Ocse: rischio pensioni per
l'Italia. Penalizzati mamme e giovani
La spesa previdenziale è la più alta
dell'intera area, mentre i contributi versati da lavoratori e imprese sono al
33%. A rendere più difficile la tenuta del sistema contribuisce la sentenza
della Consulta sulle perequazioni
01
dicembre 2015
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1.
Spesa
pensionistica italiana: disinformazione e controinformazione infinite.
2. Secondo un proverbio ebraico, le mezze verità equivalgono a bugie intere.
3. Il gruppo di Paesi OCSE è, dal punto di vista del welfare,
molto più eterogeneo dei Paesi che compongono l’Unione Europea.
***
Questo
articolo di Repubblica alimenta erroneamente la convinzione che il sistema pensionistico
italiano sia il più costoso oggi e insostenibile nel lungo periodo e che abbia
perciò bisogno – come chiede l’OCSE - di ulteriori interventi strutturali. Sarebbe
la nona riforma negli ultimi 25 anni.
Dal 1992, infatti, le riforme delle
pensioni sono state 8 (Amato, 1992; Dini, 1995; Prodi, 1997; Berlusconi/Maroni,
2004; Prodi/Damiano, 2007; Berlusconi/Sacconi, 2010; Berlusconi/Sacconi, 2011;
Monti-Fornero, 2011).
Oltre a quella Dini che ha introdotto il
metodo contributivo, le ultime 4 riforme: Damiano (2007, in parte), Sacconi
(2010 e 2011) e Fornero (2011) stanno producendo e produrranno risparmi fino al
2060 per centinaia di miliardi di € (cfr. MEF). Dopo le riforme, il sistema
pensionistico italiano, come riconosciuto dall’UE, è tra i più severi e
sostenibili in UE28.
Ancor più se si depura la spesa
pensionistica dalle voci spurie, con un rapporto spesa pensionistica/Pil che
scende dal 15,8% (dato OCSE) al massimo al 11,8%!
Le voci spurie sono:
1.
TFR,
che è salario differito e può essere riscosso anche decenni prima del
pensionamento[10] (circa 1,5% del
Pil);
2.
un
8% di spesa assistenziale sul totale della spesa pensionistica;[11]
3.
un
peso fiscale comparativamente maggiore (la spesa pensionistica italiana è al
lordo di 42-45 mld di imposte, più vicino ai 45);
4.
un
uso prolungato, a causa dell’assenza di adeguati ammortizzatori sociali (usati
negli altri Paesi, dove non vengono classificati spesa pensionistica), delle pensioni
di anzianità appunto come ammortizzatore sociale;
5.
infine,
nella spesa pensionistica degli altri Paesi andrebbero sommati gli incentivi
fiscali ( = minori entrate) alle pensioni integrative (v., in particolare, la
Gran Bretagna).
Altro
discorso, invece, è:
a) l’allungamento eccessivo dell’età di
pensionamento, decisa non da Fornero ma da Sacconi, quindi non nel 2011, come
scrive erroneamente l’OCSE e ripete pari pari Repubblica, ma nel 2010 (DL 78/2010),
- sia portando l’età di pensionamento
per vecchiaia a 66 anni per tutti i lavoratori dipendenti (66 anni e 6 mesi per i
lavoratori autonomi), tranne le lavoratrici dipendenti del settore privato, per
le quali ha poi provveduto Fornero nel 2011, ma gradualmente entro il 2021;
- sia introducendo – sempre Sacconi e
non Fornero - l’adeguamento triennale all’aspettativa di vita, che dal 2018, in
forza della riforma Fornero, diverrà biennale.
Basterebbe,
come in Francia, adottare un criterio meno severo e intervenire su questo
meccanismo per fermare o almeno rallentare questa sorta di giostra impazzita
dell’età di pensionamento crescente;
b) l’inadeguatezza delle future pensioni
dei lavoratori precari, che andrebbe risolto attingendo o dalla spesa
pensionistica delle classi più remunerate o dalla spesa sociale allargata o
dalla fiscalità generale (ci sono già delle proposte).
Infine,
va rimarcato con forza che sia l’OCSE, che almeno compara la spesa
pensionistica dei vari Paesi sia al lordo che al netto delle imposte, sia,
ancor di più, l’FMI, sia numerosi altri alimentano colpevolmente la
DISINFORMAZIONE sulla spesa pensionistica italiana.
(Cfr.
Lettera ai media, al Governo, al PD e ai
sindacati: le pensioni e Carlo Cottarelli
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2833739.html oppure, se in avaria,
Documento collegato:
Pensions at a Glance 2015
OECD
and G20 indicators
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