v
15/1/2020 13:40
A ilettoriciscrivono@tecnicadellascuola.it Copia redazione@eguaglianzaeliberta.it e
altri 47
L’età
di pensionamento a 67 anni non è stata decisa dalla Riforma Fornero ma dalla
Riforma Sacconi. Il risparmio dalla Riforma Sacconi è quasi il doppio della
Riforma Fornero. L’ammontare delle manovre finanziarie del Governo Berlusconi
(267 mld, 81%) è stato il quadruplo di quello del Governo Monti (63 mld, 19%).
Cara
Redazione di Tecnica della Scuola,
Mi sorprende che,
nonostante le mie decine di lettere “circolari”, forse influenzati da
propalatori di BUFALE come Alberto Brambilla, che purtroppo dispone di una
tribuna prestigiosa come il Corriere della Sera (al quale ho inviato una
precisazione analoga, che - mi ha detto il caporedattore Nicola Saldutti -
dovrebbe essere pubblicata in settimana nelle lettere) alimentiate le BUFALE
sulle pensioni e scriviate:
“Elsa Fornero, oggi in pensione, economista esperta di
previdenza e promotrice della riforma che nel 2011 innalzò per uomini e donne
l’accesso alla pensione di vecchiaia a 67 anni, introducendo il sistema
contributivo pro rata per tutti con forti limiti al pensionamento anticipato”
È doppiamente
falso. (i) La Riforma Fornero non ha quasi toccato la pensione di vecchiaia, se
non per l’accelerazione dell’allineamento da 60 a 65 anni delle donne
del settore privato, gradualmente entro il 2018, già
previsto da Sacconi gradualmente entro il 2023, e la riduzione da 18
a 12 mesi della “finestra” per i lavoratori autonomi (uomini e donne).
L’età
di pensionamento a 67 anni è stata decisa dalla ben più severa (per
allungamento dell’età di pensionamento e risparmio al 2060) Riforma
Sacconi:
-
da 65 a 66 anni per i lavoratori dipendenti
uomini o 66 anni e 6 mesi per i lavoratori autonomi uomini,
mediante la “finestra” mobile di 12 o 18 mesi, che incorpora la “finestra”
fissa reintrodotta dalla Riforma Damiano;[1] quindi la Riforma
Fornero non c’entra.
-
da 60 a 65 anni (più «finestra» di 12
mesi) per le lavoratrici dipendenti pubbliche;[2]
quindi la Riforma Fornero non c’entra.
-
da 60 a 65 anni (più «finestra» di 12 o 18
mesi) per le donne del settore privato, gradualmente entro il
2026 (2023,
includendo l’adeguamento automatico alla speranza di vita);
accelerato dalla Riforma Fornero, gradualmente entro il 2018;[3]
-
da 66 a 67 anni per TUTTI mediante
l’adeguamento alla speranza di vita, introdotto dalla Riforma Sacconi;[4] quindi
la Riforma Fornero non c’entra.
(ii)
La Riforma Fornero ha soltanto esteso il metodo contributivo a coloro che erano
esclusi dalla Riforma Dini, che l’ha introdotto (L. 335/1995), cioè coloro che
al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi, quindi tutti
relativamente anziani e ormai già tutti o quasi tutti in pensione.
Traggo dal mio saggio LE MENZOGNE SULLE
RIFORME DELLE PENSIONI SACCONI E FORNERO, 2° volume della trilogia LE TRE PIU’
GRANDI BUFALE DEL XXI SECOLO:
***
«Dall’analisi di RGS,
risulta anche che il «pro-rata» contributivo fa risparmiare, a regime (2018),
appena 200 milioni circa, che poi si riducono in breve fino a sparire:[33]
«Estensione del sistema contributivo pro-rata dal 1°
gennaio 2012 (i valori di economia del 2018 sono sostanzialmente quelli di
regime destinati a ridursi nel tempo in ragione dell'eliminazione delle
pensioni interessate dalla misura).»
Ecco, questo è il dato
forse più clamoroso, poiché la vulgata è che la Riforma Fornero abbia
sostituito il metodo contributivo al retributivo per tutti, salvando i conti pensionistici, mentre in realtà ha solo esteso, pro
rata dall’1.01.2012, il metodo contributivo, introdotto dalla Riforma Dini
nel 1995, a coloro che ne erano esclusi, vale a dire coloro che al 31.12.1995
avevano almeno 18 anni di contributi, quindi relativamente anziani e
presumibilmente in massima parte (che non sono in grado di quantificare) oggi
già pensionati. Come conferma RGS, ma già nella relazione tecnica del 2011
(pag. 48)[38]:
«buona parte dei lavoratori con almeno 18
anni di contributi al 31/12/1995 hanno già acceduto al pensionamento;».
9.
Informazione cattiva sulle riforme delle pensioni
Ad
eccezione di RGS (con qualche licenza) e Corte dei Conti, quasi tutti in
Italia, inclusi ISTAT[199] e UPB,[200] famosi esperti di previdenza, noti ex parlamentari ed esperti
previdenziali, professori universitari, sindacalisti, politici; e all’estero,
inclusi EUROSTAT[201]
(che riceve i dati dall’ISTAT), OCSE[202], che usa
dati vecchi e in parte errati, ma è l’unico Ente che propone i dati
pensionistici al lordo e al netto delle imposte (il peso fiscale sulle pensioni
in Italia è il più alto dell’area OCSE), e FMI[203], che usa
dati vecchi e in parte errati, ma molto pubblicizzati a livello mondiale,
ascrivono tutto alla Riforma
Fornero, decretando un’impropria damnatio memoriae
della Riforma Sacconi, o, al minimo, le attribuiscono l’adeguamento periodico
alla speranza di vita, creando e alimentando – specularmente - la
sopravvalutazione abnorme della Riforma Fornero.
Valga a dimostrarlo anche il
previsto risparmio – già citato - dalla mera estensione del metodo contributivo
(mentre la vulgata – come ho già osservato - è che la Riforma Fornero abbia salvato i conti pensionistici sostituendo il
contributivo al retributivo per tutti), quantificato dalla RGS,[178] relativamente
al periodo dal 2012 al 2018, in, rispettivamente, (al netto fisco) 5, 24, 39,
70, 116, 169 e 216 milioni, numeri che dimostrano la scarsa incidenza della
misura, pari ad appena l’1 per cento circa del risparmio annuo accreditato alla
Riforma Fornero, destinato ad azzerarsi a breve.
I media hanno
invece avuto un comportamento oscillante: in una prima fase che si può
circoscrivere al periodo a ridosso dell’approvazione della Riforma Sacconi e
della Riforma Fornero (2012-2013), essi hanno evidenziato gli effetti notevoli
della Riforma Sacconi; in una seconda fase, a partire dal 2014, hanno invece
anch’essi in stragrande maggioranza obliterato la Riforma Sacconi,
attribuendone le misure, in tutto o in parte, alla Riforma Fornero. La stessa
Elsa Fornero scrive nel suo libro già citato:
«La
comprensione, in ogni caso, è fatta anche di informazione corretta (le
deformazioni mediatiche dei meccanismi pensionistici e delle loro conseguenze
sono state notevoli, in Italia e altrove)» (Posizione kindle: 468).
Anche
l’INPS ha partecipato talvolta
alla «cancellazione» della Riforma Sacconi.
Vediamo in dettaglio alcuni esempi davvero eclatanti,
con le relative prove documentali.»
***
Contrasto le
BUFALE sulle manovre della XVI legislatura, incluse le Riforme delle pensioni,
dal 2010.
Il professor
Mario Monti (al quale ho scritto più volte) è, in parte, un ignorante dei dati,
soprattutto quelli pensionistici, e, in parte, un millantatore. Come la
professoressa Fornero, la quale con le sue reticenze e le sue mezze verità è
uno dei principali responsabili della DISINFORMAZIONE che circonda le pensioni
(nel mio saggio spiego perché lo fa; nella postfazione del mio saggio, severo
nei suoi confronti, c'è il suo commento, nel quale attesta che mi sono attenuto
alle norme).
Traggo
dal 1° volume della trilogia “LE MENZOGNE SUI GOVERNI BERLUSCONI E MONTI”, la
cui principale fonte sono stati gli ottimi e dettagliati dossier elaborati dal
Servizio Studi della Camera (o del Senato):
***
«1. Manovre finanziarie correttive varate nella XVI legislatura
Premessa. L’attacco
al debito sovrano italiano – come risulta dai dati - cominciò nel secondo
trimestre 2011 e si accentuò nell’estate
2011, con una prima impennata del differenziale BTP-Bund, poco dopo la comunicazione
del 26 luglio[22] -
improvvisa, parziale e di fatto manipolatoria del mercato - della vendita al
30.06.2011 di sette miliardi di titoli di Stato italiani da parte della Deutsche
Bank,[22]
degli otto che possedeva l’1.1.2011; ma già in luglio risaliti da uno a tre
miliardi, dato che, invece, fu tenuto nascosto. L’attacco della speculazione continuò e determinò, a fine agosto,
l’intervento della BCE, che era stato ‘negoziato’ a certe condizioni col
Governo italiano (si veda, appresso, il paragrafo 4; e il capitolo 3). Ma, poi,
la quasi latitanza della stessa BCE o, almeno, l’inefficacia del suo intervento
limitato (ai mercati finanziari era noto che fosse tale) avevano
portato, il 9 novembre, lo spread BTP-Bund ad un picco
di 574 punti base,[23] che faceva temere il default.
Esso causò le dimissioni del Governo Berlusconi,[24] ritenuto dall’UE - e forse dai
mercati finanziari, che in realtà avevano scommesso sulla rottura dell’Euro -
inadeguato e renitente ad adottare i provvedimenti necessari suggeriti dalla
stessa UE, e la sua sostituzione, quasi a furor di popolo e con la benedizione
dell’UE, con il Governo tecnico Monti,[25] che appariva quindi, in quelle
circostanze drammatiche, un salvatore dell’Italia.
Questo
duplice giudizio – renitenza del
Governo Berlusconi ad adempiere le prescrizioni dell’UE e decisività del Governo Monti -, fatto proprio da quasi 60 milioni di
Italiani, inclusi i docenti universitari, è del tutto falso,
poiché è molto lontano dall’essere confermato da un’analisi obiettiva ex
post dei dati.
Berlusconi, non Monti. L’importo totale delle manovre
finanziarie correttive del Governo Berlusconi, in un quasi equivalente lasso di
tempo (circa un anno e mezzo), è stato ben il quadruplo di quelle del
Governo Monti, come risulta dalla sintesi dei loro valori:
Riepilogo delle manovre correttive
XVI legislatura (valori cumulati)
- Governo Berlusconi-Tremonti 266,3
mld (80,8%)
- Governo Monti 63,2 mld (19,2%)
Totale 329,5 mld (100,0%)
I decreti e le cifre. Le manovre correttive, dopo la crisi
greca, sono state: Governo Berlusconi: • 2010, DL
78/2010 di 24,9 mld (valore
cumulato dichiarato dal Governo per il biennio 2011-12); • 2011 (a parte la legge di stabilità
2011) DL 98/2011 e DL 138/2011, di 80+65 mld cumulati, con la scopertura di 15 mld[26][27] che Tremonti si
riprometteva di coprire - la cosiddetta clausola di salvaguardia (DL 98/2011, art. 40) - con la delega
fiscale.
Clausola di salvaguardia che ha poi dovuto gestire
Monti, aumentando l’IVA, piuttosto che confermare l’iniquo taglio tremontiano
delle agevolazioni fiscali-assistenziali, cfr. il libro di Elsa Fornero che
verrà commentato estesamente nel capitolo 2 «Chi ha paura delle riforme:
Illusioni, luoghi comuni e verità sulle pensioni», dove ella scrive:
«La
“salvaguardia” stabiliva che, se entro il 30 settembre 2013 il (nuovo) governo
non avesse ottenuto i risparmi promessi attraverso un’improbabile delega
fiscale-assistenziale, sarebbe entrato automaticamente in azione un taglio
lineare (del 5 per cento nel 2013 e addirittura del 20 per cento a decorrere
dal 2014) di tutte le agevolazioni fiscali. Fu uno dei compiti, oggi
dimenticati, del governo Monti quello di scongiurare gli effetti di una simile
mannaia che avrebbe colpito soprattutto le famiglie più povere: tali
agevolazioni consistevano, infatti, per lo più in detrazioni per redditi di
lavoro e pensione, per carichi familiari e nelle aliquote ridotte dell’Iva per
i beni di prima necessità.» (Posizione kindle: 2451).
Governo
Monti: • 2011, DL 201/2011 (c.d. decreto salva-Italia), che per l’anno 2012
cifra 32 mld «lordi» (10 sono stati «restituiti» in sussidi e incentivi); e •
2012, DL 95/2012 di circa 20 mld (ma il saldo entrate-uscite è quasi
nullo).
Quindi in totale sono, rispettivamente: - Governo
Berlusconi: 25+80+65 = tot. 170 mld; - Governo Monti: 22+0,6 = tot. 22,6 mld.
Se si considerano gli effetti cumulati da inizio
legislatura, fonte un articolo de Il
Sole 24 ore (che confronta i dati omogenei),
sono: - Governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld; - Governo Monti 63,2 mld. Totale
329,5 mld. È utile riportarlo:
«I
numeri messi in fila (finora) dalla legislatura della crisi mostrano lo sforzo
fatto fin qui dal Paese per rimettersi in sesto: imponente. Quattro anni, dieci
manovre, e richieste per 329 miliardi e
520 milioni di euro, per il 55% (cioè 178 miliardi) rappresentato da
aumenti di entrate vale a dire, quasi sempre, di nuove tasse. Un tema, quello
della composizione delle manovre, che ha acceso dibattiti scatenati fra i
partiti, piuttosto ingiustificati alla luce dei numeri. La composizione del
«Salva-Italia» di Natale, che tra Imu, addizionale Irpef e fisco vario è stata
bersagliata di critiche per l'eccessivo ruolo giocato dalle tasse, ha una
composizione identica alla manovra-bis di Ferragosto 2011, ultimo intervento di
peso del Governo Berlusconi: 73% di maggiori entrate, e 27% di tagli di spesa.
[…]
L'impatto
decreto per decreto
È il conto
complessivo delle dieci principali
manovre anti-crisi varate dal giugno 2008 a oggi, dai governi guidati da
Silvio Berlusconi e Mario Monti. Il conteggio non è effettuato in base
all'impatto a regime sui saldi, ma in base al totale reale delle risorse
coinvolte dagli aumenti di entrata (in termini di imposte e, in misura
marginale, di riversamenti da parte delle Regioni a Statuto speciale) e tagli
di spesa. In pratica: l'introduzione di un'imposta che genera un gettito di 100
il primo anno, 150 il secondo e 200 il terzo ha un effetto a regime di 200, ma
nei tre anni chiede ai cittadini un totale di 450: è questo secondo dato a
essere preso in considerazione nell'analisi.» [28]
Ciò significa che per i
sacrifici imposti agli Italiani e gli effetti recessivi, detto sinteticamente
in linguaggio calcistico, Berlusconi ha
battuto Monti 4 a 1, mettendo le mani ampiamente
nelle tasche degli Italiani:
148 miliardi solo di maggiori tasse in 4 anni. Per l’iniquità e le variabili extra-tecnico-contabili
(immagine, scandali e cattivo rapporto con i partner europei, che incisero sul rating[29]
dell’Italia al di là dei fondamentali macroeconomici), è stato anche peggio.
È
tale la dimensione del rapporto quali-quantitativo tra le manovre finanziarie
dei Governi Berlusconi e Monti (267 miliardi cumulati contro 63, 81 per cento
contro 19, ancor più per l’iniquità) che è del tutto infondato
attribuire a Monti – come fanno quasi tutti (nel mondo) - il risanamento severo, perfino feroce dei conti
pubblici, gli effetti recessivi, il calo del Pil (meno 10 per cento), la moria
di imprese (meno 22 per cento della produzione industriale) ed il calo
dell’occupazione, oltre ad alcune centinaia di morti suicidi. Per giunta
obliterando completamente Berlusconi. Il quale, come vedremo, ha eseguito quasi tutte le imposizioni di
UE e lettera BCE del 5.08.2011, tranne, per l’opposizione del ministro
leghista Bossi, la revisione delle pensioni di anzianità[30] (concentrate soprattutto al Nord, bacino elettorale
della Lega Nord) e l’accelerazione dell’allineamento a tutti gli altri dell’età di pensionamento delle donne del settore
privato.
I dati economici negativi, invece, sono in gran parte
gli effetti delle mastodontiche manovre correttive molto inique e recessive del
Governo Berlusconi-Tremonti, fatte in buona parte di misure strutturali (cioè
permanenti, quindi che valgono tuttora), almeno in un rapporto di 4 a 1
rispetto al Governo Monti e che cominciarono a dispiegare i loro effetti dal 1°
gennaio 2011, ben prima che arrivasse Monti.»
La
mia è una fatica di Sisifo. Vi prego di prenderne buona nota e di divulgarlo.
Cordiali saluti,
V.
________________________
Note
[1] Riforma Damiano L. 24.12.2007, n. 247; Riforma
Sacconi DL 78/2010, L. 122/2010, art. 12, commi da 1 a 6; DL 138/2011, L. 148/2011, art. 1, comma 21, per
l’estensione al comparto della scuola e dell’università.
[2] DL 78/2009, L. 102/2009, art. 22-ter, comma 1,
modificato dal DL 78/2010, art. 12, comma 12-sexies.
[3] DL 98/2011, L. 111/2011, art. 18, comma 1, modificato
dal DL 138, L. 148/2011, art. 1, comma 20.
[4] DL 78/2009, L. 102/2009, art. 22-ter,
comma 2, modificato sostanzialmente dal DL 78/2010, L. 122/2010, art. 12, commi da 12-bis a
12-quinquies, modificato per la decorrenza dal 2013 (quando è
effettivamente decorso) dal DL 98/2011, L. 111/2011, art. 18, comma 4. Finora
ci sono stati 3 scatti: 3 nel 2013, +4 nel 2016, +5 mesi nel 2019 = 1 anno, dal
1.1.2019.
Post collegato:
Lettera:
Le BUFALE del Corriere della Sera (e di tutti i media) sulla Riforma
delle pensioni Fornero
**********
Nessun commento:
Posta un commento