Pubblico la lettera che ho inviato due
giorni fa al Consiglio di Indirizzo e Vigilanza (CIV) dell’INPS,
su alcune carenze del loro Rendiconto sociale INPS 2017, in particolare (i) sulla
loro evidenziazione soltanto della riforma Fornero; (ii) sull’obliterazione
della riforma Sacconi; e (iii) sulla mancata spiegazione (o forse comprensione)
delle determinanti dei dati rilevati. Come ho fatto in altre due occasioni
analoghe, ho inviato la lettera, per conoscenza, anche al Presidente della
Repubblica, sia perché l’erronea interpretazione di alcune norme delle leggi
pensionistiche si registra nelle ultime tre Leggi di Bilancio approvate e
promulgate dal PdR, sia come “stimolo” ad intervenire per correggerle. Ad oggi,
non ho ricevuto nessuna risposta.
Lettera al CIV
dell’INPS: Osservazioni critiche su alcune carenze del Rendiconto sociale INPS
2017.
Da: v
28/1/2019
15:58
A: guglielmo.loy@inps.it, sabina.valentini@inps.it e altri 45+1.257
Destinatari: Presidente, Vice Presidente e Consiglieri
del CIV, Strutture Centrali della Direzione Generale INPS ed il Coordinamento Statistico-Attuariale,
Segreteria Tecnica del CIV
CC Sig. Presidente della
Repubblica, Sig.ra Presidentessa del Senato, Sig. Presidente della Camera, Sig.
Presidente del Consiglio dei Ministri, Sig. Ministro del Lavoro e delle
Politiche sociali, Sottosegretari Lavoro e Politiche sociali, Commissione
Lavoro della Camera, Commissione Affari sociali della Camera, Commissione
Lavoro e Previdenza del Senato, Deputati, Senatori, Parlamentari europei, Altre
Istituzioni, Presidenza e Direzione generale INPS, Media, Sindacati,
Associazioni e Fondazioni, Siti economici e previdenziali, Università
Egr.
Sig. Presidente e Sigg. Consiglieri del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza,
Mi
permetto di formulare le seguenti osservazioni critiche su alcune carenze del
Vostro Rendiconto sociale INPS 2017 (Rendiconto Sociale 2017 https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemDir=52267).
1. Riforme delle pensioni
«A distanza di
sette anni dall’entrata in vigore della legge Monti-Fornero vi sono elementi
sufficienti per un primo bilancio, anche in vista degli annunciati interventi
sul sistema pensionistico.»
Constato
che anche Voi, come succede quasi sempre da 5 anni, avete menzionato soltanto
la riforma Fornero. Dal 1992, le riforme delle pensioni, considerando un’unica riforma i provvedimenti
varati da Sacconi nel 2010 e 2011 (oltre alla L.
102/2009, art. 22ter), sono state sette: Amato, Decreto Legislativo 503 del 1992; Dini, Legge 8.8.1995, n. 335; Prodi, Legge 27.12.1997, n. 449; Berlusconi/Maroni, Legge
23.8.2004, n. 243 Prodi/Damiano, Legge
27.12.1997, n. 247; Berlusconi/Sacconi, Legge 30.7.2010, n.122, Legge 15.7.2011, n. 111, Legge 14.9.2011, n. 148; e Monti-Fornero, Legge 22.12.2011, n. 214.
Va sottolineato che di esse, dunque, la riforma
Fornero è la settima e ultima
(finora), e, a giudicare dalle norme e dagli effetti, sia in fatto di
allungamento dell’età di pensionamento, sia in termini di risparmio di spesa, non la più severa.
2. Età di pensionamento
«L’analisi
svolta pone l’attenzione sul numero dei trattamenti di vecchiaia e di
anzianità/anticipata liquidati tra il 2012 e il 2017, con particolare
attenzione alle differenze di genere sulle quali è necessario soffermarsi per
valutare il livello di equità e di solidarietà del sistema previdenziale.
Sono state prese in esame sia le
pensioni vigenti la cui consistenza, oltre che dalle nuove pensioni, è
determinata anche da quelle eliminate nell’anno, sia le pensioni liquidate, il
cui numero è unicamente condizionato dalle norme in vigore in ciascun anno. Sia
tra le pensioni vigenti che tra quelle liquidate nei singoli anni si registra una prevalenza delle pensioni di
anzianità/anticipate, con un capovolgimento rispetto agli anni precedenti il
2012 quando a prevalere era il numero delle pensioni di vecchiaia.»
In primo luogo,
rilevo uno scostamento tra l’obiettivo prefissato e il risultato: ma non doveva
la riforma Fornero revisionare (per molti addirittura abolire[1]) le pensioni di
anzianità, disallineate rispetto agli altri Paesi e che abbassavano l’età media
di pensionamento, come aveva chiesto la famosa lettera del 5.8.2011 della BCE
al Governo Berlusconi?[2]
Lettera che è poi stata la bussola del Governo Monti, ma che – quasi nessuno sa
- era stata già adempiuta in grandissima parte dal Governo Berlusconi,
anche per le pensioni.[3]
In
secondo luogo, osservo che è proprio come Voi scrivete, dipende dalla normativa
emanata. Ma, beninteso, non dalla riforma Fornero, che ha interessato quasi
esclusivamente le pensioni di anzianità/anticipate, bensì dalla ben più
severa riforma SACCONI, che ha innalzato l’età di pensionamento di vecchiaia, evidentemente
in misura tale da impedire di fatto o almeno scoraggiare – come traspare dai
dati - il pensionamento di vecchiaia: sia per gli uomini, portando l’età di
pensionamento da 65 a 67 anni, sia, in particolare, per le donne, le quali
partendo da 60 anni (contro i 65 degli uomini) si sono dovute allineare, quasi
di botto le dipendenti pubbliche e gradualmente entro il 2018 le lavoratrici
private, ai 67 anni degli uomini nel 2019. Infatti, ecco l’attuale quadro sintetico dell’età di pensionamento in base
alle norme e ai loro autori:
QUOTE:
abolite dalla riforma Fornero (L. 214/2011, art. 24, commi 3 e 10).
PENSIONE
DI VECCHIAIA
- L’età di pensionamento degli uomini è salita (da 65
nel 2010) a 67 anni nel 2019 e questi 2 anni in più - “finestra” mobile di 12
mesi (o 18 mesi per gli autonomi) e adeguamento triennale all’aspettativa di
vita - sono stati decisi dalla riforma
Sacconi (L. 122/2010, art. 12), tranne 4 mesi in media dalla riforma Damiano
(L. 247/2007); quindi la riforma Fornero non c’entra (se
non per la riduzione di 6 mesi per gli autonomi).
- L’età di pensionamento delle donne del settore pubblico è salita (da 60)
quasi senza gradualità a 65 anni nel 2012, ed è stato deciso nel 2009 (L.
102/2009, art. 22ter, comma 1) e modificato nel 2010 (L. 122/2010, art. 12,
comma 12-sexies) da Sacconi a seguito della Sentenza del 13 novembre 2008 della Corte di
giustizia dell’Unione europea, ma che poteva avvenire a qualunque età tra 60 e 65 anni), più
“finestra” di 12 mesi, più 12 mesi di adeguamento all’aspettativa di vita, e a
67 anni nel 2019, e questi 7 anni in più sono tutti dovuti a Sacconi, tranne 4
mesi in media a Damiano; quindi la riforma Fornero non c’entra.
-
L’allineamento dell’età di pensionamento delle donne del settore privato (da
60) a tutti gli altri (già regolati da Sacconi) a 65 anni più «finestra»,
previsto da Sacconi gradualmente entro il 2026 (2023, includendo l'adeguamento
all’aspettativa di vita), è stato accelerato da Fornero gradualmente entro il
2018 (L. 214/2011, art. 24, comma 6), ma in ogni caso 2 anni (da 65 a 67)
sono di Sacconi, tranne 4 mesi in media di Damiano.
Va aggiunto (i) che la riforma Fornero ha ridotto da 18 (previsto dalla riforma Sacconi) a 12 mesi la
«finestra» degli autonomi (uomini e donne); (ii) che la riforma Fornero (rispettivamente, con il comma 6, lettere c e d,
e con il comma 10 dell’art. 24 della L. 214/2011) ha
aumentato l'età base di vecchiaia e di anzianità di 1 anno (rispettivamente da
65 a 66 e da 40 a 41), ma solo formalmente, poiché (con il comma 5) ha abolito contestualmente la «finestra» di 12 o 18
mesi, di Damiano (4 mesi in media) e Sacconi (8 o 14 mesi), ma senza evidenziarne
il legame, così si è intestata di fatto entrambe le misure; (iii) che, dal
2022, in forza della legge Fornero (L. 214/2011, art. 24, comma 13),
l’adeguamento automatico diverrà biennale («13 Gli adeguamenti agli
incrementi della speranza di vita successivi a quello [triennale, ndr]
effettuato con decorrenza 1° gennaio 2019 sono aggiornati con cadenza biennale»),
ma, appunto, è solo un’accelerazione del meccanismo deciso da Sacconi; e (iv)
che la riforma Fornero (col comma 2 dell’art. 24 della L. 214/2011) ha soltanto
esteso, pro rata dall’1.1.2012, il metodo contributivo – introdotto dalla riforma Dini nel 1995 – a coloro che ne
erano esclusi, cioè coloro che, al 31.12.1995, avevano almeno 18 anni di
contributi, quindi tutti relativamente anziani e ora già in pensione o prossimi
al pensionamento.
La riforma
SACCONI ha interessato anche le pensioni di anzianità:
PENSIONE
ANTICIPATA (ex anzianità)
- L’età di pensionamento degli uomini è salita (da 40 anni nel 2010) a 42
anni e 10 mesi e di questi 2 anni e 10 mesi in più (+ 6 mesi per gli autonomi) 1
anno e 3 mesi (o 1 anno e 9 mesi relativamente agli autonomi), sono di Sacconi
(di cui 4 mesi in media di Damiano) e 1 anno e 7 mesi sono di Fornero (o 1 anno
e 1 mese relativamente agli autonomi). L’anno
e tre mesi in più sono stati decisi da SACCONI, rispettivamente, con il DL
78/2010, art. 12 (“finestra” mobile di 12 mesi) e col DL 98/2011 (L.
111/2011), art. 18, comma 22ter:
più 1 mese per chi matura i requisiti nel 2012, più 2 mesi per chi li matura
nel 2013, e più 3 mesi per chi li matura nel 2014. Quindi si arriva a 41 anni e
1 mese o 2 o 3 per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti e 41 anni e 7 mesi
o 8 o 9 per i lavoratori e le lavoratrici autonomi.
- L’età di pensionamento delle donne è salita, da 40 anni nel 2010, a 41
anni e 10 mesi, e di questo anno e 10 mesi in più (+ 6 mesi per gli autonomi),
1 anno e 3 mesi (o 1 anno e 9 mesi relativamente agli autonomi), sono di
Sacconi (di cui 4 mesi in media di Damiano) e 7 mesi sono di Fornero.
E’ importante, infine, osservare che l’aumento
dell’età di pensionamento sia di vecchiaia (da 65 a 66 anni) che di anzianità
(da 40 a 41 anni e 3 mesi) – oltre all’adeguamento all’aspettativa di vita - viene
di solito erroneamente attribuito alla riforma Fornero e non alla riforma
Sacconi, come lamenta la stessa professoressa Fornero
nel suo ultimo libro.[4]
Ma la colpa è della formulazione insufficiente e poco chiara della legge
Fornero, che ha abolito la “finestra” mobile (con il comma 5) e contestualmente
aumentato l’età base (rispettivamente, con il comma 6, lettere c e d,
e con il comma 10 dell’art. 24 della L. 214/2011), senza però evidenziarne il
legame, il che ha tratto in inganno tutti, perfino il Servizio Studi della
Camera nell’immediatezza del varo della riforma Fornero (cfr. dossier L.
214/2011), RGS (cfr. NADEF 2018, pag. 61) e professori di Lavoro e Previdenza.
Quasi nulla di
tutto questo, segnatamente la riforma SACCONI, emerge – mi pare – dalla Vostra relazione,
se non un generico e sintetico riferimento a pag. 42, limitatamente alle
dipendenti pubbliche: «Dalle tendenze analizzate emerge una forte riduzione
delle pensioni di vecchiaia liquidate in favore delle donne, riconducibile
all’innalzamento dell’età pensionabile, alla loro debolezza nel mercato del
lavoro, alla gravosità del lavoro di cura, elementi che determinano tutt’ora
una condizione di svantaggio della donna nell’ambito lavorativo. Gli uomini in
tutti i settori sono stati interessati in modo marginale dall’aumento
dell’innalzamento dell’età pensionabile. Per
le donne dei settori pubblici l’età di accesso alla pensione di vecchiaia era
già stata aumentata prima del 2012.»
3.
Risparmi dalle
riforme pensionistiche
In estrema
sintesi, dei 1.000 mld di risparmi
pensionistici stimati da RGS al 2060 dalle 4 riforme dal 2004 (Maroni, 2004, la
cui misura principale, lo ‘scalone’, fu abrogato da Damiano prima che andasse
in vigore; Damiano, 2007, le cui “quote” furono abolite da Fornero; Sacconi,
2010 e 2011; e Fornero, 2011), al lordo dell'errata attribuzione delle norme
(come conferma la professoressa Elsa Fornero nel suo ultimo libro), soltanto 350 (poi calati a 280 dopo i vari interventi legislativi) vengono ascritti alla
riforma Fornero, i cui effetti peraltro si esauriscono nel 2045. Secondo voi a
chi vanno ascritti i residui 700 mld?
Dall’analisi di RGS, risulta anche che il «pro-rata»
contributivo introdotto dalla riforma Fornero fa risparmiare, a regime (2018),
appena 200 milioni circa all’anno
(su una quindicina di miliardi annui), che poi si riducono in breve fino a
sparire.
Ecco, questo è il dato forse più clamoroso, poiché la
vulgata è che la riforma Fornero abbia sostituito il metodo contributivo al
retributivo per tutti, mentre in realtà ha solo esteso, pro rata
dall’1.01.2012, il metodo contributivo, introdotto dalla riforma Dini nel 1995,
a coloro che ne erano esclusi, vale a dire coloro che al 31.12.1995 avevano
almeno 18 anni di anzianità contributiva, quindi relativamente anziani e
presumibilmente in massima parte (che non sono in grado di quantificare) oggi
già pensionati. Come conferma RGS, ma già nella relazione tecnica del 2011
(pag. 48).[5]
4. Errata interpretazione di RGS della norma
sull’adeguamento dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita e della
norma che prescrive che si considerino soltanto gli aumenti dell’aspettativa di
vita
Segnalo anche a
Voi che il Ragioniere Generale dello Stato interpreta in maniera errata sia la
norma della riforma SACCONI che esclude dal calcolo le diminuzioni dell’aspettativa
di vita (comma 12ter dell’art. 12 della legge 122/2010), sia, soprattutto, la norma della
riforma Fornero che modifica la periodicità dell’adeguamento alla speranza di
vita da triennale a biennale, che è di una chiarezza palmare: «Adeguamenti agli incrementi della speranza di vita (articolo 24, comma 13) Gli adeguamenti agli incrementi della speranza di vita successivi a quello
effettuato con decorrenza 1° gennaio 2019 [triennale,
a valere per il triennio 2019-21, ndr] sono
aggiornati con cadenza biennale
secondo le modalità previste dall'articolo 12 della legge n. 122/2010. A partire dalla medesima data i
riferimenti al triennio, di cui al comma 12-ter del citato articolo, devono
riferirsi al biennio». Vale a dire dal 2022, non dal 2021.
5. Anche l’INPS ha partecipato alla generale
DISINFORMAZIONE sulle riforme delle pensioni
Lo ha fatto sia
nell’obliterare talvolta la riforma SACCONI, attribuendo tutto alla riforma
Fornero (ad esempio nell’Osservatorio
INPS sulle pensioni del 30.04.2015), sia nell’adeguarsi – come tutti
gli altri - alla predetta interpretazione errata di RGS (Circolare n. 62 del
4.4.2018), modificando il suo orientamento precedente (ad esempio, Circ.
n. 37 del 14.3.2012).
Potete
trovare tutti i dati, le osservazioni complete e le relative prove documentali
nel mio libro:
“LE
TRE PIU’ GRANDI BUFALE DEL XXI SECOLO: La responsabilità della Grande
Recessione – Berlusconi vs Monti. La Riforma delle pensioni più severa –
Sacconi vs Fornero. Gli Obiettivi e i poteri-doveri statutari della BCE –
Draghi vs Yellen.” (con prefazione di Carlo Clericetti e commento finale di
Elsa Fornero) https://www.amazon.it/dp/B07L3B5N5M.
Data la
dimensione, che ha ormai assunto un ambito mondiale, della DISINFORMAZIONE
generale sulle riforme delle pensioni, che cerco di contrastare da sette anni, Vi
suggerisco caldamente una campagna informativa, prima in ambito INPS e poi
nazionale, e sono a disposizione per darvi gratuitamente il mio apporto e ad un
eventuale confronto pubblico.
Distinti saluti,
V.
___________________________
Note
[1] La riforma Fornero ha abolito
soltanto le «quote» (somma di età anagrafica e anzianità
contributiva), reintrodotte nel 2007 dalla riforma Damiano.
[2] «È possibile intervenire ulteriormente
nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per
le pensioni di anzianità e riportando l'età del ritiro delle donne nel
settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore
pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012.»
Lettera
del 5.8.2011 della BCE al Governo italiano
[3] Tra cui il completamento
della riforma delle pensioni (revisione delle pensioni di anzianità e
accelerazione dell’allineamento delle donne del settore privato a tutti gli
altri), a causa dell’opposizione del ministro Bossi.
[4] «Rispondeva
infine essenzialmente a criteri di trasparenza l’assorbimento delle cosiddette
«finestre mobili» nei requisiti anagrafici e contributivi, una modalità che era
stata adottata per aumentare un po’ surrettiziamente l’età di pensionamento.
[…] La nostra decisione pertanto fu di rendere esplicito l’anno in più
richiesto [sic; in effetti già deciso da Sacconi con la L. 122/2010, art. 12,
commi 1 e 2, ndr]. Di fatto, questo non corrispondeva a un aumento
dell’anzianità, eppure fu interpretato così, con il seguito di ulteriori aspre
polemiche.» (Elsa Fornero, «Chi ha paura delle riforme: Illusioni, luoghi comuni
e verità sulle pensioni», posizione nel Kindle 3134).
[5]
«buona parte dei lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31/12/1995
hanno già acceduto al pensionamento;».
**********
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