giovedì 9 febbraio 2017

Lettera-commento ad un articolo “alla Fubini” di Giovanni Pons di “Repubblica” sul debito pubblico



Manca la foto di Silvio Berlusconi per il periodo 8.5.2008-16.11.2011, in cui il debito pubblico è cresciuto di più sia in valore assoluto che in rapporto al Pil, e la sua linea del grafico si ferma al 2010. Sarà un caso? La disinformazione generale avvenuta sulle manovre correttive e sulle riforme delle pensioni a favore di Berlusconi e a danno di Monti [1 oppure 2] giustifica più di un dubbio.


Pubblico la lettera che ho inviato ieri a Giovanni Pons di Repubblica, a commento di questo suo articolo “fubiniano” sul debito pubblico.

Debito pubblico troppo alto. Ecco i rischi che corrono gli italiani

***
   Commento al Suo articolo sul debito pubblico
   Da:   v   8 feb 2017 – 19:47
   A:    g.pons@repubblica.it   

Caro Giovanni Pons,
Leggo sempre volentieri i Suoi articoli, ma l’ultimo (“Debito pubblico troppo alto. Ecco i rischi che corrono gli italiani”) non mi è piaciuto per niente. Somiglia troppo a quelli di Federico Fubini da quando è ripassato al Corriere della Sera.
Ad esempio questo, con un mio commento:
Fubini del Corriere della Sera disinforma sul debito pubblico per parare il culo ai ricchi
Le trasmetto, perciò, un mio commento critico dei punti principali del Suo articolo, contenente osservazioni a Lei sicuramente ben note, altre molto meno, temo, scusandomi della estrema lunghezza.
Cordiali saluti
V.

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1. Incidenza sul Pil degli interessi passivi
In recessione ridurre il debito non è una priorità, anzi è dannoso. Inoltre, poiché ogni anno c’è un deficit, il debito pubblico ovviamente non può che crescere in termini assoluti, come avviene da almeno 20 anni, quindi, come spiegava anche il ministro Padoan, vedi la diatriba con il bugiardo presidente della Bundesbank Weidmann, occorre, oltre che aumentare l’inflazione (al livello dell’obiettivo statutario della BCE: poco sotto il 2%) per ridurre l’onere reale del debito (e il QE da solo, checché ne dicano i neo-liberisti, come si vede non è capace di ottenerlo), preoccuparsi e intervenire solo sul denominatore del rapporto debito/Pil (i.e. crescita), attuando un’adeguata politica economica.
Il debito pubblico italiano è molto elevato, ma, grazie ai sacrifici degli Italiani, soprattutto i poveri cristi, e alla BCE che fa finalmente il suo dovere e lo dovrà continuare a fare, in parte, anche in futuro, gli interessi passivi sono calati sia in valore assoluto (da un picco di 84 mld nel 2012 a 70 mld nel 2015) che come incidenza sul Pil (dal 5,2% al 4,2%).
Inoltre, esso, a giudizio della Commissione europea e di centri studi tedeschi, è il più sostenibile nel lungo periodo, avendo messo sotto controllo in particolare la dinamica della spesa pensionistica.[1]
[1] Carlo Clericetti  -  28 FEB 2016
Debito italiano a rischio, anzi il più sostenibile
Infine, come dimostrano ampiamente gli USA, la Gran Bretagna o il Giappone, che pur avendo un debito pubblico monstre pari quasi al 250% del Pil paga un tasso d’interesse irrisorio, si può senza dubbio aggiungere che esso non è un problema se si ha alle spalle una banca centrale degna di questo nome e, contrariamente a quanto scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera, è meglio che il debito pubblico sia sempre più in mani italiane anziché straniere, tipo la Deutsche Bank, le cui vendite nel 1° semestre 2011 di titoli di Stato italiani innescarono la speculazione mondiale sul debito pubblico italiano e la febbre da spread, con conseguente necessità di varare manovre correttive pesantissime e inique: 4/5 dal governo Berlusconi-Tremonti, scandalosamente inique, e 1/5 dal governo Monti, più eque, vedi IMU, patrimonialina sui depositi, TTF.[2]
[2] Il lavoro ‘sporco’ del governo Berlusconi-Tremonti
Riepilogo delle manovre correttive (importi cumulati da inizio legislatura):
- governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld (80,8%);
- governo Monti 63,2 mld (19,2%);
Totale 329,5 mld (100,0%).

2. Francesco Giavazzi
a) “La ripresa in Europa sta cominciando a contagiare i salari e i prezzi, così che le pressioni inflazionistiche stanno raggiungendo gli obbiettivi che si era posta la Bce, leggermente sotto al 2%”.
L’1,1% (valore stimato) di inflazione nel mese di dicembre 2016, cioè alla fine di un quadriennio di deflazione o di tasso d’inflazione sensibilmente più basso del target, è comunque poco più della metà del target della BCE (“sotto ma vicino al 2% nel medio periodo”). Questi sono i dati dell’inflazione media relativa agli ultimi 4 anni per l’Europa (non è chiaro se sono i 19 dell’Eurozona o i 28 Paesi, ma quella dell’Italia è ancora più bassa: 1,4%, 0,4%, 0,0%, 0,0%):
l'Inflazione armonizzata media del Europa nel 2013: 1,35%
l'Inflazione armonizzata media del Europa nel 2014: 0,43%
l'Inflazione armonizzata media del Europa nel 2015: 0,03%
l'Inflazione armonizzata media del Europa nel 2016: 0,16%
E, detto per inciso, il valore stimato di 1,1% di dicembre, che comunque è molto più basso del target, ha fatto un balzo rispetto allo 0,6% di novembre e può non essere confermato a gennaio e febbraio. L’obiettivo dovrebbe essere raggiunto forse nel 2020.
Infatti, il governatore Ignazio Visco ha dichiarato, al 23° Congresso ASSIOM Forex, sulle prospettive dell’inflazione:
“Nell’area dell’euro l’espansione dell’attività economica è in graduale consolidamento. Le misure adottate dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea hanno decisamente ridotto i rischi di deflazione e posto le premesse per un graduale ritorno alla stabilità monetaria. L’aumento dell’inflazione in dicembre è però in gran parte ascrivibile alle componenti energetiche e ad altre voci caratterizzate da elevata volatilità; ancora non emergono chiari segnali di un punto di svolta nelle componenti di fondo dell’evoluzione dei prezzi al consumo e nella dinamica delle retribuzioni, anche nei paesi dove la disoccupazione è più bassa. Nelle proiezioni dell’Eurosistema la crescita dei prezzi sarebbe ancora appena sopra l’1,5 per cento nel 2019. Per ricondurre l’inflazione su valori in linea con la stabilità dei prezzi nel medio termine vanno mantenute condizioni monetarie molto accomodanti. Coerentemente con questa visione, il Consiglio direttivo ha deciso di estendere la durata del programma di acquisto di titoli almeno sino alla fine del 2017, riportando da aprile l’importo mensile degli interventi al livello originale di 60 miliardi di euro. Alla fine di quest’anno l’ammontare complessivo degli acquisti sarà di circa 2.300 miliardi. Il Consiglio si attende che i tassi ufficiali si manterranno su livelli pari o inferiori a quelli attuali per un periodo che si estende ben oltre l’orizzonte del programma.”
E la stessa BCE scrive nel suo ultimo bollettino economico:
Bollettino economico BCE, n. 1 – 2017
Prezzi e costi (pag. 14)
L’inflazione complessiva è aumentata marcatamente nel dicembre 2016.
L’inflazione misurata sullo IAPC è salita dallo 0,6 all’1,1 per cento fra novembre e dicembre (cfr. grafico 7). Tale rialzo è stato determinato in particolare dall’aumento molto più consistente dell’inflazione dei beni energetici, che ha continuato a contribuire in misura determinante alla ripresa dell’inflazione complessiva dopo il minimo del -0,2 per cento toccato ad aprile 2016. La maggiore inflazione della componente energetica è dovuta in gran parte a vigorosi effetti base al rialzo, che avranno un impatto sull’inflazione anche nei primi mesi del 2017 (cfr. riquadro 4).
L’inflazione di fondo non ha evidenziato segnali convincenti di una tendenza al rialzo.
L’inflazione sui dodici mesi misurata sullo IAPC al netto di alimentari ed energia si è collocata allo 0,9 per cento in dicembre, dopo essersi mantenuta allo 0,8 nei quattro mesi fino a novembre. I dati disponibili a livello nazionale suggeriscono che il rialzo in dicembre sia stato causato principalmente da un’impennata della componente volatile legata ai viaggi. L’inflazione al netto di alimentari ed energia rimane ben al di sotto della sua media di lungo periodo pari all’1,5 per cento. Inoltre, le misure alternative non segnalano la ripresa delle spinte inflazionistiche di fondo. Ciò potrebbe riflettere in parte gli effetti indiretti ritardati al ribasso dei precedenti cali dei corsi petroliferi ma anche, in modo più sostanziale, la protratta debolezza delle pressioni dal lato dei costi interni.

b) “Il privilegio di potersi dimenticare del debito sta dunque volgendo al termine e purtroppo, ancora una volta, l’Italia non è stata capace di avvantaggiarsi di un periodo di tassi eccezionalmente bassi per tagliare le spese almeno un po‘, che è l’unico modo per ridurre il rapporto debito/Pil in maniera strutturale”.
Trovo strano che il prof. Giavazzi continui a propugnare la misura pro ciclica del taglio delle spese per ridurre il rapporto debito/Pil - tenendo in non cale le acquisizioni successive sui moltiplicatori -, come faceva in un suo editoriale sul Corriere della Sera del 4 dicembre 2011, scritto a quattro mani con Alberto Alesina, col quale riuscì a far revocare nel giro di 24 ore la decisione del governo Monti di aumentare le 2 aliquote Irpef del 41 e del 43%, nell’ambito del decreto Salva-Italia (DL 201/2011), che avrebbe colpito i redditi dei ricchi e dei più abbienti, inclusi Alesina e/o Giavazzi.[3]
[3] Punto primo. Tutti gli studi (sia accademici che del Fondo monetario internazionale che della Commissione europea) concordano sul fatto che gli aggiustamenti fiscali fatti aumentando le aliquote hanno creato recessioni più forti di quelli che hanno operato riducendo le spese. Non solo: la spirale di aumenti di aliquote, recessione, riduzione di gettito, tende a creare un circolo vizioso in cui l'economia si avvita in una recessione sempre più grave. Quella di cui leggiamo è una manovra fatta per tre quarti di maggiori tasse e solo per un quarto di minori spese”.
TROPPE TASSE E POCHI TAGLI
Caro presidente no, così non va
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi  -  4 dicembre 2011

Tesi da loro ribadita in un altro editoriale di 2 anni dopo,[4] al quale replicò Stefano Fassina.[5]
[4] DEFICIT, TAGLIO DELLE TASSE E CRESCITA
La prigionia dei numeri
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi  -  24 settembre 2013
[5] DISPUTE
I tagli «impossibili», le spese eccessive
Stefano Fassina  -  25 settembre 2013
In calce c’è la replica di Alesina e Giavazzi, sacerdoti dell’ossimorica austerità espansiva che tanti danni ha causato soprattutto ai poveri cristi, poiché è stata presa a base dalla Commissione europea e dal FMI (che però poi quattro anni fa si è pentito e ha invitato a cambiare la politica economica in senso keynesiano, cfr. ad esempio Il FMI, gli investimenti pubblici si ripagano da soli http://keynesblog.com/2014/10/09/il-fmi-gli-investimenti-pubblici-si-ripagano-da-soli/) per imporre l’austerità economica e le cosiddette riforme strutturali, i. e. deflazione dei salari e riduzione dei diritti, che si fanno forti della tesi sposata dall’FMI, poi rivelatasi errata per ammissione dello stesso FMI, per bocca del suo ex capo economista Blanchard, dei moltiplicatori taglio spesa/taglio tasse (cfr. Il Fondo Monetario insiste: sull’austerità ci siamo sbagliati 8 gennaio 2013 http://keynesblog.com/2013/01/08/il-fondo-monetario-insiste-sullausterita-ci-siamo-sbagliati/).

c)Durante il governo Monti sono state introdotte tasse per oltre il 5% del Pil che hanno portato alla recessione nel 2012 e nel 2013”.
E’ una fesseria cosmica (vedi nota 1 per le prove documentali), propalata ad arte dalla potentissima propaganda berlusconiana, e fatta propria da quasi 60 milioni di Italiani, inclusi – pare – quasi tutti i docenti universitari di Economia e i giornalisti, contro cui da 5 anni CONTROINFORMO, ma è una fatica di Sisifo!
Vale la pena di riportare di nuovo le cifre, che raccontano una verità molto diversa dalla vulgata:
Riepilogo delle manovre correttive (importi cumulati da inizio legislatura):
- governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld (80,8%);
- governo Monti 63,2 mld (19,2%);
Totale  329,5 mld (100,0%).
LE CIFRE. Le manovre correttive, dopo la crisi greca, sono state: • 2010, DL 78/2010 di 24,9 mld; • 2011 (a parte la legge di stabilità 2011), due del governo Berlusconi-Tremonti (DL 98/2011 e DL 138/2011, 80+60 mld), (con la scopertura di 15 mld, che Tremonti si riprometteva di coprire, la cosiddetta clausola di salvaguardia, con la delega fiscale, – cosa che ha poi dovuto fare Monti – aumentando l’IVA), e una del governo Monti (DL 201/2011, c.d. decreto salva-Italia), che cifra 32 mld “lordi” (10 sono stati “restituiti” in sussidi e incentivi); • 2012, DL 95/2012 di circa 20 mld. Quindi in totale esse assommano, rispettivamente: - Governo Berlusconi: 25+80+60 = tot. 165 mld; - Governo Monti: 22+20 = tot. 42 mld. Se si considerano gli effetti cumulati da inizio legislatura (fonte: “Il Sole 24 ore”), sono: - Governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld; - Governo Monti 63,2 mld. Totale 329,5 mld. Cioè (ed è un calcolo che sa fare anche un bambino), per i sacrifici imposti agli Italiani e gli effetti recessivi Berlusconi batte Monti 4 a 1. Per l'iniquità e le variabili extra-tecnico-contabili (immagine e scandali), è anche peggio.
E’ tale la dimensione del rapporto quali-quantitativo tra i governi Berlusconi e Monti (267 mld cumulati contro 63, cioè 4 a 1, 80% contro 20%, anche per l’iniquità), che è del tutto infondato attribuire a Monti il risanamento dei conti pubblici, gli effetti recessivi, il calo del Pil (-10%), la moria di imprese (quasi il -25% dell'apparato produttivo) ed il calo dell'occupazione, oltre ad alcune centinaia di morti, obliterando completamente Berlusconi, che, Le rammento, ha eseguito quasi tutte le imposizioni di UE e lettera BCE del 5.8.2011, tranne, per l'opposizione di Bossi, l'eliminazione delle pensioni di anzianità (concentrate soprattutto al Nord) e l'adeguamento a TUTTI gli altri delle lavoratrici dipendenti private, a cui poi provvide la riforma Fornero.
Invece, sicuramente, sia il risanamento dei conti che i dati economici negativi sono in gran parte gli effetti delle mastodontiche manovre correttive molto inique e recessive del governo Berlusconi-Tremonti, fatte in gran parte di misure strutturali ( =permanenti, quindi che valgono tuttora), almeno in un rapporto di 4 a 1 rispetto al governo Monti, e che cominciarono a dispiegare i loro effetti dall’1.1.2011, ben prima che arrivasse Monti.
Forse non è irrilevante aggiungere che, nell’ambito del programma SMP, gli acquisti da parte della BCE di titoli di Stato italiani, 99 mld su 209 complessivi (tra il maggio 2010 e il marzo 2011, la BCE ha acquistato titoli di Stato greci, irlandesi e portoghesi; da agosto 2011 a gennaio 2012, titoli italiani e spagnoli), cominciarono il 22 agosto 2011, cioè 17 giorni dopo l’invio della famosa (o famigerata) lettera del 5.8.2011 della BCE, firmata da Trichet e Draghi, e 9 giorni dopo il varo da parte del governo Berlusconi-Tremonti del DL 138 del 13.8.2011, di 60 mld cumulati, contenente una buona parte delle misure chieste nella predetta lettera, e che faceva seguito, a distanza di neppure 40 giorni, al DL 98 del 6.7.2011, di 80 mld cumulati.
Detto per inciso, il discorso fatto per le manovre correttive, anche sotto il profilo della DISINFORMAZIONE, è più o meno analogo per le pensioni: Sacconi batte Fornero 3 a 1.
L’allungamento eccessivo dell’età di pensionamento, infatti, è stato deciso molto più da Sacconi (DL 78/2010, art. 12, + integrazioni con DL 98/2011 e DL 138/2011) che da Fornero (DL 201/2011, art. 24):
– sia portando l’età di pensionamento per vecchiaia, senza gradualità, a 66 anni per tutti i lavoratori dipendenti e a 66 anni e 6 mesi per tutti i lavoratori autonomi, tranne le lavoratrici dipendenti del settore privato, per le quali ha poi provveduto Fornero nel 2011, ma gradualmente entro il 2021;
– sia introducendo – sempre Sacconi e non Fornero – l’adeguamento triennale all’aspettativa di vita (che dopo il 2019, in forza della riforma Fornero, diverrà biennale), che ha portato finora l’età di pensionamento di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi e la porterà a 67 nel 2020.
Anche il sistema contributivo l’ha introdotto Dini nel 1995, non la Fornero nel 2011; ella ha solo incluso, col calcolo pro rata dal 1.1.2012, quelli esclusi dalla legge Dini, che all’epoca avevano già 18 anni di contributi, quindi nel 2012 tutti relativamente anziani, equiparando così i giovani e tutti gli altri.
La DISINFORMAZIONE generale sulle pensioni, che include esperti, sindacati, tutti i media (immemori del calo notevole dei pensionamenti nel 2011, nei loro articoli di allora ascritto giustamente a Sacconi – DL 78/2010 - e Damiano, DL 247/2007) e perfino l’INPS, è dovuto in gran parte, io credo, alla millantatrice Fornero, la quale – se controlla il testo dell’art. 24 del DL 201/2011 -, anziché limitarsi a riportare nel suo DL le modifiche ed integrazioni alla legislazione pensionistica precedente, ha pleonasticamente (e “furbescamente”, ma masochisticamente visti gli esiti, però insiste tuttora…) anche confermato quelle, molto severe, già approvate dal DL Sacconi nel 2010 e in vigore dall’1.1.2011.[6]
[6] Sacconi vs Fornero, qual è stato il ministro che ha riformato di più le pensioni
Gliel’ho anche scritto recentemente.[7]
[7]Lettera alla Professoressa Elsa Fornero su pensioni e manovre correttive”
http:// vincesko.blogspot. com/2016/11/lettera-alla-professoressa-elsa-fornero. html.

3. “Il governo Renzi se non altro ha bloccato l’aumento delle imposte (diminuendo quelle centrali anche se compensate da aumenti a livello locale)”.
L’abolizione della TASI a tutti ha favorito i ricchi e i benestanti (2/3 del totale di circa 4 mld annui), a scapito degli affittuari anche relativamente poveri, i quali, come fiscalità generale, pagano anch’essi lo sgravio. [8] E' un'ingiustizia evidente e scandalosa, della quale allo strabico Giavazzi non può importare evidentemente di meno.
[8] Abolizione IMU-TASI, l’allievo Renzi ha superato il maestro Berlusconi

4. “Nel caso dell’Italia – essendo lo stesso [debito] per il 90% detenuto all’interno dell’area euro e per il 65% da investitori domestici, essendo distribuito tra banche private (30%), privati cittadini (30%) e Banca d’Italia (10%), e con un altro 25% presente nei portafogli delle banche europee”.
Per esattezza, il debito pubblico italiano è detenuto per il 10% circa da famiglie, per 1/3 all'estero = subtotale 44%; il residuo 56% da banche (circa 20%), assicurazioni (circa 20%), fondi comuni (circa 5%) e Banca d'Italia (circa 10%).[9]

5. “Se il governo riuscisse un giorno ad annunciare un piano per la riduzione del debito nell’ordine dei 300 miliardi tale annuncio avrebbe benefici immediati sul livello dello spread innescando una spirale positiva”.
In recessione, ripeto, la riduzione del debito non è una priorità, anzi è esiziale, salvo che a) non sia finalizzato alla riduzione consistente degli interessi passivi, per liberare risorse congrue da destinare alla crescita; e b) non ricada esclusivamente sui ricchi.
In ogni caso, le opzioni per ridurlo sono essenzialmente tre:
1. come decisero Prodi e Padoa-Schioppa, gradualmente contenendo l’aumento di spesa entro, poniamo, il 50% della variazione del PIL o dell’inflazione, ma occorrono molti anni;
2. vendendo asset pubblici oppure, in alternativa, conferendoli ad un fondo che si finanzi sul mercato, a tassi più vantaggiosi, per una cifra importante (almeno 150 mld), ma i beni pubblici: a) sono di tutti, ricchi e poveri; b) sono a garanzia del debito pubblico; e c) in passato, la loro vendita spesso si è risolta in una svendita. Dopo il varo del QE, i tassi si sono ridotti, taluni fino ad azzerarsi.
3. varando (come da tempo hanno proposto alcuni, anche ricchi) un’imposta patrimoniale e/o un prestito forzoso su una platea selezionata (la metà del decile più ricco, che possiede una ricchezza di circa 2.000 mld, per circa la metà in immobili), per un ammontare di 150-200 mld,[10] da aumentare eventualmente a 300.
[10] Piano taglia-debito per la crescita


Post e grafici collegati:

Analisi quali-quantitativa/21-Dossier Debito pubblico





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