mercoledì 2 dicembre 2015

La mezza verità dell’OCSE sulla spesa pensionistica italiana


Ocse: rischio pensioni per l'Italia. Penalizzati mamme e giovani
La spesa previdenziale è la più alta dell'intera area, mentre i contributi versati da lavoratori e imprese sono al 33%. A rendere più difficile la tenuta del sistema contribuisce la sentenza della Consulta sulle perequazioni
01 dicembre 2015

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1.     Spesa pensionistica italiana: disinformazione e controinformazione infinite.
2.     Secondo un proverbio ebraico, le mezze verità equivalgono a bugie intere.
3.     Il gruppo di Paesi OCSE è, dal punto di vista del welfare, molto più eterogeneo dei Paesi che compongono l’Unione Europea.

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Questo articolo di Repubblica alimenta erroneamente la convinzione che il sistema pensionistico italiano sia il più costoso oggi e insostenibile nel lungo periodo e che abbia perciò bisogno – come chiede l’OCSE - di ulteriori interventi strutturali. Sarebbe la nona riforma negli ultimi 25 anni.
Dal 1992, infatti, le riforme delle pensioni sono state 8 (Amato, 1992; Dini, 1995; Prodi, 1997; Berlusconi/Maroni, 2004; Prodi/Damiano, 2007; Berlusconi/Sacconi, 2010; Berlusconi/Sacconi, 2011; Monti-Fornero, 2011).
Oltre a quella Dini che ha introdotto il metodo contributivo, le ultime 4 riforme: Damiano (2007, in parte), Sacconi (2010 e 2011) e Fornero (2011) stanno producendo e produrranno risparmi fino al 2060 per centinaia di miliardi di € (cfr. MEF). Dopo le riforme, il sistema pensionistico italiano, come riconosciuto dall’UE, è tra i più severi e sostenibili in UE28.
Ancor più se si depura la spesa pensionistica dalle voci spurie, con un rapporto spesa pensionistica/Pil che scende dal 15,8% (dato OCSE) al massimo al 11,8%!
Le voci spurie sono:
1.     TFR, che è salario differito e può essere riscosso anche decenni prima del pensionamento[10] (circa 1,5% del Pil);
2.     un 8% di spesa assistenziale sul totale della spesa pensionistica;[11]
3.     un peso fiscale comparativamente maggiore (la spesa pensionistica italiana è al lordo di 42-45 mld di imposte, più vicino ai 45);
4.     un uso prolungato, a causa dell’assenza di adeguati ammortizzatori sociali (usati negli altri Paesi, dove non vengono classificati spesa pensionistica), delle pensioni di anzianità appunto come ammortizzatore sociale;
5.     infine, nella spesa pensionistica degli altri Paesi andrebbero sommati gli incentivi fiscali ( = minori entrate) alle pensioni integrative (v., in particolare, la Gran Bretagna).

Altro discorso, invece, è:
a) l’allungamento eccessivo dell’età di pensionamento, decisa non da Fornero ma da Sacconi, quindi non nel 2011, come scrive erroneamente l’OCSE e ripete pari pari Repubblica, ma nel 2010 (DL 78/2010),
- sia portando l’età di pensionamento per vecchiaia a 66 anni per tutti i lavoratori dipendenti (66 anni e 6 mesi per i lavoratori autonomi), tranne le lavoratrici dipendenti del settore privato, per le quali ha poi provveduto Fornero nel 2011, ma gradualmente entro il 2021;
- sia introducendo – sempre Sacconi e non Fornero - l’adeguamento triennale all’aspettativa di vita, che dal 2018, in forza della riforma Fornero, diverrà biennale.
Basterebbe, come in Francia, adottare un criterio meno severo e intervenire su questo meccanismo per fermare o almeno rallentare questa sorta di giostra impazzita dell’età di pensionamento crescente;
b) l’inadeguatezza delle future pensioni dei lavoratori precari, che andrebbe risolto attingendo o dalla spesa pensionistica delle classi più remunerate o dalla spesa sociale allargata o dalla fiscalità generale (ci sono già delle proposte).

Infine, va rimarcato con forza che sia l’OCSE, che almeno compara la spesa pensionistica dei vari Paesi sia al lordo che al netto delle imposte, sia, ancor di più, l’FMI, sia numerosi altri alimentano colpevolmente la DISINFORMAZIONE sulla spesa pensionistica italiana.

(Cfr. Lettera ai media, al Governo, al PD e ai sindacati: le pensioni e Carlo Cottarelli


Documento collegato:

Pensions at a Glance 2015
OECD and G20 indicators


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