
  62.994
23,1
DL95/2012*
-
-
     603
         16
      27
      646
  0,2
Tot.Gov.M.
-
-
20.846
  21.335
21.459
  63.640
23,3
TOTALE
        36
14.971
74.189
100.633
83.254
273.083
100,0
%
-
5,5
27,2
36,9
30,5
100,0

    *Minori spese per 20.326 milioni nel triennio 2012-14 sono compensate da minori entrate per 19.680.
    (Fonte: elaborazione mia su dati del Servizio Studi della Camera o del Senato).
Nota bene: le misure strutturali, cioè permanenti, valgono tuttora.
Dalle cifre suesposte si ricava facilmente che il PdC Berlusconi, contrariamente alla vulgata diffusa dal potentissimo sistema (dis)informativo berlusconiano e del Centrodestra, ubbidì quasi in tutto all’UE (il “quasi” riguarda in particolare il completamento della riforma delle pensioni chiesto dalla BCE nella predetta lettera, limitato alle pensioni di anzianità (o anticipate) e alle donne del settore privato, e dipese dal veto, per ragioni elettorali, del ministro leghista Umberto Bossi). Ma ciononostante, al termine di un golpe sui generis iniziato nell’estate 2011 (poco dopo la comunicazione del 26 luglio - improvvisa, parziale e di fatto manipolatoria del mercato - della vendita al 30.06.2011 di 7 miliardi di titoli di Stato italiani da parte della Deutsche Bank, degli 8 che possedeva l’1.1.2011, ma già in luglio risaliti a 3 mld), si dice su input di Merkel e Sarkozy fin dal loro incontro di Deauville di fine 2010, e sotto l’attacco della speculazione finanziaria, lasciata libera di operare, che aveva portato lo spread BTP-Bund ad un picco di 574 p.b. in novembre, fu defenestrato ugualmente. E sostituito dal Governo Monti, appoggiato anche da Berlusconi.
16. Infine, l’Italia, che ha subìto una doppia recessione a causa della politica economica restrittiva e prociclica imposta dall’UE, con una perdita del 10% del Pil, mentre la Francia e la Spagna hanno potuto attuare per un decennio una politica economica anticiclica, non chiede di sforare il limite del 3%, ma una diversa applicazione della formula del deficit strutturale (output gap), che giudica “naturale”, non inflazionistico, per l’Italia un tasso di disoccupazione del 10-11% (!!!) e che è ritenuta inaffidabile dalla stessa Commissione (2013) e dalla BCE, oltre che da decine di studiosi, anche neo-liberisti, e che è diversa e più prociclica della medesima regola utilizzata da OCSE e FMI. Ma la Commissione, influenzata dalla Germania, – anziché revisionarla o sostituirla – ha continuato e continua ad applicare la sua: errata, ascientifica, discrezionale e prociclica. Alimentando l’avversione verso l’Unione Europea, perfino negli europeisti come me, e il populismo. Che è favorito anche dalla cattiva abitudine, su impulso tedesco e dei suoi satelliti, di preferire i trattati intergovernativi (fiscal compact, MES), in un’ottica confederale, con un ruolo preponderante della tecnostruttura, più facilmente “controllabile” dalla Germania, a quelli sovranazionali, con una prospettiva federale e un ruolo preponderante del Parlamento. Quos vult Iupiter perdere dementat prius (a quelli che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione). E voi Tedeschi – pare - covate in seno da molto tempo questa malefica e distruttiva pulsione.

Distinti saluti,
V.
PS: E’ davvero sorprendente notare che io, semplice pensionando nel 2010 e mero osservatore attento e assiduo da allora, faccio parte delle pochissime decine di persone su 60 milioni (quasi tutte funzionari nel 2011 - non quelli attuali, anch’essi talvolta carenti - del Parlamento, del Governo, della Banca d’Italia) che conoscono bene i dati delle manovre finanziarie della XVI legislatura e, ma non tutti, le norme delle pensioni. Si veda il grave errore del pensionamento a 67 anni nel 2026 in luogo di 2021 (poi in effetti ci si è arrivati nel 2019) nella prima lettera del 26 ottobre 2011 di chiarimenti del Governo Berlusconi alla Commissione Europea, redatta sotto la supervisione del ministro berlusconiano Renato BrunettaGrazie al meccanismo di aggancio dell’età pensionabile alla speranza di vita introdotto nel 2010 (art. 12 commi 12-bis e 12-ter, DL 78/2010, come modificato con art. 18 comma 4, DL 98/2011), il Governo italiano prevede che il requisito anagrafico per il pensionamento sarà pari ad almeno 67 anni per uomini e donne nel 2026.»). [Errore da me segnalato inutilmente ai principali media, che l’avevano riportato pari pari, a partire dall’ANSA[275] (in data 12/11/2011 20:36), alla quale chiesi di emettere un comunicato, e ad alcuni politici della maggioranza parlamentare,[276] ndr]. Poi corretto nella seconda lettera di chiarimenti dell’11 novembre, ma la Commissione (Olli Rehn) aveva già chiesto altre riforme e una manovra aggiuntiva, dopo le due pesantissime dell’estate precedente per 82+65=147 miliardi cumulati!). Tutti gli altri (prima che io inviassi un centinaio di lettere “circolari” a migliaia di destinatari), sia in Italia che all’estero, inclusi gli economisti, i docenti universitari, l’FMI, i media italiani ed esteri, anche famosi, come FT, The Economist, Le Monde, Handelsblatt e perfino un premio Nobel di Economia sul NYT, sono rimasti vittime del potentissimo apparato (dis)informativo berlusconiano. Un vero caso di scuola. Allora, ho recentemente traslato tutta la mia conoscenza politico-economica di quel periodo nel saggio “LE TRE PIU’ GRANDI BUFALE DEL XXI SECOLO”, dal quale ho ricavato i dati e le tabelle (avviso che l’unica recensione - negativa - del saggio è di un lettore… illetterato, che non ha né acquistato né letto il libro e, pur trovando interessante il contenuto, ne ha criticato lo stile (!)).


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