mercoledì 25 marzo 2015

Il Sig. Silvio B., il mammone dal collo taurino ed il suo tallone d’Achille/7/Amor proprio

A causa delle avarie frequenti della piattaforma IlCannocchiale, dove - in 4 anni e 5 mesi - il mio blog Vincesko ha totalizzato 700.000 visualizzazioni, ho deciso di abbandonarla gradualmente. O, meglio, di tenermi pronto ad abbandonarla. Ripubblico qua i vecchi post a fini di archivio, alternandoli (orientativamente a gruppi di 5 al giorno) con quelli nuovi.

Post n. 32 del 19-01-2011 (trasmigrato da IlCannocchiale.it)
Il Sig. Silvio B., il mammone dal collo taurino ed il suo tallone d’Achille/7/Amor proprio

Ho intitolato questa discussione “Il Sig. Silvio B. ed il suo tallone d’Achille” ed ho scritto all’inizio: “Ciò che spinge - potentemente - Silvio B., il "mammone dal collo taurino" (mia definizione ormai decennale), a reagire agli attacchi, in maniera violenta e incoercibile, soprattutto quando si basano su fatti veri ed egli stesso li riconosce tali nel suo intimo profondo (soltanto la verità, dice Freud, fa davvero male), non è l'analisi razionale dei fatti, ma il suo amor proprio ipertrofico e malato, il suo vero tallone d'Achille”.
L’amor proprio – per effetto dell’educazione e dell’ambiente - è connaturato a ciascuno di noi, ma in misura ed influenza diverse. Esso è un elemento fondamentale per la comprensione del nostro personaggio.
Cito, qui di seguito, un filosofo, Jean-Jaques Rousseau, ed un grande scrittore russo ch’io amo molto, Fedor M. Dostoevskij, che ne hanno trattato ampiamente nelle loro opere.

Il negativo influsso della società su un uomo altrimenti virtuoso, nella filosofia di Rousseau, ruota intorno alla trasformazione dell'amore di sé (amour de soi), inteso in senso positivo, nell'amor proprio (amour-propre), visto come negativo. L'amore di sé consiste nell'istintivo desiderio, posseduto dall'uomo come dagli altri animali, di autoconservazione; l'amore proprio, invece, generato dalla società, costringe l'individuo a paragonarsi agli altri esseri umani, portando all'infondata paura di non essere sufficientemente apprezzato, o al trarre piacere dalle debolezze e dal dolore altrui.


“(…). È una storia lunga, Avdòtja Romànovna. Si tratta, per cosí dire, d’una specie di teoria: come se io, per esempio, trovassi che un delitto è lecito se il movente è buono. Un solo male e cento azioni buone! Inoltre, naturalmente, un giovanotto con molte doti e con un amor proprio sconfinato, si impazientisce al pensiero che se avesse, per esempio, soltanto tremila rubli, tutta la sua carriera, il suo avvenire e lo scopo della sua esistenza prenderebbero tutt’altro corso, e che questi tremila rubli, invece, non ci sono. Aggiungete poi l’esasperazione dovuta alla fame, all’abitazione troppo stretta, agli abiti stracciati, alla chiara consapevolezza della sua tutt’altro che brillante posizione sociale, nonché di quella di sua sorella e di sua madre. Ma soprattutto la vanità, l’orgoglio e la vanità, forse – soltanto Iddio può dirlo – accompagnati da ottime inclinazioni... Io infatti non lo accuso, non ci penso nemmeno lontanamente, mi dovete credere; e poi non sono affari miei... In piú c’era anche una sua teoria personale – una teoria sui generis – secondo la quale gli uomini si dividono, badate bene, in materiale grezzo e in individui d’una specie particolare, per i quali, data la loro natura elevata, la legge è come se non fosse mai stata scritta; al contrario, sono loro che fanno le leggi per gli altri uomini, per il materiale grezzo, per i rifiuti“.(…).


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