Salvare
il liberismo dai liberisti (ideologici)
–di Carlo Calenda - 20 dicembre 2016
Mi
posso senz’altro sbagliare, ma constato che forse non è un caso che, eliminata
(per il momento) la presenza ingombrante del liberista Renzi, sotto la cui Presidenza
del Consiglio si è consumata la scelta poco lungimirante di far cadere la nostra
strategica TELECOM dalla padella spagnola alla brace francese,[1] il ministro del MISE Carlo Calenda mostri
una volontà interventista negli assetti dei cosiddetti campioni nazionali, come
avviene, in grado ben maggiore, fin dalla nascita dell’Unione europea, in
Francia o in Germania.
Ci sono - lo spiegava anche Adam Smith 250 anni fa -
essenzialmente tre ideologie economiche: quella liberista, quella statalista e
quella intermedia, cosiddetta mista. Tutte le altre sono derivazioni di queste.
Da riformista, io sono favorevole alla terza, che assegna allo
Stato un compito di programmazione economica, ormai obnubilata, obliterata
quasi completamente dal quarantennio di esistenza dell'Unione europea a
trazione ordoliberista, interpretata dai nostri governanti in maniera ottusa ed
autolesionistica, e perciò occorre fare i conti con la mentalità imperante che
vede lo Stato quasi esclusivamente come un soggetto inefficiente e corrotto.
Anche il riformista Romano Prodi (non tragga in inganno la
dismissione dell'IRI, che fu una decisione politica italiana ed europea susseguente
al Trattato di Maastricht, che l'allora tecnico Prodi eseguì[2]) sostiene da molto tempo la necessità
di una politica industriale nel quadro dell'attuazione di una politica
economica autenticamente di sinistra. Vincendo le terribili resistenze
"culturali" che allignano, non tanto nelle file dei ricchi - che è
normale -, quanto nella maggioranza del popolo, che normale non è. Rilevo,
infatti, da diversi anni il paradosso (constatato recentemente in un suo
articolo proprio da Romano Prodi[3])
che sono i poveri ad opporsi autolesionisticamente ad una politica
autenticamente riformista, o a sostenere, come scriveva Einstein nel suo
carteggio con Freud, politiche che vanno contro il proprio interesse (cfr.
"Perché la guerra?").[4]
Questa renitenza culturale è, a ben vedere, insieme, lo specchio della natura profondamente conservatrice dell'elettorato italiano e il più grosso ostacolo alla sua maturazione in senso socialdemocratico (nella sua accezione europea, in particolare scandinava).
Questa renitenza culturale è, a ben vedere, insieme, lo specchio della natura profondamente conservatrice dell'elettorato italiano e il più grosso ostacolo alla sua maturazione in senso socialdemocratico (nella sua accezione europea, in particolare scandinava).
Dei tre principali partiti (PD, M5S e FI), il PD (fusione di ex
comunisti ed ex democristiani di sinistra), superata la torsione destrorsa
impressa da Renzi, dovrebbe essere ascrivibile “naturalmente” al campo
riformista. Per M5S, il discorso è più complesso. Io non voto per M5S, ma sono molto
interessato all'evolversi della situazione di M5S, date le implicazioni future
in termini di possibili alleanze, a condizione che il buffone ignorante ed il
suo nuovo socio provvedano a modificare il loro statuto, che le vieta. Ma nutro,
in ogni caso, qualche dubbio sulla effettiva volontà di M5S di voler perseguire
obiettivi riformisti, il che in soldoni significa, da una parte, affermare
il ruolo dello Stato in economia; e, dall'altra, aumentare le tasse sui ricchi
da investire in settori mirati (investimenti e welfare) e fare redistribuzione.
E li nutro sulla base di una scelta concreta passata di M5S, cioè di espungere
dalle coperture, nella seconda versione della loro proposta di legge sul
reddito di cittadinanza, un'imposta patrimoniale, che invece era prevista nella
prima versione.[5] Ed è proprio
sull'imposta patrimoniale sui ricchi (il decile o la metà del decile più ricco), anche per un fatto di
semplice equità vista la loro scarsa partecipazione al mastodontico risanamento
dei conti pubblici effettuato nella scorsa legislatura (4/5 da Berlusconi, pari
a 267 mld cumulati, in maniera scandalosamente iniqua, ed 1/5 da Monti, pari a
63 mld, in modo più equo), che, secondo me, si parrà la nobilitade di un qualunque partito che si dichiari
riformista.
In definitiva, il succo che va estratto dal mio commento e
dall’articolo del prof. Prodi è il seguente: (a) la sinistra deve fare la
sinistra, non copiare – come è successo negli ultimi 25 anni - la destra; e (b)
i poveri devono smettere l’abitudine masochistica plurimillenaria di fare
AMMUINA e di difendere l’interesse dei ricchi, e fare il loro, che CON-FLIG-GE con
quello dei ricchi.
[1] Telecom
[2]
Un’illustrazione molto critica di Nino Galloni
[3] I riformisti possono tornare a vincere solo
se ritrovano le loro radici
L’onda anti-sistema – I riformisti ritrovino la bussola (e gli elettori)
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 11 dicembre 2016
http://www.romanoprodi.it/strillo/i-riformisti-possono-tornare-a-vincere-solo-se-ritrovano-le-loro-radici_13674.html
L’onda anti-sistema – I riformisti ritrovino la bussola (e gli elettori)
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 11 dicembre 2016
http://www.romanoprodi.it/strillo/i-riformisti-possono-tornare-a-vincere-solo-se-ritrovano-le-loro-radici_13674.html
[4]
L’ammuina dei poveri e l’egoismo dei
ricchi
[5] Reddito di
cittadinanza, commento alla proposta di legge di M5S
Appendice
Prodi ha le sue idee, che di solito condivido.
Fanno eccezione: (1) il giudizio molto positivo su Draghi (gli ho anche scritto
e francamente ho trovato la sua risposta insoddisfacente) e (2) il sì al
referendum costituzionale, ma su questo ha detto che la riforma faceva schifo
ma che la votava per altri motivi (che ha spiegato).
Sulla questione dell’ingresso nell’Euro, ho
trovato questa incoerenza tra quanto Prodi afferma sulla stupidità della regola
del 3% (fissata dal Trattato di Maastricht, del febbraio 1992, assieme
all’adozione dell’Euro come moneta unica, firmatario il ministro del Tesoro
Guido Carli del VII Governo Andreotti) e l’accettazione dei Regolamenti 1466 e
1467 che rendono più stringente quella regola, approvati il 17 giugno del 1997
da parte del Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi del I Governo Prodi (poi
sostituiti, prima, dal Reg. 1175/2011 e, poi, nel 2012, dal fiscal compact). Vedi questa
ricostruzione (severa e insinuante nei riguardi di Prodi):
L’ingresso
dell’Italia nell’euro: è stato veramente un golpe?
04/11/2015 - Simone Nastasi
PS:
Quando allego un documento, non vuol dire necessariamente che ne condivido le
tesi.
La
risposta, credo, la dà questo lungo e interessante documento di analisi dei due
regolamenti e del fiscal compact, del
Prof. Giuseppe Guarino, laddove scrive: “L’adesione al regolamento fu
formalmente volontaria. Sostanzialmente, almeno per alcuni degli Stati membri,
coatta. Ottenere consensi formalmente volontari, sostanzialmente coatti, è un
metodo che anche in seguito sarebbe stato praticato”. (pag. 11)
NB:
Al termine del par. 31, pag. 18, c’è un “non” di troppo. Al par. 72, “Gli
obiettivi fondamentali sono enunciati all’art. 2, n. 3” va corretto in “art. 3,
n. 3”.
EURO: VENTI ANNI DI DEPRESSIONE (1992-2012) *di Giuseppe
Guarino
Per
chi vuole confrontare quanto scrive Giuseppe Guarino col testo del Trattato di
Lisbona (TUE e TFUE), allego:
Trattato
di Lisbona
Versione
consolidata del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento
dell'Unione europea
Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea (pubblicati on line il 27 febbraio
2013)
Segnalo,
perché contiene considerazioni sulla politica monetaria della BCE:
Lectio
magistralis in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Scienze
Statistiche per le Decisioni
Università
degli Studi di Napoli Federico II
Modelli
e metodi quantitativi per le decisioni di politica monetaria: limiti e nuove
prospettive
Ignazio Visco, Governatore della Banca
d’Italia
Napoli,
19 dicembre 2016
Post e articolo collegati:
Bersani vs
Renzi: economia mista o liberismo?
Il governo corre ai ripari: fermare i francesi con
Telecom
Cdp
nel capitale dell’azienda di Tlc per bloccarne la vendita a Orange e
costringere il finanziere bretone a trattare su Mediaset e Generali
FRANCESCO BEI
Pubblicato il 23/12/2016
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